Murubutu è un rapper emiliano e docente di Filosofia del liceo Matilde di Canossa a Reggio Emilia. Traduce la storia, la filosofia e la letteratura in rime.
Nel suo ultimo album “Tenebra è la notte” il tema centrale è il buio che ci abbraccia tra il tramonto e l’alba.
E’ durante la notte che il giovanissimo protagonista della traccia “La notte di San Lorenzo” muore scivolando in un crepaccio mentre insieme alla sua altrettanto giovane amica provano ad arrampicarsi per vedere più da vicino le stelle cadere.
La sua voce narrante resta lì tra le vigne e il frumento, in eterno, a raccontare l’entusiasmo e la spensieratezza di quegli anni privi di pesi, quando si poteva immaginare di toccare Orione con un dito solo arrampicandosi un po’ più in alto.
Sogno che appartiene anche al gelatiere più romantico, che privo di malizia come un bambino cerca di sfiorare l’equilibrio di ricette antiche, di creme non perfette ma desiderose di avere lo stesso sapore del gelato dei bisnonni che lui mangiava a pochi anni di età, quello pesato con le caraffe, cieco di matematiche odierne ma vivo di un istinto fanciullesco. Quel sapore rimasto nella sua memoria per decenni.
La voce del ragazzo saluta il ritorno dell’amica tanti anni dopo, è gioioso e sfiora il rimprovero di vederla ormai cresciuta e lontana dal piccolo paese. Nulla è cambiato in lui, il velo di tristezza dell’ascoltatore cosciente della sua morte non intacca la sua gioia fanciullesca ancora solida, perché la sua breve vita si è esaurita per un motivo più alto, l’essere un tutt’uno con la natura, intatto nell’età più ricca d’incanto.
“Per sentirci su un dondolo su tutto il mondo ci dicevamo piano non cresciamo più”, canta Murubutu. Il piccolo non è cresciuto e la morte ha in maniera crudele esaudito il suo sogno. Mentre il gelatiere assaggia un cucchiaino di crema che non sarà mai uguale a quella che il nonno gli passava di nascosto dalla nonna nelle sere d’estate, perché felici come in quei giorni non si torna più.