Ognuno è imperfetto

Mi sarei presa a schiaffi da sola per non aver pensato a sufficienza al mio outfit se non avessi avuto un obiettivo più grande quella sera: avrei conquistato il cavolo-quanto-è-figo-Max.

Un’uggiosa domenica pomeriggio di marzo, mi assillavo su come raggiungere le vette di Kate Middleton (mio idolo assoluto). Mi sarei accontentata anche del traguardo della povera Meghan Markle, ovvero di un secondogenito di tutto rispetto. Insomma, ero aperta a varie possibilità, non mi ero data dei paletti stringenti. L’importante era entrare a far parte di una famiglia influente, dopodiché tutte le porte si sarebbero spalancate davanti a me. Così avevo iniziato una lunga ricerca su internet, filtrando prima di tutto l’area geografica: Italia. Scartate le famiglie blasonate che avevano perso il titolo nel corso degli anni, quelle con problemi con la legge, quelle con problemi economici e quelle con sole eredi donne, ho trovato lui. Massimo Maria Curtopassi. Anche detto IX Duca di Curtopassi De Ruggero Alimanti. Discendente di una fra le poche famiglie in Italia ad aver conservato un titolo nobiliare. Bello da far invidia ad un attore, iscritto ad una facoltosa università privata milanese, erede di un impero alberghiero con sedi in tutta Europa. Aveva anche folti capelli castani, tanto da poter fare la pubblicità di uno shampoo e, al contrario del povero William d’Inghilterra, scommettevo che nel corso degli anni avrebbe mantenuto una capigliatura di tutto rispetto. Avevo guardato le rare interviste su YouTube e, in una di queste, Max giocava nel prato della sua immensa villa in stile imperiale con alcuni bambini in visita nelle vigne di famiglia e con i suoi due labrador che continuavano a tuffarsi nella piscina a forma di ananas gigante per riportare indietro le palline. Ciliegina sulla torta: si dava il caso che Alfonso – un mio vecchio amico del liceo, il classico genio che a scuola veniva religiosamente venerato da noi comuni mortali – frequentasse giusto la stessa facoltà di legge.

Riallaccio i rapporti con lui (Santo Facebook!), adducendo come scusa una rimpatriata con la classe del liceo… Ok, ripensandoci forse ho un tantino esagerato, aggiungendo che mi era sempre piaciuto ma non avevo trovato il coraggio di confessarglielo ai tempi. In ogni caso, ha funzionato. Dopo varie settimane di messaggiamento, in cui ho dovuto sorbirmi i suoi racconti su tutti i fumetti che lo avevano appassionato, le partite dell’NBA in America che si guardava in diretta in piena notte e l’elogio della biblioteca della sua università in cui “si potrebbero trovare persino i piatti della cucina napoletana preferiti da Enrico de Nicola, nei giorni precedenti alla firma della costituzione italiana”. E potrei continuare all’infinito, tuttavia tutto ciò è stato ampiamente ricompensato dal fatto che a giugno mi ha finalmente invitato alla cerimonia dedicata ai laureati in legge 2019.

Ed eccomi qui. Io, Alice Stoppa, con il vestito del mio 18° compleanno color melanzana, con così tante balze da sembrare una stecca da biliardo con gli addobbi della quaresima e i capelli sciolti a coprire le mie orecchie a sventola. D’altronde Alfonso, che mi arrivava al mento, riusciva a distinguersi fra i neolaureati per il suo completo marrone di due taglie (almeno) più grandi di lui. Mentre gli altri sembravano i partecipanti alla serata degli Oscar, noi sembravamo appena usciti da una giornata in fattoria a mungere le vacche. Nonostante tutto la sala da ballo era da togliere il fiato. Pavimenti in marmo talmente lucidi da potersi specchiare, statue e busti rappresentanti chissà quale studioso di legge, illuminazione in ottone e cristallo (o forse era oro???) degna di Versailles, tavoli ricolmi di cibo-mignon per tutti i gusti. Mi sarei presa a schiaffi da sola per non aver pensato a sufficienza al mio outfit se non avessi avuto un obiettivo più grande quella sera: avrei conquistato il cavolo-quanto-è-figo-Max.

“Ti dispiace se saluto un attimo la professoressa della tesi?” mi chiese Alfonso.

“No, anzi DEVI andare. Fa’ come se non ci fossi” risposi.

Mi allontanai dirigendomi verso il giardino, presi al volo un bicchiere di vino da un cameriere e mi venne in mente mia madre. È tutta colpa sua. Fin da quando ero bambina mi ripeteva “tuo padre è stato il più grande errore della mia vita”, e anche “è un buono a nulla, un fallito ma io mi sono innamorata, che scema!” a volte glielo diceva proprio in faccia e lui nemmeno reagiva. Quando provavo ad interromperla difendendo papà, lei mi aggrediva con la sua solita solfa “ti serve un buon partito, frequenterai le scuole più esclusive così conoscerai solo gente di un certo livello. I sentimenti verranno dopo, credimi”. Lei e papà si erano mollati ufficialmente, tuttavia nessuno si era trasferito da casa per mancanza di disponibilità economica. E così io non ero andata nelle scuole più esclusive e loro non si erano separati come volevano. Continuavo ad osservare la remissione di mio padre e l’aggressività di mia madre sperando di non fare la loro fine. Scacciando questo pensiero triste, girai l’angolo di una grande siepe a serpentina ed eccolo lì il mio sfavillante futuro.

Lui, Max, era con un gruppetto di amici accanto alla piscina, ridevano e brindavano fra loro con un’espressione tipo noi-siamo-tipi-fighi-e-voi-non-siete-nessuno che dovevo assolutamente imparare a fare anch’io prima di approcciarlo. Li spiavo dietro la siepe, cercando di ascoltare quello che si dicevano.

“Ehi bomber, davvero sei stato intervistato da Forbes?” disse l’amico che era alla sua destra.

“Mio padre in realtà… però poi la giornalista ha intervistato anche me, in quanto erede dell’impresa familiare” rispose lui. Aveva una deliziosa “r” moscia che rendeva molto sofisticato tutto quel che diceva.

“Dai racconta”.

“Beh, il solito… ho parlato della laurea imminente e del prossimo viaggio in Ruanda per costruire un ospedale pediatrico con le risorse della Fondazione Curtopassi”.

Oddio com’è altruista.

“Poi le ho riferito dei vari progetti che sto supportando proattivamente, come la mensa per i poveri, visite gratuite alle nostre cantine da parte delle scolaresche…”

Dovrò diventare anch’io una filantropa.

“Hai proprio voluto strafare eh” rise l’amico di fronte a lui.

“Del tuo famoso tour agli ospizi non ne hai parlato?” gli chiese un altro, sempre ridacchiando.

Ma cos’avranno da ridere? Saranno invidiosi di lui.

“Certo. E per finire, ho compreso che adorava i miei cani e ho anche tirato in ballo che aiuto il canile della città nelle adozioni per i trovatelli”.

Che tenero, davvero!

“Per quanto ti sei impegnato, doveva essere proprio strafiga questa” sghignazzò un biondino.

“A fine intervista l’ho portata fuori. Ci siamo parecchio divertiti” concluse facendo l’occhiolino, prima di allontanarsi per una telefonata improvvisa mentre tutti ridevano.

Un vero gentlemen è davvero raro da trovare, sospirai.

 In ogni caso si era allontanato dai suoi amici. Era il momento perfetto per farmi avanti. Feci finta di essere anch’io al cellullare e gli andai incontro. Ci divideva una siepe bassa, così alzai la voce per farmi sentire.

“Certo mamma, acquistiamo anche il loro hotel. È un affare!”.

Facevo delle pause ad effetto per accertarmi che cogliesse qualcosa.

“Ah, ah. Domani mattina me ne occuperò io della vendita. Ho già sentito l’avvocato e le carte sono pronte” aggiunsi annuendo con la testa.

Ora avevo la sua attenzione, aveva concluso la telefonata, così terminai con un “i nostri hotel saranno conosciuti in tutto il mondo dopo questa acquisizione. Baci, a domani”. Avevo fatto parecchie ricerche e avevo quindi deciso di simulare che la mia famiglia fosse nello stesso suo business. Mi si avvicinò.

“Ciao, non ho potuto fare a meno di ascoltarti ma non sono una spia russa, giuro”.

Io alzai un sopracciglio con aria interrogativa e cercai di stamparmi in faccia quell’espressione di (lieve) superiorità che a lui veniva così naturale.

“Hai un albergo? Grande… sono anch’io del settore” continuò lui. “Max Curtopassi. È la prima volta che ti vedo in giro”.

“Alice” dissi, stringendogli la mano salda e rassicurante su cui brillava un grande anello con quello che sembrava lo stemma di famiglia. “Non sono di questa facoltà veramente”. Sì, in realtà frequento Lettere, in un’università pubblica per di più. “Sono qui per un… amico. Chissà dove si è cacciato”.

A tempo debito, gli avrei rivelato la verità ma solo dopo averlo fatto capitolare o essere diventata davvero famosa per conto mio. Ci avrei pensato con calma, dopo averlo fatto abboccare alla mia audace canna da pesca.

“Intendevo nel giro degli albergatori, altrimenti mi sarei ricordato di te”. Rise rivelando un sorriso perfetto. Come faceva a non avere difetti? Forse aveva davvero ragione mia madre, sono fatti di un’altra pasta… fascino e raffinatezza.

“Conoscerai sicuramente il gruppo Miramare. Abbiamo sedi esclusive nelle principali località marittime”. Max era rimasto perplesso ed era proprio quello che volevo. Avevo nominato una pensione anonima sulla costa romagnola, i proprietari non erano conosciuti ed io ero la loro nuova figlia adottiva.

Ci siamo incamminati in una passeggiata e lui mi raccontò dei suoi interessi e delle sue aspirazioni, dei suoi hobby (suona il clarinetto da quando era bambino!) e di tutte le opere di beneficienza a cui contribuiva. Io d’altra parte, non potevo crederci, gli raccontai dei miei genitori (quelli finti per intenderci), delle sfarzose feste a cui partecipavo, dei miei svariati impegni sociali e del mio importante lavoro nella gestione di fornitori e partner (nel mio piccolo, ne sapevo qualcosa perché avevo fatto pratica nel piccolo ristorante di mio zio). Eravamo così in sintonia che ad un certo puntò mi sfuggì di parlare della separazione dei miei.

“Magari i miei si fossero separati. La loro è più una guerra fredda, fatta di ripicche e ingiurie”.

“Hanno iniziato molto tempo fa?” sospirai.

“É peggiorata di recente in realtà ma mia madre non è mai stata molto tenera. Pensa che non mi ha mai fatto guardare la TV. Solo libri, riviste di moda e lezioni private ad ogni ora”.

“Oddio. Ma che infanzia triste hai avuto senza “Sailor Moon” e “Ken il guerriero”?”. Lo feci ridere. Una risata squillante e sincera, mi fece venire i brividi. E lui in risposta mi mise la sua giacca sulle spalle.

“Quando mi ribellavo, mi rinchiudeva in una camera vuota della villa per qualche ora. Poi finalmente la tata mi liberava senza farsene accorgere. Era… terribile giuro”.

“Mi dispiace, non dev’essere stato facile” aggiunsi.

“Per fortuna poi il dottore le ha prescritto lo Xanax”.

Arrivammo ad un punto del giardino con un laghetto e tante lucine, c’erano delle panchine bianche e delle statue di ninfe greche. Ci accomodammo e iniziò ad accarezzarmi i capelli.

“Ti piacerebbe andare via da questo party soporifero? Ti porterei nella mia umile dimora sul lago di Garda”.

“Pensavo che prima ci saremmo conosciuti meglio”.

“A che serve? Godiamoci il presente, stiamo bene… è questo l’importante”.

E all’improvviso mi prese il viso fra le mani e mi baciò. Una sensazione indimenticabile e mai provata prima, cercai di ricambiare la sua passione anche se mi sentivo sopraffatta. La sua energia e titubanza al tempo stesso mi lasciava senza fiato e la sua bocca lasciava una scia umida, che sapeva di menta. Onestamente, tutto avrei pensato tranne che fosse così… così disgustoso! Mi stava letteralmente sbavando e la sua lingua sembrava muoversi a casaccio, tastandomi anche le gengive e a breve sarebbe arrivata fino a salutare le mie tonsille. Non riuscivo a reggere oltre, mi veniva da vomitare! Mi staccai bruscamente, asciugandomi con il braccio. Mia madre non aveva parlato di questa eventualità, pensai. Forse potrei superarla dopotutto, gli avrei insegnato a sbrodolare meno, non era un difetto insormontabile.

Ci riprovai, mi avvicinai io questa volta provando a dettare il mio ritmo. Gli avrei fatto capire la direzione da seguire, lo avrei guidato e insieme avremmo trovato una sintonia. D’altronde, tutti imparano e migliorano, è solo questione di allenamento. E poi che sarà mai un po’ di saliva? C’erano difetti ben peggiori al giorno d’oggi, no? Alcool, droga, povertà. Si staccò lui stavolta e, dandogli le spalle, mi tamponai di nuovo il viso.

Con la coda dell’occhio vidi qualcuno che si avvicinava a noi. Oh no, no no no no! Mi ero completamente dimenticata di Alfonso, che si dirigeva verso di noi con due bicchieri fra le mani. Dalla sua espressione immaginai che fosse soprattutto deluso. Prima di riuscire a pensare ad una scusa valida, Alfonso si girò e andò via mentre Max mi gelò.

“Non ce la faccio, scusa. Quel tuo vestito in poliestere mi sta facendo venire l’allergia, il tuo profumo scadente mi dà la nausea e quel color melanzana abbaglia i miei occhi. Scusa non posso proseguire oltre”.

“Non è possibile, io uso solo tessuti di alta sartoria.”

“Ma per piacere, basta con questa farsa. Ho captato puzza di grandi magazzini fin dall’inizio. E quella falsità sull’albergo di famiglia? Non farmi ridere, ho memorizzato tutti gli alloggi della riviera fin da piccolo”.

“Quindi sapevi tutto fin dall’inizio… perché non l’hai detto subito?”.

“Beh, voglio essere sincero… devo far credere alla mia famiglia e ai miei amici di essere etero… sai che i titoli nobiliari si trasmettono solo agli eredi legittimi? È una grande responsabilità e spesso invento racconti di brevi amori, avventure passeggere e storie da vero macho”. Fece spallucce alzando le sopracciglia.

“Io… io… sei proprio sicuro di non essere bisex? Magari potresti essere stato affrettato”.

“Non sei il mio tipo, mia cara”.

“Posso almeno fingere di essere la tua fidanzata?”.

“Beh, sarebbe di grande aiuto, però preferisco di no. Ci ho già provato con la mia migliore amica e le cose non sono andate bene”. Aveva un’aria talmente abbattuta che non me la sentii di insistere.

“Che peccato, sono un’ottima ascoltatrice!” sospirai.

Mi fece il baciamano e andò via, lasciandomi a fare i conti con il mio sogno infranto.

Mentre tornavo verso la sala principale mi rimproverai per essere troppo sciocca e infantile. Cosa mi aspettavo da quella serata? Avevo perso tutto solo perché ero abbagliata dall’avere tutto. Ma tutto cosa? Non prendiamoci in giro, castelli e tappeti rossi non facevano per me ed io non ero adeguata per quel mondo fatto di apparenza e finzione. Più me lo ripetevo e più ne ero convinta. Max stesso non sembrava felice nella sua vita extra lusso, aveva tutto eppure non era sé stesso. Ognuno è imperfetto a modo suo, mi ripetevo ad ogni passo. Eppure, non potevo insistere a mettere in pausa il mio futuro fino all’arrivo del prossimo tram. Anche se si trattava del tram più regale che avessi mai visto. La decisione era presa. Avrei trovato la mia strada da sola, senza scorciatoie e senza aiuti esterni. D’altra parte, dovevo ammettere che quella “r” moscia aveva iniziato a darmi proprio sui nervi.

Tornai nella sala principale e accanto al tavolo delle bevande c’era in carne e ossa Valerio dei Miracle Sound, uno dei miei cantanti preferiti. Ommioddio, questa festa di laurea era una benedizione. Dovevo conoscerlo. Conoscerlo e basta. Ho letto tutto su di lui, sono una sua grande fan e non posso far finta di niente. È qui davanti a me, potrebbe essere l’unica occasione in vita mia di parlargli. Giurai a me stessa, gli avrei soltanto parlato qualche minuto, niente approcci eh.

“Valerio ciao, sono Alice Miramare. Anche tu qui nella nostra umile università?”.

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