Ascolta il racconto in versione audio letto dall’autrice Annalisa De Sivo su Spreaker di Genius.
Antonio Pulicillo fin da guagliuncello sapeva, grazie a mamma, a nonna e a zìeta… che la morte al momento giusto arrivava e faceva l’appello di chi doveva portarsi via.
Sara’ stato vero? chissà, ma lui ci credeva.
Nella vita era stato fortunato e quella mattina che la nebbia aveva avvolto tutta Torino, se ne stava tranquillamente seduto su di una panchina del parco a leggere la Stampa, per prima cosa gli si appannarono le lenti e per seconda perse di vista l’articolo che stava leggendo.
“Che città del cazzo, la nebbia non si sa quando scende e non si sa quando sale” strillò con un lamento straziante di nostalgia per la sua Napoli, il sole, il mare le notti stellate, i babbà… e con un sospiro fece una palla delle pagine del quodidiano e se le tirò dietro alle spalle… Antonio si alzò il bavero del cappotto, si stava gelando là seduto come un fesso e il freddo gli era penetrato sotto i vestiti.
Avvertì uno scricchiolio e dopo una voce profonda uscire da quel nebbione:
“Ma lo sa che parlare da solo è un sintomo di decadenza senile?”
“Io parlo con chi cazzo mi pare e quando mi pare“ e poi voi, da dove sbucate e chi siete: il dottor Freud?” la voce profonda continuò “lo conobbi il dottor Freud, alcuni anni fa, uomo di grande ingegno, ma che le devo dire, anche lui morì come l’ultimo degli uomini.”
“Anch’io al manicomio di Aversa conobbi un Re Franceschiello di Borbone che se ne andava in giro con una feluca di giornali vecchi in testa… ma morì come il primo degli uomini”
“Lei signore, non mi crede perché non sa chi sono io”
“Senta lei signore, io non so chi è lei e nemmeno lo voglio sapere”
“Io sono signorina prego, ma come si permette?
“Signorina? Con quel vocione” uno scricchiolio ripetuto fece sobbalzare il Signor Antonio.
“Mi perdoni la curiosità, ma è lei che fa questo rumore?”
“Sono le ossa… quando mi muovo scricchiolano”
“Ma per dio si faccia curare… dove se ne va in giro scricchiolando come un albero vecchio” una risata gli stava eplodendo in gola e per frenarsi Antonio cominciò ad emettere singhiozzi e dei sibili gli uscivano dal naso….
“Sono giunta al momento giusto, vedo che voi state per trapassare a nuova vita”
“Ma quale trapassare, ci mancava lo jettatore dentro la nebbia… signorina ma lei a parte la raucedine, le ossa scricchiolanti è pure uno schiattamuorto?”
“IO SONO LA MORTE!”
“Ma fatemi ‘o piacere… e su non si deprima può succedere a tutti una giornata no, poi co sta nebbia agli irti colli c’è poco da stare allegri”
Lo scricchiolio si mosse e una mano secca arpionò la spalla di Antonio…. Antonio sobbalzò e innervosito da tanta confidenza saltò in piedi, e attento a non ruzzolare cacciò uno strillo da vaiassa dei quartieri spagnoli: “non mi tocchi, e poi tutta sta confidenza da dove le viene, sono sposato da 30 anni e non ho mai tradito mia moglie”.
Lo scricchiolio si rimosse: “IO SONO LA MORTE E SONO VENUTA A PRENDERVI. Voi vi chiamate Antonio Pulicillo?”
Fu in quel momento che Antonio capì che era meglio farsi furbo, non era vero ma ci credeva.
“Ma che dite, io mi chiamo Alvise Collaforte e tengo buona salute”
“Lei non è nato a Posillipo?”
“A Posillipo? , ma non dia retta come si vede che non capisce i dialetti. Io sono Alvise Collaforte nato a Torino 65 anni fa, neh… ma come vi viene in mente…”
Tra lo scricchiolio di ossa Antonio avvertì uno sfogliare di pagine “mi dica Signorina è il momento di mettersi a leggere che co sta nebbia non si vede neppure la punta del naso, ma lei ce l’ha il naso?Ah! Ah!
Il vocione sussurrava frasi sconnesse… ‘nel mio libro nero… e non mi sono mai sbagliata, c’e un Antonio, non me ne posso andare a mani vuote. È impossibile.’ “lei è sicuro di non chiamarsi Antonio?”
“Ve lo firmo col sangue se volete, neh” disse Antonio facendo le corna e grattandosi le parti intime
“Ah! adesso vedo… avete ragione non siete voi quell’Antonio, ci vediamo alla prossima Signor Alvise, tanto non manca molto, alla prossima… uno scricchiolio frettoloso si sfumò nella nebbia
‘Ma quale prossima, vattenne figlia di una grande zoccola’.
Mentre la morte se ne scappava la nebbia si dissolse.
Antonio saltò giù dalla panchina prima si guardò a destra e poi a sinistra, della signorina tutt’ossa non c’era traccia… con passo veloce e un po’ traballante si avviò verso casa, aprì la porta e appena entrato vide la sua sposa seduta in terra piangere disperata.
“Marì che te successo. Marì mia bella”
Maria seduta in terra teneva tra le braccia un vecchio cane…
”Antonio è morto, è morto Antonio povero amore era come un figlio per me neh… e tu gli volevi tanto bene che l’avevi chiamato come te neh”
‘Appunto’ pensò Antonio con i sudori freddi che gli salivano e scendevano per tutto il corpo, ma non voleva raccontare della signorina tutt’ossa a Maria… lei era del Nord, non gli avrebbe mai creduto o peggio l’avrebbe preso per pazzo.
“Gesù Marì, Antonio aveva quasi vent’anni, ha fatto una vita bella, non piangere amore della mia vita… adesso vado al canile e te ne porto uno uguale uguale… però questa volta lo chiamiamo Alvise…
“Alvise come mio padre?” piagnucolò Marì.
“E perché; non gli vuoi bene a tuo padre?”
Anche Alvise padre si salvò dalle grinfie della morte, mentre Alvise cane trapassò a miglior vita che non aveva tre anni lasciando Maria straziata dal dolore e con la ferma convinzione di non volere mai più un altro cane. Antonio intanto aveva iniziato a soffrire d’insonnia, perché alla notte come chiudeva gli occhi qualunque scricchilio lo faceva sobbalzare, svegliandolo sudato e morto di paura.
E così passarono gli anni, la sua sposa Maria si ammalò e morì durante uno di quegli inverni freddi Piemontesi, lui quasi centenario non si pigliava manco nu raffreddore correndo mezzo nudo sotto la pioggia, il vento o la neve. Si tirò dal balcone e rimase illeso, si tuffò nel Po con le tasche piene di pietre e le tasche si bucarono, si riempì di pillole che invece di ucciderlo gli curarono l’artritre e l’emicrania… niente! ‘Antò sì immortale’ si disse tra se e sè… frequentava più funerali che feste… non c’era rimasto più nisciuno degli amici e dei parenti solo quello scassambrella di suo suocero Alvise che pure lui, fuori lista, non si decideva a morire nemmeno acciso… finirono col vivere insieme per farsi compagnia e per dividere quelle noiose giornate che non finivano mai.
Antonio separò il tavolo della cucina con una specie di muraglia cinese costruita con i lego… non voleva manco vedere le schifezze, a suo pensare, che si mangiava Alvise che da buon Piemontese amava cibarsi di gorgonzola, zuppe a base di aglio e come bestemmia finale ‘o caffè con dentro il cioccolato… mangiavano a orari differenti e rigorosamente si parlavano a cenni; Alvise non capiva il napoletano e Antonio si rifiutava categoricamente di capire il Torinese… era una vita d’inferno e Antonio ne sapeva il perché, ma come spiegarlo a quel fesso di Alvise? quello se ne andava in palestra, faceva l’idiota con le guaglione della sua età, si scolava litri di barbera isomma, stava felice con la sua eternità e rideva, rideva sempre e più rideva e più Antonio lo odiava, tantè che un giorno tentò di pugnagnarlo con un coltello di cucina, ma la lama si spezzò… tutto era inutile.
Una notte ad Antonio gli presero le furie, stava seduto in cucina con l’ignaro Alvise che russava beato dall’altra parte della casa, la sveglia elettrica appoggiata sul frigorifero segnava le ore: le due, le tre, le quattro Antonio si alzò prese la sveglia la sdradicò dal muro e la lanciò fuori della finestra, così fece con i piatti, il tostapane, con la muraglia cinese e con tutto quello che gli capitava a tiro… dove sei figlia della grande zoccola, ti sto chiamando signorina tutt’ossa fatti vedere adesso, in questo istante e subito… cazzo!
La luce si spense e in quella penombra si udì uno scricchiolio di ossa che Antonio riconobbe subito
“Finalmente sta qua signorinella e c’è ne voluto di tempo”
“sig. Alvise ha invocato la morte, de eccomi qua… che posso fare per lei?”
“Come che può fare per me, il suo mestiere… lei non è la morte? e io voglio morì”
“Si rassegni è ormai fuori lista e chissà quando ricapiterà”
“E che devo fa, aspettà mill’anni?”
“Questo non lo so, ma potrebbe anche accadere… e poi una cosa sig. Alvise lo sa che figura ci ho fatto lassù, per essermi portata via più cani che umani?”
“E che me ne fotte a me… voglio morì”
“Lo scricchiolio si spostò, ci vediamo sig. Alvise un giorno… chissà! O una notte… chissà! Mi saluti a suo suocero… la luce si riaccese lasciandolo da solo in cucina come un fesso e con l’eco di uno scricchiolio di un albero vecchio che si allontanava nella notte.