Cieco è colui che non vede oltre il proprio naso. Cieco è colui che non coglie il sapore oltre la propria lingua.
Di botto, una mattina, gli esseri umani non percepiscono più il gusto. La lingua sfiora un freddo gelato, le papille gustative rinsecchite non comunicano al cervello il sapore. Il mondo andrà in rovina?
Per Saramago, in Cecità, dove non è il gusto a sparire ma la vista, sì. Sì perché equilibriamo la nostra esistenza su tutti e cinque i sensi e l’assenza di quello ritenuto il più importante, porta la società ad una escalation di violenza e riorganizzazione strutturale.
Mentre il nucleo sociale raccontato nel libro implode come impazzito dall’improvvisa assenza di vista, la narrazione di Saramago, nel suo stile unico privo di una punteggiatura classica e quindi in apparenza complessa, scivola invece pagina dopo pagina liscia e corposa. Così come dovrebbe essere il passaggio della lingua da un gusto a un altro su un cono ben assortito da gelati saporiti e ben bilanciati, il ritmo del gusto segue il ritmo della narrazione.
Tornando all’assenza di vista, reputo la metafora di Saramago calzante con i nostri giorni, stiamo implodendo privi di raziocinio e rispetto del nostro popolo come se non vedessimo più il fine ultimo dell’umanità.
E per il gusto? Se perdessimo il gusto, forse ricorderemmo che il piacere intrinseco della tavola è il nutrimento e la convivialità, oltre il piacere dell’ego moderno che rende l’alimentazione una moda occidentale da incastrare nel frame di una foto priva, appunto, di sapore.
Foto: particolare della copertina del libro Cecità di José Saramago pubblicato da Feltrinelli