“Le aviatrici” di Helen Humphreys (Playground)

Un romanzo che racconta del perché abbiamo bisogno di impegnarci in imprese pericolose, rischiando la nostra unica vita.

Mescolare realtà e fantasia. In fondo, il romanzo è la verità dentro la bugia. Così Helen Humphreys, prendendo spunto dai voli di Amelia Earhart, racconta di due aviatrici, Grace e Willa, la prima ormai nota e avviata al successo e la seconda agli inizi della carriera nel pilotare aerei, che vogliono battere il record mondiale di volo in doppio su Toronto, nell’estate del 1933, dal 1° al 25 agosto. Quel record è detenuto dal marito di Grace, Jack, che è anche incaricato di provvedere al rifornimento di carburante e pasti in volo. Superare i limiti, sfidare la morte per sentirsi viva, queste sono le motivazioni di Grace, oltre che abbattere i pregiudizi verso le donne pilota. Il Canada sembra un avamposto tranquillo e sonnacchioso, dove la notizia del volo scuote e anima le calde giornate estive, portando un senso di attesa. Il familiare ronzio dell’aereo diventa un piacevole argomento di conversazione e una visione rassicurante. Finché si vola c’è speranza. Ma gli echi delle persecuzioni naziste sono presenti anche a Toronto, dove il Club della Svastica inneggia alla follia hitleriana.

Sulla terraferma, persa nei suoi sogni di preadolescente, c’è Maddy Stewart, figlia di un giostraio scozzese e di una donna ebrea, Del, che ha il dono di prevedere il futuro soltanto toccando oggetti e che diviene, insieme al fratello pugile professionista, bersaglio di ritorsioni. Maddy, affascinata dal volo di Grace e dall’illusione di libertà e leggerezza del volo, si convince che Grace sia sua madre, e questa forma di fantasia è la sua forma di ribellione contro la fragilità della vera madre, picchiata dai nazisti e contro il suo rifiuto di essere ebrea, fatto che la ragazzina vive come una colpa.

Jack sviluppa una forma feroce di invidia nei confronti della moglie e comincia a scrivere articoli bugiardi sul giornale che consegna a Willa in volo, che le ragazze leggono ma non possono confutare.

Dopo un temporale, che rende inservibili le carte e le matite usate per comunicarsi notizie, bisogni o stati d’animo, le aviatrici si ingegnano e imparano un modo alternativo di comunicare, con i gesti e con il tracciare lettere sulla pelle l’una dell’altra attraverso i vestiti.

Grace è bella e persa nel suo bisogno di superare i limiti, Willa è presa da Grace, intenta a cercare di capire come sia possibile sentire una cascata ingestibile di rispetto e passione per una persona talmente vicina da poter essere sfiorata, ma con la quale non si è parlato abbastanza. Nel silenzio, nell’assenza di linguaggio verbale, nasce una comunicazione intensa e personale, talmente potente da superare la noia e lo scoraggiamento, gli arti anchilosati e la mancanza di igiene (l’unica cosa possibile è strofinarsi la parte superiore del corpo con alcool denaturato).

Avere dei limiti e superarli, mettersi in gioco, sembra per Grace l’energia vitale che la sostiene e qualcosa di simile irradia anche dagli altri personaggi del romanzo, che tentano di vivere nonostante non sappiano cosa stia per abbattersi nelle loro vite all’apparenza serene. Perché abbiamo bisogno di impegnarci in imprese pericolose, rischiando la nostra unica vita? Forse perché la possibilità di perderla ci fa assaporare l’unicità del momento, la brezza e i tramonti in volo, e il senso di distanza dalle mille minuscole cose che affliggono gli umani su terreno solido, lontani dalla consistenza dell’aria. Trovare un motivo per vivere è già molto, in questa vita frenetica, a tratti scomposta e dolorosa, vigile come un occhio, distante come una promessa.

 

“Gran parte di quello che le persone fanno sulla terra sembra un totale spreco di tempo.

Si riempiono le giornate fino alla morte, pensa con tristezza Willa, con dei riti senza senso e con una falsa idea della propria importanza. Al mondo non importa, pensa all’improvviso. Il mondo in cui viviamo, e al quale dedichiamo le nostre vite si disinteressa di noi.

Grace alza una mano per spostarsi l’asciugamano sulla fronte, e le sue dita afferrano il vento, disegnano una forma nell’aria, una parola. Bè, sì. Forse Willa mi ha salvata. E non perché l’ho spinta ad amarmi. Perché l’ho fatta volare. Abbiamo parlato. C’erano molte più cose da dirsi lassù perché non potevamo dirle. Ci sono stati giorni in cui desideravo soltanto regalarle una parola nuova. Solo quello. Una sola. E lei capiva quello che intendevo.

Cielo.

Terra.

Ricordati di me.

Mi ricorderò di te.

Grace sbuccia le parole in aria, con le mani in movimento, l’asciugamano in grembo. Parlare era come volare”.

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Marilena Votta

Marilena Votta nasce a Napoli e trascorre la sua infanzia e adolescenza in un luogo fatto di sole accecante e ombre altrettanto tenaci. Ha pubblicato le raccolte di racconti Equilibri sospesi, La ragazza di miele e altre storie (Progetto Cultura, 2016) e Diastema (Ensemble, 2020), e la raccolta di poesie Estate (Progetto Cultura, 2019). Il suo racconto “Fratello maggiore fratello minore” è stato pubblicato nell’antologia “Roma-Tuscolana”. Alcuni suoi racconti sono disponibili su varie riviste on line e cartacee. Nell’ottobre 2021 pubblica il suo primo romanzo, Stati di desiderio, con D editore. Del suo rapporto con la scrittura asserisce, convinta, che è il suo posto nel mondo. Scrive recensioni di libri che ama per "Dentro la lampada", la rivista della scuola Genius.

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