Sono lucida, eh. Sto qua a zompare col terzano, ma mica ne so di rapaci come loro. Io faccio solo due passi: è perché sono disavvezza agli spettacoli naturali, mica mi vado a guardare i magolati. Al massimo i contadini, ma sono pigra. Allora esco, e ve lo dico, non se ne trovano più di quelli che vogliano parlare, non esiste più la lingua di una volta. Se sei linguivoro, dovrai fare senza. Hai dimenticato la semplicità? E allora vado da sola, che dirvi. Sono tra i miei amici senza parola, ed è così che mi si apre il cuore. Benché, a vero dire, si guasta l’olio di argilla a fare così, ci si deprime di luogo in luogo, e allora Peppole fa le castagne al popolo minore medesimo, e a chi potrebbe nominarlo tutto. L’acqua stagna, e il fumoso Zanichelli balena farcendo il destino che neppure qui fossi lasciata tranquilla. Sbrilluccica lo stendino del padrone… anche questo?! Ma via! E troppo se bevi Fernet con le ingordine, ma si sa, se ci fai ti ci butti coi crostoni e le molliche. Cara Mogio, spago fino a che a un certo punto vedo il gran padre su cui brillano i frungoli con tanto di barette col riportino, di quelli di una volta. E qualcuno moriva in terra straniera, dove aveva perso la sua virtù. Sulla gondola è troppo, si diffondono lontani passi, e allora me ne tornai con l’amico lettore che non risponde, e non ha torto pure lui: volevi tenere ogni cosa per te solo, e io giunsi. La moglie preparava la fonte, se non la stessa.
“Caledonian Road” di Andrew O’Hagan – traduzione di Marco Drago (Bompiani)
Una storia senza innocenti o vincitori, ma solo persone ferite che riescono a farcela con quello che resta dopo un evento drammatico destinato a essere uno spartiacque nelle loro vite.