Sono morto e sono Felice. Cioè, sono morto e mi chiamo Felice, anche se ora ho gli occhi spalancati e la bocca aperta giuro che sono felice. Certo non sono uno che la vita se l’è goduta.
Ho sempre fatto tutto perché si doveva. Mi sono iscritto a legge perché mio padre voleva così. Lì ho conosciuto Giovanna, una del mio corso. Non è bella. È un tipo: ha il naso aquilino; i capelli arruffati; l’occhio sinistro, quello buono, era celeste; l’altro era sempre mezzo chiuso e non si capiva bene il colore. Ci fidanzammo. L’aspetto non conta, se lei è di buona famiglia. Va pazza per l’aglio, lo mette ovunque, sono sicuro di averla vista almeno una volta metterlo anche sul gelato. La sua pelle sa di naftalina come i vecchi armadi e io quello, di armadio, non avevo nessuna voglia di aprirlo.
Quando dovevo baciarla chiudevo gli occhi, respiravo profondamente e poi trattenevo il respiro giusto il tempo di sfiorarle le labbra, ma lei come una piovra mi tratteneva la testa e mi srotolava in bocca quella lingua che sapeva di cadavere. Sentivo quel sapore salire dalla bocca, su, verso i canali olfattivi.
Sentivo il conato di vomito prepararsi, pronto a esplodere. Mi staccavo dalla sua presa proprio un istante prima di vomitarle in bocca. Ero riuscito a evitare il sesso trincerandomi dietro la sacralità del matrimonio.
Il giorno delle nozze di felice c’è solo lei nel suo abito bianco che mette in risalto i denti gialli. A me le scarpe stringono e con la mano tento di allentarmi la cravatta che mi soffoca.
Alla fatidica domanda pronuncio un ‘sì’ così flebile che faccio fatica anche io a sentirlo, il suo invece è sonoro e gracchiante, mi arriva una zaffata d’aglio. Sono costretto a reggermi alla sedia per non cadere. Barcollo, ma il prete conclude: “Finché morte non vi separi”.
Mi abbandono sulla sedia per qualche secondo, ho un solo pensiero in mente: “E adesso? Questa notte che mi invento?”.
Per risolvere il problema ho fatto scorta di Viagra e Cialis di contrabbando da un sito internet. Quando lei esce dal bagno in quella sottoveste di pizzo nero si sente tanto sexy, ma io ho solo voglia di spegnere la luce. Allungo la mano verso l’abat-jour, lei si avvicina e mi blocca la mano.
Inizia a ondeggiare suadente, ma a me sembra solo una botte in bilico, vestita di nero. Abbassa piano la spallina imitando Sophia Loren. Io sotto le coperte tremo guardandola avvicinarsi.
Mi salta addosso e mi bacia. Io, immobile, vorrei simulare un mal di testa, ma non ho il tempo di dire nulla: eccola quella lingua in bocca, anzi questa volta arriva ancora oltre, la sento giù, giù nella gola, mi sembra quasi che arrivi all’esofago. Sento quel forte odore del suo fiato, ma sento anche le sue mani ovunque.
Ma se lei è attivissima, lui, sì lui, l’inquilino del piano di sotto, proprio non ne vuole sapere.
Quando mi poggia una mano tra le gambe mi guarda:
“Che succede?”
“Succede che puzzi; succede che sei un barile.”
Questo avrei dovuto dire, invece con una scusa vado in bagno e apro il beauty.
Mi guardo allo specchio: con il Viagra in una mano e il Cialis nell’altra vengo travolto da un dubbio amletico. Lei mi chiama con quella voce gracchiante che mi trapana il cervello, allora chiudo gli occhi e prendo una pasticca di Viagra. Poi penso al suo fiato e rabbrividendo scuoto la testa: prendo anche il Cialis.
Poi mi viene in mente il suo odore e inizio ad agitare le boccette all’infinito in una mano, non so nemmeno io quante pasticche ho nel palmo, ma butto tutto giù di colpo.
Torno da lei. Neanche il tempo di entrare in stanza che riprende a baciarmi, ma dopo qualche istante sento le labbra intorpidite e anche col naso non sento più il cattivo odore.
Invece lì sotto sento qualcosa muoversi. In poco tempo diventa duro e così lei sale sopra di me e inizia la danza, comincia a cavalcare, anche se io non sento niente. Sento solo il cuore che mi batte forte, fortissimo, troppo forte.
Sono morto ma lei ancora non lo sa, ha gli occhi chiusi e urla: “Sì, adesso sì, che è duro…”.
Ma quale Cialis, quale Viagra; a saperlo che per farla felice bastava il rigor mortis!