Video realizzato nel 1971 dalla Televisión Nacional de Chile, girato a Parigi in occasione del pranzo di festeggiamento del premio Nobel a Neruda. Il giornalista che conduce il programma è Augusto Olivares, all’epoca direttore della redazione giornalistica TV. Olivares, soprannominato “el perro”, consulente e grande amico di Salvador Allende, gli restò accanto fino al giorno 11 settembre 1973. Dal racconto di Luis Sepúlveda: “Con la Moneda assediata, Allende diede ordine di far uscire chiunque lo desiderasse, lui sarebbe rimasto a baluardo della Costituzione e della legalità democratica”. All’interno del palazzo della Moneda morirono due persone: il giornalista Augusto Olivares e il presidente Allende.
Olivares introduce i due autori e annuncia la conversazione in cui Pablo Neruda parlerà di poesia e García Márquez di narrativa. (min.4,23- inizio dialogo)
Olivares – Lo straordinario scrittore colombiano García Márquez dice che se dovesse riprendere una delle attività svolte in passato, tornerebbe al giornalismo. Ora è qui in veste di scrittore, però noi gli abbiamo domandato di rivivere la sua esperienza di giornalista per conversare con il suo amico Pablo Neruda, Premio Nobel 1971.
Olivares – Per favore, onorevole
Gabo – Classico giornalista, inizia dicendo una cosa e conclude affermando l’opposto. Quel che ho detto, quel che ho inteso dire è che mi piacerebbe tornare al giornalismo ma soprattutto all’attività di cronista. Perché ho l’impressione che via via che ci si immerge nel lavoro letterario, si perda il polso della realtà. Al contrario, il lavoro di cronista ti avvantaggia perché ti riporta ogni giorno a contatto con la realtà immediata. Se questo succede a un romanziere, mi piacerebbe sapere che cosa ne pensi tu, Pablo, di quel succede a un poeta: la poesia ti allontana dalla realtà o ti aiuta a interpretarla, a scoprirla?
Pablo – Bene, in realtà il poeta ha una certa tendenza ad allontanarsi dalla realtà viva, vivente, dall’attualità ma soprattutto il poeta degli ultimi anni, a partire da inizio del XX secolo. Dopo Mallarmé e i poeti più ermetici. E io personalmente ho invidiato la condizione del narratore che mantiene un contatto, un accesso diretto al racconto della cronaca, che è stato abbandonato dalla poesia. Ma che era una fonte della poesia quando la poesia si chiamava poesia epica. Mai più è stato attribuito alla poesia questo appellativo. Io ho sempre avuto una tendenza alla poesia epica, ho sempre nutrito invidia verso i narratori che riescono a raccontare tante cose. E se c’è uno scrittore, e spero che mi perdonino tutti e tu stesso qui presente, in cui si coniugano da un lato l’indagine, l’osservazione della realtà viva e dall’altro la rappresentazione della realtà magica, uno di questi esempi di narratore è Gabriel García Márquez. Con cui sto parlando in questo momento.
Gabo – Io aggiungerei che, e non so se per vocazione o per un processo di evoluzione che sto attraversando, sento in verità la tendenza a tradurre il racconto, la narrazione in poesia. Quel che sto realizzando ora è quasi l’ambizione stessa del mio lavoro, quella cioè di cercare soluzioni poetiche anziché soluzioni narrative. Quel che non so dire è dove ci condurrà questa conversazione assolutamente falsa, realizzata per la televisione.
Pablo – Non così falsa, come credi. In molti momenti della mia vita io ho cercato di convertire il mio lavoro percorrendo la tua stessa strada al contrario: cercando il modo di narrare qualcosa, realizzare un racconto. Inoltre, io non ho avuto paura di attraversare qualsiasi esperienza, perché quando ormai si odiava la Poesia Epica, la poesia che racconta qualcosa, e che nessuno cercava più di scrivere, quella che racconta la storia di un popolo, come Omero, o la lotta civile e le passioni di contemporanei, di persone realmente esistite, come Dante, quando nessuno più si proponeva di fare questo, realizzare qualcosa di simile, io miravo a questo genere, pur senza essere né Omero né Dante. Analogamente mi sono proposto di comporre della poesia didattica, che ormai si è presa in odio, della poesia che insegni qualcosa, genere che invece io mi sono proposto.
Quel che influenza te, spinto dal tuo stesso temperamento o dal tuo sviluppo, a cercare la poesia, determina me a spingere la poesia verso la narrativa; sono parti dello sviluppo di uno scrittore, il quale deve avventurarsi in tutti gli angoli che esistono, come un cronista, come dicevi.
Gabo – Credo che possiamo arrivare, tu come poeta e io come narratore, e, più in generale poeti e narratori, ad una coesistenza pacifica…
Pablo – Sono d’accordo
Gabo – Nel senso che i narratori siano sempre più poeti e i poeti sempre più narratori, senza più litigare a questo proposito, al punto da diventare molto amici, così amici da rallegrarsi moltissimo i narratori quando vince il premio Nobel un poeta, come lo sono io adesso che tu hai vinto il premio Nobel, come spero che sarai felice tu quando il Nobel verrà assegnato a me, perché ho l’impressione che, per come vanno le cose e per tutto quello che vai dicendo di me, tu stia influenzando in maniera sospetta l’Accademia Svedese.
Pablo– Non è sospetta, non è un mistero per nessuno che per me meriteresti qualsiasi riconoscimento per il tuo gran lavoro. Ma per tornare al tema, io ho sempre provato invidia verso i narratori e ti dico perché: mi sono sempre sentito incapace di raccontare in prosa. Prova ne sia che penso sempre: ahi, come vorrei incontrare un narratore per riferirgli questo, dal momento che tu sei sempre in viaggio a cercare un modo per vivere in Colombia, a Barcellona non posso mai acciuffarti per raccontarti quello che ho appena saputo, appena visto.
Gabo – Curioso è che ogni volta che mangiamo insieme, ogni volta che ci incontriamo, tu racconti delle storie stupende; basterebbe sistemare un microfono e sarebbero già scritte, sarebbero una magnifica narrazione.
Pablo– Se mettessimo davvero il microfono, vedresti che ce ne sarebbero di pessime che nessuno vorrebbe leggere. Lo dico a ragion veduta, a questo riguardo mi sento convinto. Al contrario ti dico francamente che nella poesia, ammesso che presenti difficoltà, problemi come un qualsiasi lavoro, io nuoto come un pesce nell’acqua in questo fiume, o piccolo oceano che è la poesia. Non per niente esistono i generi, non è un caso che si siano diversificati ma in fondo io sono lettore di tutti i generi di racconto, mastico narrativa, leggo romanzi poetici che si scrivevano un tempo, già prima che li scrivessi tu, leggo i romanzi realisti e al tempo stesso leggo dozzine di romanzi polizieschi. E veramente la narrativa è imprescindibile. Trovo un contro-senso che una persona prima di un viaggio in treno si compri uno dei miei libri, non penso che sia naturale. Sai quanto mi piacerebbe spiare attraverso un finestrino qualcuno che compri un libro mio, paghi e salga e si prepari così a una giornata di viaggio ferroviario ma è più logico che questo tipo, questo signore, questo viaggiatore compri dei racconti. Dico che la narrativa è il piatto forte, la bistecca della letteratura. Le persone vogliono mangiare “robusto”.
Gabo – Se la narrativa è bistecca cos’è invece la poesia?
Pablo – Ah la poesia è un’altra cosa, è una specie di atto, è un poco pedante quello che dico, è parte dell’amore, parte della lezione dell’amore, è qualcosa di più intimo, raccolto. Ma tutto questo è discutibile perché amo anche la poesia con grandi ambizioni, che si dirige all’esterno, verso un movimento di massa. Però chi prende in mano un libro di poesie in realtà è per leggerlo, per accoglierlo in una comunicazione personale, esclusiva, segreta tra il poeta e parte dell’anima della persona che sta leggendo. Questa comunicazione soggettiva, esiste ed è vera, la senti come una corrente elettrica alterna, l’altra la avvertono tutti.
Gabo– Ho l’impressione che il tema sia esaurito. Così come il tempo e il resto. Son curioso di vedere come tu (Olivares) ci farai uscire da questa conversazione. Perché le buone conversazioni sono quelle che intratteniamo io e Pablo quando restiamo da soli, senza tanti giornalisti, microfoni e telecamere.
Olivares, fuori campo– So che vi siete riuniti a cena per tre e quattro sere consecutive, tenendo grandi conversazioni.
Gabo – Abbiamo parlato sempre, esaurito gli argomenti e non è avanzato niente per questa intervista.
Olivares, fuori campo – Qualche altro spunto?
Gabo – Prima che termini il tempo, vorrei cogliere l’opportunità per inviare al grande popolo cileno in primo luogo le mie congratulazioni per il meritatissimo riconoscimento fatto a un poeta cileno, che per me è il maggiore poeta del XX secolo, di tutti gli idiomi, e per inviare al popolo cileno i miei sentimenti di solidarietà e grande allegria per la straordinaria esperienza del Frente Popular.
Pablo – Bene Gabriel, lasciami salutare e, tornando ad assumere funzione di ambasciatore, ti ringrazio per i tuoi affettuosi saluti al Cile così come per i riferimenti alla mia persona. Io porrei in ordine inverso le cose e mi congratulerei con il Cile per la sua volontà e la sua decisione di trasformare una parte del nostro continente, per dare giustizia, dignità, al mio Paese, alla mia patria, al mio popolo. Bene credo che stiamo terminando e come novità per il popolo cileno che mi ascolta, voglio far parlare un nuovo personaggio, non dobbiamo conversare solo tu ed io qui ma presenterò l’ultima belva che porto dall’Africa. Un leone, un leone autentico e gli chiederemo che pensi di questi due “tios”, vecchi zii che chiacchierano tanto, di questi due signori.
Pablo– Il leone è rimasto muto. Tace
Gabo– Il suo silenzio dimostra una saggezza superiore alla nostra. Silenzio molto espressivo
Pablo– E’ più saggio di noi due.