Il Rinnovamento dello Spirito

Alle ore di fisioterapia i miei accostavano terapie alternative. No, non parlo di erboristeria e fiori di Bach, ma di santoni ed esorcisti.

Da bambino volevo fare il calciatore. Eh sì, volevo camminare e fare il calciatore. I miei genitori? Forse pensavano che camminando avrei avuto un futuro migliore.

Alle ore di fisioterapia i miei accostavano terapie alternative. No, non parlo di erboristeria e fiori di Bach, ma di santoni ed esorcisti. Ho conosciuto anche Milingo. Tra le varie strade battute c’è stato anche “Il Rinnovamento dello Spirito”. Come cos’è? Il Rinnovamento dello Spirito è un gruppo religioso. Si incontra tutti gli anni a febbraio a Rimini, alla ricerca di un miracolo. Sì, hai capito bene. Lì dove i bagnini rimorchiano l’estate, d’inverno i disabili cercano il miracolo. Il posto c’era stato consigliato dalla zia suora di papà.

– La madre superiora mi ha detto che lì avvengono miracoli… Sì, ti dico, c’è uno che è in odore di santità!

Ricordo perfettamente quando andai io.

A noi era destinato un enorme piazzale. Sì, noi! Noi disabili o come piaceva tanto dire agli organizzatori: noi meno fortunati. Il piazzale si trovava in una zona periferica di Rimini. Sembrava quasi aperta campagna. Era un’enorme distesa libera di verde. In fondo c’era un palcoscenico gigantesco come quelli dei concerti e le casse sparse un po’ ovunque diffondevano musica religiosa. Tra un alleluia e un Gloria a te o Signore, il piazzale si era completamente riempito. Le prime file erano destinate ai disabili in ordine di gravità, prima quelli in barella, poi quelli in carrozzina, io mi sono dovuto accontentare di una terza fila. Accanto a me: da un lato c’erano i miei genitori, dall’altro due vecchie.

Urlavano tutti a squarciagola i canti che venivano proposti. Sembrava un concerto solo che lì non ballava nessuno, i più fortunati si muovevano a fatica. Le due vecchie che avevo accanto urlavano come pazze.

La musica si è interrotta di colpo e da lontano si è visto un tizio vestito di nero salire sul palco. È partito un brusio dalla folla, le due vecchie accanto a me hanno bisbigliato:

– padre Andrea.

E i miei genitori:

– E chi è padre Andrea?

Le vecchie li hanno squadrati dall’alto in basso come a dire: “Ma che ci siete venuti a fare?”.

– Padre Andrea è in odore di santità, è in contatto direttamente con l’altissimo!

Padre Andrea ha afferrato il microfono e ha iniziato a urlare.

– Avete fede?

La folla ha urlato.

– Sì!

Le due vecchie hanno urlato come invasate.

– Non vi sento! Avete fede?

La folla ha iniziato a sgolarsi. Padre Andrea ha chiuso gli occhi e ha portato le braccia al cielo.

– Un non vedente…

Ha allungato poi la mano verso la folla

– Levati gli occhiali e vieni qui… il signore ti ama…

Si è sentito un urlo, lo ricordo ancora, poi ho visto un uomo che brandiva verso il cielo un bastone bianco.

– Ci vedo! Ci vedo!

La folla ha cominciato a applaudire e a cantare lodi. Ma padre Andrea senza fermarsi

– un ragazzo con le stampelle…

Mamma mi ha guardato e anche le due vecchie accanto a me hanno buttato un occhio.

– Viene da Roma.

Mamma tutta entusiasta rivolgendosi a chi aveva vicino.

– Noi veniamo da Roma… Noi…

Intanto dal palco padre Andrea incitava

– Alzati… lascia le stampelle e vieni…

Mamma rivolgendosi a me

– Hai sentito… alzati!

Io dubbioso mi sono alzato.

– Molla le stampelle e vieni!

– Hai sentito? Molla la stampella!

Ma io non mi sentivo sicuro, cercavo davanti a me lo sguardo di qualcuno che mi dicesse di non farlo, ma i miei genitori annuivano e anche le due vecchie cominciarono a incitarmi. Così ho lanciato una stampella e ho provato a fare un passo. Barcollavo, oscillavo come una barca tra le onde.

– Abbi fede in Dio… lasciati andare… Vieni…

Mi sono retto istintivamente alla spalla di papà che aveva già gli occhi lucidi. Le due vecchie erano inginocchiate a pregare incitando al miracolo.

Ho provato a fare un altro passo con una sola stampella. Ho provato davvero a camminare lo giuro. Immaginavo già di poter palleggiare. Appena tornato a Roma mi sarei iscritto a scuola calcio. Ma non riuscivo a staccare la presa dalla spalla di mio padre. Mi sentivo tremare le gambe, ho provato a trascinare i piedi che sembravano incollati a terra. Ma padre Andrea insisteva.

– Butta le stampelle alza la mano.

Mia madre ormai in crisi mistica ha afferrato il mio braccio e ha cominciato a strattonarlo. Sentivo il suo anello strofinarsi contro il mio braccio. No, non mi riferisco alla fede. Mamma ha sempre portato un anello d’oro. L’anello rappresentava un serpente che si avvolgeva attorno al dito per tre volte e alla fine sulla testa al posto degli occhi aveva due piccoli rubini incastonati. Era un anello di famiglia, mamma non se ne separava mai.

Mentre con una mano tentava di staccare la mia presa dalla spalla di papà, ha iniziato a sollevare l’altra mano. Io ho fatto resistenza, ma mamma ha insistito, le è scivolata la presa e il muso del serpente sull’anello mi ha graffiato il braccio. Ho urlato.

– Che cazzo fai?

Deve essere suonata come una bestemmia in chiesa. Mamma si è svegliata di colpo e le due vecchie si sono alzate da terra. Appena in tempo perché un tizio dalla folla con due stampelle sotto braccio si era fatto largo tra gli applausi della folla. Una delle due vecchie l’ha guardato.

– Ma quello non si è alzato anche l’anno scorso?

Sì, lo so cosa stai per dire: “cinico”, “la volpe che non arriva all’uva…” .

Sicuramente sarai rimasto deluso.

Ricordo che mia madre sembrava non aver nemmeno sentito quella vecchia.

No, non era fede cieca. Il motivo della sua assoluta convinzione me lo sono chiesto per anni e adesso, da adulto, forse ho capito. Quando puoi aiutare un figlio faresti qualunque cosa, corri per la tua strada, non vedi e non senti niente. Ti aggrappi a ogni flebile speranza annebbiato dal tuo obbiettivo. Sei un cavallo con i paraocchi o nel caso di mia mamma col paraorecchie. Mamma sapeva solo una cosa: “non era detta l’ultima parola”.

Certo, devi sapere che quell’incontro durava una settimana. Sette possibilità. Sì, era più o meno come un gratta e vinci a ogni tentativo fallito appariva la scritta: “ritenta sarai più fortunato”.

Un po’ demoralizzati arriviamo in albergo. Sì, lo ammetto, ci avevo creduto. In fondo mi immaginavo già come sarebbe stata la mia prima lezione di calcio. Avrei certamente imparato a battere le punizioni. Mamma entra nella hall per prendere le chiavi della stanza e andare a riposare. Papà mi aiuta a salire i tre gradini dell’ingresso. Sguardo basso per vedere dove metto le stampelle e i piedi; mi sostiene per un braccio. All’epoca tre gradini potevano voler dire anche venti minuti.

Arrivato all’ultimo gradino, ormai al sicuro sollevo lo sguardo e vedo mia madre ancora lì come pietrificata. La raggiungo, il suo sguardo è fisso e imbambolato, come se stesse avendo un’altra visione mistica.

– Mamma, cos’hai mamma…?

Mantenendo lo sguardo fisso mi afferra il braccio. Seguo il suo sguardo. Davanti, seduto al tavolino del bar, padre Andrea.

– Ahia mamma.

Stringe così forte il mio braccio che sento l’anello entrarmi nella carne.

– Vieni!

Mamma inizia a mettere un piede avanti all’altro con passo svelto come se non mi vedesse. Ripete ossessivamente:

– Vieni… Vieni!

Corre e io non riesco a starle dietro.

– Sbrigati!

Cerco di andare più veloce. Pianto le stampelle a terra una dopo l’altra e praticamente mi trascino sulle braccia: sembravo un gorilla scoordinato.

Arrivati davanti a padre Andrea, mamma si inginocchia e mi lancia verso di lui.

– Lo aiuti!

Padre Andrea mi prende tra le braccia e mi sostiene. La mia faccia si stampa sull’abito nero di padre Andrea. Mentre inizio a sollevarmi, la mia faccia si strofina sul suo vestito dall’addome fino quasi al collo. Il suo odore è intenso e penetrante: un misto tra sudore e incenso. Più il mio naso si avvicina al collo più l’odore è forte. Vuol dire questo “essere in odore di santità”. Sto quasi per vomitare. Riprendo improvvisamente forza nelle gambe e lo scosto.

– Si chiama Giangiacomo…

Padre Andrea guarda verso il soffitto dell’hotel e allarga le braccia.

– Sì lo so, il Signore me lo ha detto…

– lo guarisca la prego…

Lui continua a fissare il soffitto.

– Non sono io che guarisco… è il Signore attraverso me…

Mamma solleva le mani e si aggrappa con tutte le forze alla mano di padre Andrea, sembra quasi voglia sollevarsi, ma rimane in ginocchio, testa bassa. Io sono rimasto in piedi.

– La prego, lo aiuti… farei qualunque cosa!

A queste parole padre Andrea abbassa lo sguardo verso mia madre. Le prende la mano tra le sue, la mano di mia madre, che fino a poco prima mi ha torturato il braccio.

Padre Andrea accarezza la mano di mia madre, poi sgrana gli occhi fissando l’anello con il serpente. Inizia a farsi ripetutamente il segno della croce, chiude gli occhi come se si stesse sforzando di ascoltare qualcosa o qualcuno.

E ripete – qualsiasi cosa… qualsiasi cosa…

Mamma stringe forte le mani di padre Andrea e senza battere ciglio.

– Sì, qualsiasi.

– Allora devi disfarti di questo…

Ma certo, voleva solo l’anello, cosa pensavi? Mamma si è irrigidita per un attimo.

– Perché?

– Il serpente è il simbolo del diavolo.

Mamma ritira subito la mano e si guarda l’anello.

– No, non posso…

Padre Andrea si è ripreso immediatamente dalla trance.

– Non puoi…!?

Mamma, con il tono di chi si deve giustificare.

– No, ma non per me.

È ancora in ginocchio e alza lo sguardo cercando quello di Padre Andrea.

– Non è mio.

– Non è tuo?

– Appartiene alla mia famiglia da anni, io non posso…

Mamma sta già immaginando le urla che avrebbe fatto nonna a telefono:

– Ma che sei scema? Quello lo avrà dato a qualche mignotta!

Ma padre Andrea insiste.

– È nella tua famiglia da anni?

Poi indica me che sono lì in piedi, immobile da più di dieci minuti, e che mi sto stancando.

– Lo vedi che la tua famiglia è segnata?

Riprende quasi di forza la mano di mia madre tra le sue e la guarda intensamente negli occhi.

– Non fidarti di me.

Penso che finalmente sia sincero, ma continua.

– Non fidarti di me, devi avere fede in Dio che agisce attraverso di me.

E sì, se madre Teresa era la matita, lui doveva essere il piede di porco nelle mani di Dio. Padre Andrea mi indica ancora. Sono stanchissimo: le mani mi formicolano, le ginocchia sono più incurvate del solito e sono anche ingobbito dalla fatica.

– Se tu ti libererai del serpente permetterai a Dio di avvicinarsi a tuo figlio.

Poi libera la mano di mamma.

– Dio può tutto, ma pretende da noi un gesto, per questo esiste il libero arbitrio.

Mamma mi guarda. Sono stravolto. Sudo, non mi sento più le mani, sono completamente piegato su me stesso e respiro a bocca aperta. Mamma si sfila l’anello e lo mette nelle mani di padre Andrea. Lui lo afferra e con un gesto velocissimo della mano lo infila in tasca e poi riprende lo stato di trance. Ancora una volta le braccia in alto e lo sguardo verso il soffitto.

– Dio è felice! Sento che domani succederà qualcosa.

Mamma entusiasta salta in piedi come una molla, mentre padre Andrea si è già messo l’anello in tasca.

Quella sera ricordo bene di non aver dormito. Mi immaginavo già a palleggiare. La mattina mamma mi ha fatto mettere il vestito buono, del resto Dio lo aveva detto: “Sarebbe successo qualcosa”.

E sì, se fossero esistiti gli smartphone all’epoca, mia madre avrebbe certamente ripreso i miei primi passi. Arriviamo nel piazzale e ci indicano il nostro posto: vicino a una signora vistosamente sovrappeso, con gli occhi a palla e sguardo fisso, mi sembrava non sbattesse quasi mai le palpebre. Mi faceva paura. Ho fatto mettere papà vicino a lei, io mi sono seduto tra i miei genitori.

La mattinata è trascorsa tranquillamente tra preghiere, canti e lodi al Signore. Verso le 11 arriva la prima pausa. Parte la solita musica religiosa, papà e mamma si allontanano per andare in bagno. Io sono rimasto solo con la signora dagli occhi strani. Ho guardato l’unico posto che ci divideva, poi ho sollevato lo sguardo e ho incrociato il suo. Mi ha guardato e improvvisamente ha iniziato a urlare e a scalciare. Scalciava, si contorceva sulla sedia e bestemmiava con voce gutturale. Sono saltato in aria dalla paura. Mi sono anche spostato di posto sedendomi in quello di mamma. Ma quella scalciava talmente tanto che ha spostato con le gambe le tre file di sedie davanti a lei. Con le mani cercava di afferrare l’aria attorno a lei, poi chiudeva i pugni e li sbatteva dove capitava. Io ho tentato anche la fuga. Ho provato ad afferrare le stampelle, ma dalla paura mi sono scivolate di mano e sono cadute per terra. Ero bloccato su quella sedia. Immobile forse anche dalla paura. Saranno passati pochi secondi, forse qualche minuto, ma a me sono sembrate ore.

Poi padre Andrea arriva vestito con i paramenti sacri e l’acqua santa. Tornano anche i miei genitori dal bagno. Come vedo mia madre mi butto tra le sue braccia e la stringo fortissimo. Sì, credo di non avergli mai dato un abbraccio così forte come quello.

Padre Andrea recita qualche frase in latino.

– Haec dicit Dominus descende in domum regis Juda et loqueris ibi verbum hoc… Surge inluminare quia venit lumen tuum et gloria Domini super te orta es.

Mentre ripete – Satana esci da lei… Lasciala… vai via… – la signora continuava a bestemmiare con voce gutturale; man mano che padre Andrea recita la sua litania, però, le sue urla e bestemmie si fanno meno intense, fino a calmarsi.

Poi la signora sviene e la portano in infermeria. Io svengo tra le braccia di mamma. Al mio risveglio mi trovo anche io in infermeria, sdraiato su una barella con la febbre a trentanove.

Mi portano subito in albergo e passo lì gli ultimi giorni di ritiro spirituale.

Il miracolo? Padre Andrea aveva detto succederà qualcosa e qualcosa era successo. Non è mica come la garanzia della lavatrice, non puoi andare lì a dire: “Mi ridia l’anello perché non c’è stato il miracolo”. Poi, come avrebbe detto in seguito mia nonna, “quello lo aveva già dato alla mignotta”.

Lo so cosa stai pensando adesso: “Lo vorresti aver avuto quel miracolo?”

Ti rispondo di no. Adesso mi sembra di vedere la tua faccia stupita. Ho imparato che si può vivere bene senza miracoli. Certo è difficile, ma si può fare. Mi sembra di sentirti: “E il pallone? Il calcio? I palleggi?”.

Le cose cambiano con l’età e la passione per il calcio è stata superata da quella per le donne.

No, non ha ragione mia madre! Non è vero che non frequento le brave ragazze e mi piacciono solo le mignotte. Cerco solo di recuperare l’anello di famiglia.

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Giangiacomo Tedeschi

Giangiacomo Tedeschi è nato a Nocera Inferiore (Sa) nel 1979. Vive e lavora nella capitale come ingegnere. Dal 2012 frequenta i corsi di scrittura della scuola Genius. Nel 2016 ha vinto il concorso La ricerca della felicità, promosso dall’Istituto Goethe Italia con il racconto, L’oliva. Nel 2017 è tra i vincitori di Racconti nella rete con Tutta colpa delle favole. Nel 2021 esce il suo romanzo d’esordio “Ce la fai?” (Felici Editore). Della scuola Genius dice: "Ho seguito quasi tutti i corsi, dal percorso per scrivere il romanzo alla scrittura comica, che mi sono stati molto utili nella realizzazione del mio romanzo. Ho anche seguito il percorso intero per diventare podcaster e dal 2015 non mi perdo una full immersion estiva. Ora le cose sono due: o devo accettare di avere un bisogno patologico della scuola Genius o devo iniziare a pretendere una quota societaria per anzianità di servizio".

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