La battaglia (da “Il formicaio di Marta”)

Un terreno era disseminato di cadaveri, senza sangue, senza grida.

Il 10 settembre del 1943 nel vecchio formicaio sotto al tiglio era in atto un feroce combattimento tra le formiche nere che da sempre lo abitavano e altre più piccole rosse. Marta passando di lì con un grosso innaffiatoio si fermò a guardare. Pareva quasi di sentire il clangore della battaglia, di mandibole che cozzavano, si serravano tranciando teste, addomi, altre mandibole.

Le piccole erano molto aggressive, attaccavano il nemico imponendosi grazie a una migliore strategia di combattimento, portavano scompiglio fra le formiche autoctone che difendevano eroicamente l’ingresso del formicaio, ma in modo scomposto. Da alcuni ingressi secondari uscivano file di formiche che tentavano di mettere in salvo le pupe, ma anche quelle venivano attaccate dagli aggressori che uccidevano adulti e progenie.

Dopo pochi minuti il terreno era disseminato di cadaveri, non c’era sangue però, non si sentivano grida, agli occhi di Marta la scena appariva piuttosto asettica.

A momenti le formiche nere riprendevano il controllo, ma le altre arrivavano sempre più numerose, assediando il formicaio senza lasciare scampo.

Marta vide una formica nera lottare strenuamente contro tre più piccole che l’attaccavano simultaneamente. Con le grosse chele riusciva a tenerne a bada due e, quando la terza da dietro le staccò metà di una zampa, con uno scatto repentino del capo si girò scagliando le due lontano e brandendo le chele verso l’altra, riuscì a ghermirle la testa staccandogliela di netto. Attaccata nuovamente, anche con una zampetta di meno, tentava ancora di difendersi, era forte e determinata. Ma quando ad attaccarla furono quattro, forse cinque formiche decise a eliminare quell’ostacolo, si lasciò sopraffare.

Marta avrebbe voluto intervenire in favore del vecchio formicaio, ma continuava a guardare la battaglia senza riuscire a fare nulla. Quando però alcune rosse particolarmente aggressive salirono sulle sue caviglie e cominciarono a morderla, decise di svuotare tutta l’acqua sul terreno. Sapeva che anche tante formiche nere sarebbero morte, ma le rosse, seppure fossero riuscite a salvarsi, si sarebbero dovute allontanare mettendo così il formicaio momentaneamente al riparo e dando il tempo alla colonia nera di riorganizzarsi per recuperare le forze.

Inondò le radici del tiglio con un getto violento, vide gli insetti aggrappati gli uni agli altri trascinati via. Le sembrò di riconoscere la formica guerriera, con le zampe ritratte, galleggiare via insieme alle nemiche, allora si chinò, le avvicinò un bastoncino sperando che ci si aggrappasse, ma si rese conto che tutte le formiche avevano le zampe ritratte, erano rannicchiate nell’estremo tentativo di proteggersi e le tornò in mente lei bambina, in cantina, nella risega dietro all’armadio, seduta in terra con le braccia che stringevano le gambe e la testa fra le ginocchia.

Ormai l’ingresso del formicaio era indistinguibile, intorno la devastazione dell’alluvione: più nulla di vivo si muoveva sul terreno. Marta rientrò in casa con l’inquietante sensazione che qualcos’altro di tremendo stesse accadendo a Roma.

 

 

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