“Come arcipelaghi” di Caterina Perali (Neo. edizioni)

Senza pretendere di dare risposte, il romanzo racconta un frammento delle storie di alcune donne e delle loro famiglie elettive, i loro legami forti e la loro presenza reciproca nei momenti più importanti dell’esistenza.

Non siamo monadi, ma entità bisognose di altri contatti per vivere, e certi contatti sono necessari alla sopravvivenza della specie umana.

Il bisturi che affonda doloroso nel bisogno, mai risolto, sempre affiorante in superficie, come un boccone che si incastra in gola, o un oggetto che viene risospinto a galla, proprio di ogni donna, anche quelle che non si sentono madri, che un figlio non solo non ce l’hanno ma non l’hanno mai desiderato.

Eppure, siamo lì, la maternità di una ci riguarda tutte, siamo in ansia quando vediamo un bambino che si sporge, gli facciamo ciao quando ci sorride, la bocca sdentata e sbavante. Ecco, questo libro è anche per quelle di noi che non sanno, che non si struggono, che si riconoscono capaci di badare solo alla frana della propria vita, e sentono che non riconoscersi in quel ruolo, in quel desiderio, non ci rende criminali né egoiste, ma solo umane. E in nome di quest’umanità, spesso miracolosa, protettiva, nasce il bisogno bruciante di far nascere un figlio, da sole, senza un padre, con la pratica dell’inseminazione eterologa, che in Italia non è possibile per le donne single, come se l’esser incastrate in un involucro familiare tradizionale fosse l’unica possibilità. Esistono varie specie di famiglie, dove intendiamo la famiglia come il luogo nel quale ti rifugi, oltre che quello dal quale scappi.

Lo sa Jean, protagonista, insieme a una folla colorata di donne, della storia. “Perché ti chiami Jean?” “Mia nonna era di Marsiglia”, risponde sempre, un po’ svagata, convinta di stare raccontando una mezza bugia. In verità, come lei stessa scoprirà, Marsiglia c’entra molto con la sua storia e la sua venuta al mondo, come scoprirà parlando con il padre.

Jean è una donna moderna, felice a suo modo, ha una relazione dai tempi dell’Università con un ragazzo, Carlo, adesso uomo, che è diventato un brillante architetto, e per lavoro vive a Roma. Salvo che per le vacanze, la loro storia non è mai stata fatta di convivenza, loro si ritrovano nel rincorrersi, un week end a Roma, uno a Milano, da lei, nella casa dove gli fa trovare i gamberi freschi e il vino, sempre lo stesso tipo, ghiacciato al punto giusto. Siamo liberi da una routine, pensa Jean, di pranzi domenicali e riti familiari, tranne il Natale, e una volta l’anno si tollera. Liberi dalle proiezioni della società sul corpo femminile, che a una certa età fa domande e si meraviglia quando una donna non tiene un bambino per mano.

Jean si mantiene con le dirette Instagram di un programma che ha deciso di chiamare “Rubrica di sostegno generico”, dove si occupa di attualità e di leggerezza, intrecciando vicende private e pubbliche, dando al pubblico il giusto grado di partecipazione, senza competenze specifiche, ma con quel grado di conoscenza adatto alle conversazioni social. Questo e una rendita lasciata dalla nonna danno la possibilità a Jean di non dover cercare lavori noiosi con scadenze, capi da compiacere e colleghi da subire. La sua redazione è per lei una forma di famiglia, con la quale ha un legame affettivo altrettanto potente di quello del sangue. E ha legami anche con le sue vicine di casa, una comunità femminile ed eterogenea, fatta di un ballatoio comune, piante, caffè e chiacchere.

L’equilibrio del palazzo si scuote quando Chiara, la nuova inquilina, urla al telefono che ha bisogno solo di sperma. Per poter avere un bambino. Non di un compagno, e neanche di una relazione occasionale, solo di sperma di un donatore anonimo, che le somigli come fenotipo, e che non faccia in futuro rivendicazioni sul prodotto dell’inseminazione, che sarà figlio solo di Chiara. Quello che viene raccontato nel libro è la scissione della procreazione dal sesso, dal desiderio verso un corpo, dove quello che resta è quel desiderio bruciante, annichilente, di stringere un bambino, di cercargli somiglianze addosso, e sforzarsi di fare del proprio meglio. Sbagliando spesso, come succede a tutte le madri.

Jean non sa, non conosce nulla di donne che si fanno congelare gli ovuli, per poterli usare quando servirà, oppure lo doneranno a una sorella, a una cugina, a una cara amica che ne ha bisogno. Sono centinaia, forse migliaia, le donne, single, etero o lesbiche,  e anche coppie, sia etero che omogenitoriali, che cercano soluzioni o miracoli, nelle cliniche estere, per poter soddisfare il loro desiderio. Sono storie sommerse, di persone marginalizzate, che rivendicano il diritto di essere madri, e anche quello di formare una famiglia. Perché in Italia, viene incoraggiata la maternità attraverso la procreazione medicalmente assistita e negata a chi non rientra in certe tipologie?

Senza pretendere di dare risposte, il romanzo racconta un pezzo, minuscolo, delle storie di queste donne e di queste famiglie elettive, i loro legami forti e la loro presenza reciproca nei momenti più importanti dell’esistenza.

Jean non ha mai avuto alcun desiderio di maternità; eppure, è colpita dalla forza di Chiara, dai sacrifici che impone al suo corpo con le punture per la stimolazione ovarica, e decide di seguirla in Spagna, per capire da dove proviene quel bisogno cieco di maternità a tutti i costi, e anche per confrontarsi, invece, con l’assenza del proprio desiderio. Forse c’è qualcosa di potente nell’essere madri, al punto da rinunciare a progetti di vita già in corso, in nome di quel desiderio, che pure molte non riusciranno a realizzare.

In Spagna Jean conoscerà una piccola comunità di donne, cis etero e lesbiche o trans, tutte alla ricerca di tasselli perduti. E le verrà voglia di saperne di più, di quelle donne, aspiranti madri, delle quali si è sempre disinteressata.

Anche per me questo viaggio è stata una scoperta, un rinegoziare aspetti di me che credevo non avrei più messo in discussione. Io che penso che non sarei mai in grado di occuparmi di un essere piccolo e capace di catalizzare affetto e far cambiare le priorità. Io che penso che essere viva è già abbastanza senza cercare di crearne altra, di vita.

Provo molto affetto per le storie di queste donne. Penso che tutte loro, e tutte noi, in fondo, proviamo a fare del nostro meglio, le braccia in affanno, con il bisogno di toccare e di essere toccate, con gentilezza, con rispetto.

 

“Cosa dirai a tuo figlio, quando ti chiederà di suo padre?”

“Gli risponderò che quando ho scelto di averlo non amavo nessuno, ma che avrei amato tanto lui.”

“Il concetto di interdipendenza vale per tutti. Anche per chi non vorrebbe averci tra i piedi.

Siamo arcipelaghi nel mare dell’esistenza, l’acqua che ci schizza addosso è la stessa per tutti. Cambia solo il vento. Non avere rapporti con gli altri non è un lusso, è un’illusione, anche se continuiamo a farlo.”

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Marilena Votta

Marilena Votta nasce a Napoli e trascorre la sua infanzia e adolescenza in un luogo fatto di sole accecante e ombre altrettanto tenaci. Ha pubblicato le raccolte di racconti Equilibri sospesi, La ragazza di miele e altre storie (Progetto Cultura, 2016) e Diastema (Ensemble, 2020), e la raccolta di poesie Estate (Progetto Cultura, 2019). Il suo racconto “Fratello maggiore fratello minore” è stato pubblicato nell’antologia “Roma-Tuscolana”. Alcuni suoi racconti sono disponibili su varie riviste on line e cartacee. Nell’ottobre 2021 pubblica il suo primo romanzo, Stati di desiderio, con D editore. Del suo rapporto con la scrittura asserisce, convinta, che è il suo posto nel mondo. Scrive recensioni di libri che ama per "Dentro la lampada", la rivista della scuola Genius.

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