Daniela se n’era andata, col professore di filosofia, la stronza. Non riuscivo a non pensarci. Il medico mi aveva ripetuto:
– Hai bisogno di relax. Evita lo stress.
Dovevo andare in vacanza, rilassarmi, ma soprattutto basta donne. E così dopo aver valutato varie alternative: Hotel con spa, percorsi benessere e corsi di yoga. Per evitare ogni tipo di tentazione, scelgo quell’agriturismo in montagna. Certamente aria buona, senza dubbio buon cibo ma soprattutto pochissime donne.
Appena il tempo di arrivare nella struttura per poggiare i bagagli in stanza e decido di andare a vedere la fattoria. Cavalli fieri nel recinto, mucche e pecore; il vento fresco trasporta odori di fieno e avena. Sembra tutto perfetto. Ma qualcosa non va. Mi sento osservato. Mi volto e vedo quella maiala fissarmi. No, giuro, non è un insulto. È proprio una scrofa enorme con due grandi occhi neri e quel fiocco rosa attorno all’orecchio che agita in modo vezzoso.
Distante da lei un porco intento a rotolarsi nel fango.
Continua a guardarmi. Non cede lo sguardo che si fa sempre più pesante. Mi sembra di avere un mirino puntato addosso.
– Vieni. Avvicinati.
inizia ad agitare sinuosamente la coda a ricciolo e comincia a sculettare
– Cosa aspetti… vieni… vieni qui…
Si muove sinuosa e mi sento tirare come una marionetta verso di lei: micro movimenti che seguono quelli del suo bacino. Mi avvicino piano al recinto. Sollevo la mano. La maiala mi guarda languida. Mantenendo lo sguardo fisso su di me, mi indica col muso la coscia.
– Toccala. Toccala che aspetti. Toccami.
La maiala voleva essere toccata, me lo diceva. Daniela invece no. Immersa a leggere i suoi libri di filosofia, se provavo a baciarle il collo si scostava e senza degnarmi di uno sguardo, voltava pagina:
– Non è il momento.
Tra una mostra, la presentazione di un libro o un vernissage: non era mai il momento per Daniela.
La maiala invece mi stava chiamando. La mia mano tremante si avvicina lentamente per poi fermarsi di colpo.
– Non posso. Non posso. Non posso
Mi metto a urlare da solo.
Disturbo anche il porco nel suo bagno di fango. Si alza lentamente sulle zampe, si volta verso di me, mi guarda. Fa un grugnito profondo e feroce. Mi spavento e scosto immediatamente la mano. Spalanca il muso e fa un altro grugnito ancora più forte, ma questa volta è chiaro che si tratta di uno sbadiglio. Impigrito, con lo sguardo assonnato, muovendosi come in una moviola, va a infilarsi nella sua tana: una casupola di legno. Mi lascia solo con la maiala.
Mi guardo intorno. Non c’è nessuno o meglio, nessun essere umano. I cavalli passeggiano nel recinto e le mucche ruminano indisturbate. Nessuno sembra interessato a noi, come se non fosse nulla di speciale.
– Allora che aspetti.
Continua a porgermi le natiche.
– Ma che sei un cappone?
La mia mano riprende a muoversi e tremando senza nemmeno rendermene conto le tocco la coscia. Seguo con la mano le sue curve: quella che fino a ieri era, per me, solo un prosciutto, ora è un sodo e tondo culo.
A Daniela non potevo toccarglielo il culo. Se la sera, guardando la tivù facevo scendere la mano:
– Smettila. Se qualcuno ci vede?
– Ma chi vuoi che ci veda? Amadeus?
– Ecco lo sapevo… Sei il solito porco. Sei l’archetipo del porco maschilista
A me archetipo non me lo aveva mai detto nessuno. Guardo la maiala.
– Secondo te sono un archetipo?
Lei grugnisce. Sì grugnisce, ma non mi giudica.
Salto appoggiando tutte e due le mani alla staccionata e sono dall’altra parte.
Sento sotto le mie scarpe rumore di fango, lo scricchiolio di qualche ghianda calpestata. Mi chino sulla maiala.
– Eccomi
Sussurro accostando le mie labbra al suo muso. Caccia fuori la lingua e mi lecca le labbra. Io chiudo gli occhi e faccio lo stesso. La sua lingua si fa strada dentro la mia bocca. È una ventosa, Daniela non mi ha mai baciato così.
Ma che sto facendo? Cazzo è una maiala. Mi stacco di colpo e spalanco gli occhi. Rivedo il suo sguardo:
– Vieni. Ti voglio
E poi noto quella scritta sul fiocco rosa: “Marta”. Non è una maiala lei è Marta.
Raccolgo un pugno di ghiande da terra e gliele porgo: la nuova frontiera dell’invito a cena.
Marta non guarda le ghiande, ma mi salta addosso travolgendomi.
Ci rotoliamo nel fango. Le nostre lingue si annodano, si cercano. Sollevo lo sguardo. Lei è sotto di me, la guardo: abituato a due capezzoli, a vederne sei non so da dove iniziare. Marta mi si mette sopra e me ne porge uno ad uno.
Poi si alza, si allontana leggermente, mi guarda e mostrandomi le natiche, si mette in posizione per accogliermi. Non stacca lo sguardo da me:
– Vieni. Che aspetti?
Obbedisco. Mi calo i pantaloni. Sono dietro Marta e senza pensarci eseguo il suo ordine. Sento i suoi grugniti, poi arrivano grugniti ancora più forti: i miei.
Terminato l’amplesso restiamo abbrancati l’uno all’altro, a rovinare il nostro idillio il grugnito del porco nella tana. Marta si alza e lo segue.
– Aspetta!
Urlo.
– Non andare.
Avrei potuto salvarla da quel porco.
– Ti amo.
Già immagino di presentarla ai miei. Immagino le cene di Natale con mia madre:
– Marta com’è la lasagna?
E Marta avrebbe dimostrato il suo compiacimento divorando la lasagna con il muso infilato nel piatto. Saremmo stati Felici.
– Aspetta… Aspetta… Aspetta.
Ripeto. Ma niente, Marta non mi ascolta più, non mi guarda nemmeno più. Entra nella tana sculettando lentamente. Passano pochi minuti, forse secondi che la sento grugnire.
La sento grugnire come aveva fatto poco prima con me, anzi forse ancora più forte. Ammutolisco. Non so che dire. Vado in stanza, riprendo i bagagli, salgo in macchina e accendo il motore pronto per andar via. Uscendo dall’agriturismo rivedo quel porcile. Vorrei Urlare: Ma perché? Ma come?
– Maiala.
Quando apro la bocca urlo solo
– Maiala.
“Caledonian Road” di Andrew O’Hagan – traduzione di Marco Drago (Bompiani)
Una storia senza innocenti o vincitori, ma solo persone ferite che riescono a farcela con quello che resta dopo un evento drammatico destinato a essere uno spartiacque nelle loro vite.