Della sua giovinezza ad Alessandria d’Egitto, Giuseppe Ungaretti ricorda in particolare la Baracca Rossa del compagno e amico Enrico Pea, fervente socialista, descritto con la lunga barba che non smette mai di attorcigliare, come usano gli Ulemi, i dotti della religione musulmana, e il volto di un Patriarca, o di uno degli Apostoli. La Baracca Rossa è una casa di legno e lamiera a due piani, costruita su un terreno incolto, in via Hammam El-Zahab, col tetto reso stagno da uno strato di pece, e le mura esterne dipinte di rosso scarlatto. Viene adibita da Pea a magazzino per marmo e legname, a segheria, al commercio minuto di saponi, candele, prodotti d’uso quotidiano e allo smercio di finto Chianti. È “ritrovo per la gente scomunicata e sovversiva che da tutte le parti del mondo ivi si dava convegno con i propositi ribelli alla società e a Dio”. Diviene luogo d’incontro di avventurieri, giramondo, anarchici, vagabondi “senza patria e senza Dio”, di Armeni, Bulgari, Russi, “era un’arca di Noè di popoli, e ci venivano di belle figliole, qualche vecchio fauno, e qualche strega”, “e si discorreva d’embriologia e di libero amore, del pudore e del tornare a viver nudi”.
Nel 1909, un incrociatore russo, dopo aver soccorso i terremotati di Messina, entra nel porto di Alessandria d’Egitto. Un collega di Ungaretti al “Messaggero egiziano”, Mohammed Sceab, che ha assunto una netta posizione in favore degli ammutinati, lo invita alla Baracca Rossa e gli presenta Enrico Pea.
Nello stanzone si ritrova tutto il gruppo dei marinai russi che hanno deciso di disertare. L’incrociatore per tornarsene al Mar Nero deve aspettare un’altra compagnia di marinai. Uno degli ammutinati, “un apostolo biondo” studente di matematica, trova rifugio in casa di Ungaretti, allora ventenne, su suo invito. La madre, donna energica, quando vede il ragazzo che si spiega a segni, alza la voce: “un’altra volta scegliti un amico che parli cristiano” e facendosi più cupa: “anche un figliolo anarchico doveva toccarmi, e poeta. Non hai più timore di Dio. Poveretto! Ravvediti, figlio ravvediti”. La madre, esasperata, nel tentativo di correggerne il temperamento anarchico e ribelle, chiede l’intervento di un frate. Il giovane Ungaretti prova a bruciargli la barba “se ne andò dicendo che mi perdonava”. Solo col passare del tempo “venne tanto mutamento nei cuori. Eccomi per tre quarti quasi ravveduto”.
“Caledonian Road” di Andrew O’Hagan – traduzione di Marco Drago (Bompiani)
Una storia senza innocenti o vincitori, ma solo persone ferite che riescono a farcela con quello che resta dopo un evento drammatico destinato a essere uno spartiacque nelle loro vite.