Mi piace considerare Simone Tempia un amico, non solo perché lo è davvero (questo sarebbe semplice), non solo perché lo annovero tra i miei amici sui social (questo varrebbe poco), ma perché mi ritrovo a sentirmelo amico ogni volta che leggo qualcosa di lui. Per esempio i libri in cui mette a confronto le nostre domande e le nostre paure in dialoghi (che io definisco “filosofici”, anche se lui si schernisce) tra un Sir e un maggiordomo di nome Lloyd. La stessa sensazione di amicizia letteraria, amicizia di penna direi, l’ho provata leggendo la sua ultima opera: Storie per genitori appena nati (Rizzoli Lizard 2020). Un libro che affronta con creatività e coraggio un passaggio essenziale per ogni essere umano, quello di confrontarsi con la paternità. Come lo fa, Simone? Senza nascondersi dietro teorie da puericultore, né fingendo superiorità intellettuale e nemmeno dando voce al dramma interiore dell’eterno Peter Pan costretto a smettere di volare su vascelli incantati per stare appresso a un essere che gattona per la casa. Anzi, al contrario, attraverso la sua prospettiva originale, quella della creatività. Ne è venuto fuori un libro che potrebbe accompagnare genitori e figli molto a lungo, se avranno la voglia di leggerselo a vicenda. Uno di quei libri che, quando ritrovi da grande, ti dici: ma non era quello che mi leggevano mamma e papà?
Intanto io gli ho fatto qualche domanda…
È più difficile inventare un personaggio di successo come Lloyd o diventare padre?
Nulla è difficile se sei pronto. E io in questi anni ho scoperto di non essere pronto per nulla e mai.
Alcuni hanno accostato questo tuo nuovo libro a Gianni Rodari, ti ritrovi in questa somiglianza, era voluta?
Rodari non è un autore. Rodari è una parte del DNA. Impossibile prescindere dalla sua opera: ormai l’abbiamo tutti, più o meno, assimilata per osmosi diretta e indiretta. Quel suo modo di scrivere, quella sua capacità di raccontare la complessità attraverso una complessità ancor più complessa tanto da risultare semplice, la sua onestà narrativa sono ormai una perfezione diventata consuetudine. Come il gorgoglio della moka quando sale il caffè: pensi che sia sempre esistito così. Io, dal mio punto di vista, ho cercato di fare un libro in puro stile Simone Tempia ma quando ho letto Matteo Bussola dire che Storie per Genitori avrebbe potuto scriverlo Rodari sono letteralmente schizzato fuori dalle scarpe come un cartone animato. Perché c’è una bella differenza tra “ricorda Rodari” e “potrebbe averlo scritto Rodari”. Una bella differenza proprio.
A quale autore pensavi mentre scrivevi questo libro metà romanzo e metà raccolta di favole?
Non pensavo a un autore. Pensavo a un lettore. Nello specifico mio cugino Bruno.
Passi dai dialoghi filosofici alle fiabe, cosa cambia nella tua scrittura?
Non scomodiamo la filosofia che è disciplina altissima a cui io non posso tendere con il mio pensiero e la mia penna. Mi manca proprio la formazione (così come non ci si inventa scienziati, non ci si inventa filosofi). Io credo che la mia scrittura non sia cambiata particolarmente: semplicemente mi sono confrontato con un nuovo “formato” e tanti personaggi in più.
Ti è costato mettere a riposo editoriale il tuo fortunato maggiordomo, per dedicarti a questa nuova avventura?
E chi l’ha messo a riposo? Anche durante la scrittura di Storie per Genitori appena Nati, ho continuato a scrivere con la medesima frequenza i dialoghi di Lloyd. Anzi, a dirla tutta con maggior frequenza perché all’impegno sulla pagina si è aggiunto anche quello su Linus.
Hai avuto paura di “scontentare” i vecchi lettori?
No, mai. Per scontentare qualcuno devi in primo luogo decidere che non lo vuoi più accontentare. Devi dire: “Basta, io non sono questa cosa qui! Voglio essere riconosciuto in modo diverso! Basta, Lloyd!”. Ma io tutto questo non l’ho mai pensato. E infatti ho portato Lloyd anche all’interno di Storie per Genitori appena nati, solo un po’ più silenzioso e più camuffato.
Mi è molto piaciuto il titolo, si nasce genitori quando nascono i figli, quindi?
Si nasce persone nuove. Perché nuove sono le paure. Nuovi i dubbi. Nuove le incertezze e nuovo il senso di inadeguatezza. Solitamente si dice: “Sono pronto ad avere un figlio” il che prevede aver raggiunto una sorta di soglia di massima autocoscienza. Quell’autocoscienza che poi scompare per lasciare spazio veramente a una nuova nascita: si deve proprio re-imparare a camminare.
Scrivere dalla parte di chi è padre ti ha messo di fronte a difficoltà nuove?
Ho cercato di scrivere dando voce ad entrambi i genitori. E anche dalla parte dei figli. Spero di esserci riuscito.
Qual è la fiaba del libro che leggeresti più volentieri in una scuola?
Di certo quella della casa delle cento porte. Puro horror.
E in un centro anziani?
Ah, in quel caso sarei io a volermi far raccontare qualcosa. Quindi racconterei la favola scrivendola con loro.