6.
Mi succede a ogni trasloco; basta
un libro poggiato sopra a un mobile
poi si allarga come l’edera sui muri,
in poco tempo la casa è una foresta.
Dopo tre mesi c’è già la fioritura
è una festa di forme e di colori,
dai volumi si sprigiona il coro
proprio della specie, l’impostura.
Scrivo questi versi sul quaderno,
dopo li batterò sulla tastiera del pc
e ci saranno senz’altro meno errori
rime calibrate e forse meno vita.
Lo faccio soprattutto per la mano,
per vedere la penna tra le dita
andarsene lontano, come liberare
una colomba per accorgersi del cielo.
13.
Questo gabbiano, per esempio,
che porta il mare sul terrazzo.
Qual è lo scempio, mi domando,
la mia dimenticanza, ignorare
quanto dista il litorale, oppure
il suo disorientamento, prendere
una palazzina anni cinquanta
per la propria dimora naturale?
[da DIMORA NATURALE – Einaudi, Collana Bianca / Maggio 2020]
L’autore di questi versi è Andrea Bajani. Quest’anno lo abbiamo letto come narratore d’interni: nel suo Libro delle Case, romanzo concorrente al Premio Strega, il protagonista, Io, in realtà raccontato in terza persona, è l’abitante di una serie di case che lo traghettano dallo stato di neonato gattonante a uomo eretto e scrivente, in quel tipico ordine caotico che è il disordine della memoria e il metodo analogico-tangente tra dettagli che si chiamano. Sulle CASE di quel libro torneremo, in funzione anche dei versi delle due sole raccolte apparse finora, nella Collana Bianca di Einaudi: PROMEMORIA (2017), e DIMORA NATURALE (2020), per un autore che, a partire dall’esordio nel 2002, ha pubblicato 16 libri in prosa, non solo romanzi e racconti, con l’esito poetico di cui ora qui intendiamo occuparci.
Il Libro delle Case è uscito a febbraio quest’anno, e per ora è l’ultimo suo.
Diventa urgente a questo punto indicare l’osmotica corrispondenza e lo scambio di scaglie tra i due versanti: racconto per numerosi brevi capitoli ripartiti in sezioni da un lato e riquadri poetici ordinati e formalizzati dall’altro. Avventurandosi poi nella pagina del Bajani narratore apprezziamo il funambolismo della scrittura, la sua asciuttezza episodica, e il modo secco con cui prendono il campo visuale gli attori del racconto che apoditticamente si impongono: su tutti una longeva tartaruga che non solo si porta la casa appresso e in essa si ritira (è emblematicamente una creatura-casa) ma rimane anche abitante storica della prima casa: cariatide per tutte le stagioni. Il risultato, meglio: la successione temporale, e la contiguità tra le due raccolte di versi e il Libro delle Case, lasciano indovinare, oltre alla limpida parentela tra le opere, una simultaneità di composizione, un affiancamento: quasi che le due raccolte costituiscano il diario tematico e formale del romanzo e il romanzo a sua volta sia delle due raccolte l’essudato in prosa.
25.
Prima avviene la cattura, dopo
arriva il momento dell’anello.
L’uccello poi parte con un frullo
diventa l’infiltrato dello stormo,
ka spia alata al soldo dell’umano.
È il mantello del bipede incagliato,
misura la distanza tra il nostro
stallo e il loro togliersi di torno.
La prospettiva dell’anello, dal centro
dello stormo, sarebbe la visione
laterale, lo sterno contro il cielo
e più giù la terra, ai margini del becco.
Si vedrebbe, ecco, quanto poco vale,
quanto conta, la condizione naturale,
la foresta delle palazzine, l’abat-jour
che siamo, la tracotanza del lampione.
Sono loro, a volte, che cambiano
canale, che muovono le parabole
sui tetti, i padiglioni auricolari
dei palazzi. È così che mandano
segnali dentro le cucine, nei salotti.
Pare siano soprattutto gli aquilotti:
dall’alto, con gli artigli e con le ali,
decidono dove guardano gli umani.
[da DIMORA NATURALE – Einaudi, Collana Bianca / Maggio 2020]
In questa raccolta più recente Bajani ha trovato una forma molto cercata nell’altra, PROMEMORIA.
Qui procede con sicurezza anche ritmica per quadrati di versi, ottave senza schema di rime regolari a volte intessute di rimbalzi d’eco: esse suggeriscono dei mattoncini saldi e solidi, ben piantati, altrettante fondamenta di un edificio in versi che riserva una sorpresa finale. Senza rovinarla, annoto che i quadrati sono 49 e il mattoncino finale si invola nell’otto riverso dell’infinito: la poesia prende il volo, sembra mimare una libertà che per tutto il libro è evidentemente bene perduto per il genere umano e solo appannaggio ormai degli animali che pure noi cerchiamo di bloccare a terra e ridurre alle nostre limitazioni che sono quasi anche delle disabilità di fatto, degli strumenti castranti, tutta una sapienza che utilizziamo solo per regolamentare e diminuire, raramente per liberare e ampliare.
28.
D’un tratto lo spavento ci fa branco,
ci raccorda con il resto del creato.
Essere umani è solo una radura:
la paura riporta in un istante
alla foresta dell’essere viventi.
Spalanca la pupilla, affratella
nel massacro. È il costo salato
dell’amore, il suo primo istinto.
[da DIMORA NATURALE – Einaudi, Collana Bianca / Maggio 2020]
Se Schopenhauer ci assistesse, e ispirandoci a lui riuscissimo a negare noi stessi per fare appello a una risorsa inattesa, forse potremmo ritrovare un dono che non costa niente, però è un UR-valore:
31.
C’è poi la gentilezza, che è senza
spiegazioni, non ha ratio, è istanza
cellulare, è forza pura e disarmata,
si propaga come suono nello spazio.
Non appartiene solamente ai buoni,
è un accadimento di natura, è come
un rancore che si spezza. Non vale
niente, ma riscatta una giornata.
[da DIMORA NATURALE – Einaudi, Collana Bianca / Maggio 2020]
Personalmente detesto l’uso della parola accadimento, pur fatta salva la sua funzione semantica e la sua specializzazione filosofica – qui è evidente che per ragioni quantitative oltre che funzionali era l’unica scelta possibile ma per quel che mi riguarda è parola che mi blocca, mi fa restare inchiodata. Quali forme può prendere la gentilezza? In quali modi noi, che abbiamo distrutto il pianeta e dove possibile lo abbiamo foderato con l’asfalto e col cemento, in modo casuale e intermittente riusciamo a essere gentili con esso?
Per ciò stesso è una forma di sollievo
quando gli operai spaccano la strada,
quando un cantiere di colpo spalanca
un accesso verso il centro della terra.
È la guerra della scavatrice, il nesso
restituito dalla distruzione. Tolto
il tappo di cemento, ristabilito il patto
originale, la terra riprende a respirare.
[da DIMORA NATURALE – Einaudi, Collana Bianca / Maggio 2020]
La scavatrice di Pasolini ha smesso di piangere, ora è in guerra con la crosta su crosta che abbiamo spalmato su ogni cosa, vuole aprire varchi al respiro, vuole liberare la cassa toracica e i polmoni.
Non è il cervello che fa la differenza,
è piuttosto questa piazza, restituire
il pallone sfuggito al perimetro di gioco.
È la fine dell’infanzia la più umana
delle cose, presidiare il bordo campo,
mantenere viva la favola ai bambini
che anche se calciato all’altro mondo
poi comunque il pallone torna indietro.
[da DIMORA NATURALE – Einaudi, Collana Bianca / Maggio 2020]
Ecco, la pallina da baseball è diventata un pallone da calcio che, lanciato lontano dove non si può più recuperare, invece inaspettatamente torna indietro, dunque riappare: forse qui, oltre a un cambio di marcia rispetto al profondo pessimismo del Maestro Salinger (altro autore Einaudi da copertina bianca, il cui giovane Holden Caulfield avrebbe voluto saper agguantare e sottrare al dirupo tutti i ragazzi in pericolo di morte, ma per via del fallimento proprio col fratellino Allie e data l’immanità del compito è sprofondato nell’abulìa), possiamo intuire, da parte di Bajani, una timida apertura all’ottimismo.
Ma ancor meglio, in Bajani, invece del sentimento del tempo, cui i grandi poeti ermetici ci avevano abituati, troviamo un sentimento della Terra, e vale la pena tornare a scriverla con la T maiuscola.
35.
Tra i tanti modi di passare il tempo
quello che preferisco è stare solo
seduto dentro un bar o un ristorante.
Mi rilassa ridurmi a puro sguardo,
sparire nel paesaggio, osservare
sotto i tavoli il dialogo tra i piedi,
i pavimenti, cosa fanno gli esseri
viventi mentre vortica il pianeta.
[da DIMORA NATURALE – Einaudi, Collana Bianca / Maggio 2020]
∞
È successo ancora, anche questa volta
è transitata non distante dalla terra,
visibile a occhio nudo, senza cannocchiale.
Accade ogni imprevedibile numero di anni,
la poesia ha traiettorie solo a posteriori,
è un asteroide disperso, non monitorato.
Non esplode, non fa danni, lascia polvere
Di versi sui balconi e torna nel buio siderale.
[da DIMORA NATURALE – Einaudi, Collana Bianca / Maggio 2020]
Nell’unica raccolta precedente, PROMEMORIA (2017), appare molto chiaro che Bajani, narratore e saggista, pure traduttore, maneggia con grazia e sapienza una lingua molata stavolta con gli attrezzi taglienti della poesia però assistiamo in diretta alla sua ricerca di una forma che poi infine si assesti. Forse è per questo anche che soprattutto all’inizio abbiamo una sensazione di lieve umorismo che poi si rivela essere, piuttosto, una rassegnata ironia. È l’atteggiamento di chi è talmente consapevole del dolore immanente nell’esistenza che non solo qui come anche in DIMORA NATURALE indulgerà nell’uso della pillola del buon dormire ma non può mentire sullo sbandamento che inevitabilmente coglie chi si avventura sui cocci del tempo:
Imparare a parlare dai bambini.
[…]
Dimenticare le coniugazioni
far cadere in terra il tempo
Non camminarci sopra scalzi.
[da PROMEMORIA – Einaudi, Collana Bianca / Ottobre 2017]
In questa raccolta Bajani cerca una regolarità che stavolta non è garantita dall’uso sistematico delle ottave. Spesso poi anche la lunghezza dei versi si accorcia mentre la forma si verticalizza. Però una regolarità c’è, e consiste nell’uso reiterato, anzi iterativo, degli infiniti. L’escamotage qual è? È una specie di to-do-list, un catalogo di azioni da compiere, un lungo programma di faccende da sbrigare che il poeta si propone e annota su una lavagnetta per non dimenticarsene almeno come progetto.
24.
Esercizio: trattare la felicità come
un organo qualsiasi. Dire tre volte
trentatré respirare a bocca aperta.
Se fa male farsi massaggiare.
Se si infetta d’infelicità disinfettare.
Camminare senza fretta. Riposare.
25.
Telefonare ai morti il giorno dopo
il funerale. Lasciarli parlare poco:
solo il tempo di sentirli dire incerti
che non sono ancora in casa. Chi
lascerà il numero sarà chiamato.
Tra i due bip dire tutto in un fiato.
26.
Errore dopo errore continuare.
Sbagliando spesso, imparare
a farlo meglio: sbagliare
in maniera più professionale.
Mandare giù la stessa spina
Ma guadagnarci in autostima.
[da PROMEMORIA – Einaudi, Collana Bianca / Ottobre 2017]
Nemmeno a farlo apposta, infiliamo qui tre sestine, ma non c’è lungo il libro una vera regolarità strofica: ci sono quartine, sestine e ottave, con andamento altalenante. E anche strofe di 5 versi:
32.
Farsi consegnare da una donna la parola
amore riparata. Non dimenticarla accesa.
non guardarla fissa non farla fulminare.
Ogni quattro anni un controllo generale.
Se si rompe ancora contattare un cane.
33.
Buttare in terra una parola
dopo averla armeggiata
per fare pace. Sentire il crac
di una crepa che si apre.
Un uovo che si rompe
un carapace da cui esce
una testa spaventata.
[da PROMEMORIA – Einaudi, Collana Bianca / Ottobre 2017]
Qui vengono spontanee due osservazioni mentre ci avviamo alla fine.
Che Bajani tenda alla ricerca della regolarità, che rima a parte non so se possa coincidere con la ricerca della felicità però la sostituisce come surrogato, è confermato dal fatto che in ciascun suo componimento trova una misura enunciativa, cioè un metro sillabico, e ci si attiene con devozione; e questo dopotutto è più indizio di prosodìa che di versificazione; inoltre mi pare evidente che molto Bajani si concentra sulla parola, sul suo valore, e il cerchio si chiude nel componimento seguente:
Chiamare per due volte per vedere
se c’è qualcuno dentro, se c’è
vento o c’è bonaccia. Ricavarsi
un sorriso sulla faccia quando
sul foglio compare una parola.
Dopo quella ecco un’altra che
sale alla gola e dopo un’altra
che la sorpassa e scende a capo.
Silenzio: poi chiamare ancora.
Nessuno ha forse più la voglia
di uscire e attraversare il bianco.
Infine arriva il punto lentamente.
Dentro, dice, non è rimasto niente.
[da PROMEMORIA – Einaudi, Collana Bianca / Ottobre 2017]
Per chiudere agguanterei due fili lasciati pendere davanti al nostro naso: innanzitutto il carapace da cui sporge una capoccetta spaventata e che richiama plasticamente la tartaruga, la figura in assoluto più stabile nel Libro delle Case – che ha mancato due premi quest’anno, lo Strega e il Campiello; e quel carapace speciale che può essere la parola, abituata a far capriole, per poi finire svuotata. Da lì il poeta ci spinge a muoverci verso il tesoro delle parole, la memoria, un surgelato da rianimare al microonde… Leggete Bajani poeta: è arguto, acuto, profondo, meditativo, ironico, speculativo.