Vedo le mie amiche truccarsi, io devo farlo di nascosto, quando mio padre non c’è. Vado nella camera di mamma, prendo i trucchi e li provo tutti. Spesso capita che mamma mi scopre, mi guarda, mi accarezza e dice di andare a lavarmi, prima che torni papà.
Le mie amiche, beate loro, indossano vestiti bellissimi che mettono in evidenza le loro forme. Io non posso, ma qualche volta, quando non c’è nessuno, rubo i vestiti a mia sorella. Indosso i suoi abiti, abbino le scarpe giuste, chiudo gli occhi e vedo quello che sono. Vedo le mie forme rivelarsi e inizio a fare piroette e a volteggiare come una ballerina.
Riaprendo gli occhi, mi trovo di fronte allo specchio, lo guardo ma lui non mi riflette più. Vedo un pomo d’Adamo e peli sul viso e sul petto, invece di un seno. Quello non sono io, quello non sono io. Qualche volta, nel bagno, dopo la doccia, mi sfilo l’accappatoio davanti allo specchio, nascondo il pene tra le gambe e mi osservo riflessa. In quell’istante, finalmente, lo specchio sembra riflettere chi sono.
A scuola ho anche provato a fingere. In gruppo, con gli altri ragazzi, mostravo interesse per il pallone o per le ragazze, ma nessuno ci credeva, nemmeno io.
Insulti: “frocio, checca, ricchione”, mi sento chiamare. “Parole solo parole” mi ripeto, “passerà” mi dico, asciugo gli occhi e spero. Mi chiamano anche principessa, per loro è un insulto, per me no.
Principessa è quello che sono, io lo vedo e presto lo vedranno anche gli altri.
Spesso, dopo la scuola, quando sono triste, faccio un giro per negozi e oggi ne ho proprio voglia.
Camminando per il corso, osservo le vetrine, i vestiti meravigliosi, abiti da sera con profondi décolettè, indossati da manichini. La mia immagine riflessa dal vetro, sembra sovrapporsi alla sagoma del manichino, come starei bene con quel vestito.
Mi ritrovo davanti ad una profumeria: profumi esposti, mi sembra di sentirne l’essenza da qui. Trucchi di diversi colori, che belli. Decido di entrare per vederli da vicino.
Mi guardo intorno, non c’è nessuno, mi avvicino al reparto dei trucchi. Tante trousse esposte, le osservo, le tocco, le apro, ne sento il profumo, gioco ad abbinarli, come una pittrice con i colori. Sono pittrice e sono tela.
Una matita attrae la mia attenzione, una matita con i glitter. La guardo la tocco, mi disegno una linea, sul dorso della mano, per capirne il tratto, che luccichio, come mi starebbe bene che sogno. Mi guardo intorno, il negozio è quasi vuoto, una commessa alla cassa. Piano mi avvicino, la mia mano trema, poso la matita sul bancone e a mezza voce:
– Prendo questa.
La signorina mi guarda, sorride, ma non dice nulla. Uscita dal negozio, mi sento felice. Non vedo l’ora di provarla. Corro a casa.
Arrivata davanti allo specchio, seguo delicatamente la forma degli occhi con la matita, tratto delicato, sciolgo la coda, il mio sguardo è illuminato, esaltato, sono bellissima.
Mia madre entra in stanza.
– Dai vatti a lavare.
– No mamma, io esco.
– Sei pazzo dove vai?
Dicendo questo, si mette davanti alla porta, impedendomi di passare. Io davanti a lei pronta ad uscire. La guardo negli occhi.
– Fammi andare, mamma.
– Mai. Hai capito? Mai…
Dicendo questo, mi strappa la matita dalle mani, la stringe tra le sue e la spezza, gettandola, poi, a terra.
– No! no! no!
Mi chino per raccogliere i pezzi, mentre gli occhi si inumidiscono. Rialzo lo sguardo, urlando furiosamente, mi scaglio contro mia madre, liberando il passaggio, lei mi tira uno schiaffo. Mi fermo. Ci guardiamo, sguardo intenso di sfida, mi avvio alla porta per uscire.
La porta si apre, entra mio padre. Immenso, enorme. Come un’eclissi di sole, la sua sagoma, impedisce alla luce di passare dalla porta. Alzo lo sguardo.
– Che fai conciato cosi? Vatti a lavare.
– No papà, io esco.
Viene verso di me, io indietreggio.
– Ho detto vatti a lavare, così non esci.
– No papà.
Si fa sempre più avanti, alza la sua grande mano, mi sembra quasi di sentire lo spostamento d’aria, chiude il pugno e lo sbatte violentemente sul tavolino, facendolo tremare, io continuo ad indietreggiare.
– Ripeto, vatti a lavare.
– No, no papà.
Mio padre avanza a pugni chiusi, io sono spalle al muro, chiudo gli occhi e attendo.
Il pugno non arriva, riapro gli occhi, mia madre trattiene a fatica il braccio di mio padre. Loro due, insieme, uniti, unico grande ostacolo tra me e la porta.
Il tempo sembra fermarsi, ci guardiamo, hanno uno strano sguardo che quasi stona con il mio, non vedo rabbia. Sono determinata, voglio uscire.
Devo trovare un varco. Devo tentare, devo uscire. Come un ariete, mi scaglio contro quel muro umano, testa bassa e occhi chiusi. Sento l’impatto. È forte, violento, la mia corsa non si ferma. Piano piano sento quell’enorme ostacolo sgretolarsi, aprirsi. Come un ghiacciaio si scioglie al sole.
Ho vinto il muro. Guardo mamma e papà, rivolti verso di me, apro la porta. Fuori, finalmente libera di essere me stessa.