“Un bambino sbagliato” con Giovanni Lucchese

Parla l'autore di un romanzo autobiografico che diverte e talvolta emoziona, con situazioni quotidiane, scoperte di tutti i giorni, raccontate con una voce credibile di bambino.

Giovanni Lucchese torna alla scrittura narrativa dopo tre anni dal precedente La sete (d editore 2020) con un romanzo che potrà sorprendere chi lo conosce dai libri precedenti. Infatti l’autore di storie d’invenzione, creative e divertenti, in bilico tra postmoderno, fantastico, noir e grottesco (Pop Toys, del 2016, Questo sangue non è mio, 2017, L’uccello padulo, 2018, tutti pubblicati da Alter Ego), si ritrova a pubblicare una storia dichiaratamente autobiografica, addirittura con una sua foto da bambino in copertina. Il romanzo s’intitola Un bambino sbagliato (Arkadia Sidekar 2023) e narra le vicissitudini e le scoperte del piccolo Giovanni. In effetti il romanzo inizia con una situazione degna dei suoi libri precedenti: nella casa di famiglia a Fregene, sul litorale laziale, una notte, l’adulto Giovanni incontra un misterioso bambino di cinque anni. Scoprirà che si tratta del sé stesso di tanto tempo prima. Comincia così una narrazione che diverte e talvolta emoziona, con situazioni quotidiane, scoperte di tutti i giorni, raccontate con una voce credibile di bambino che sembra – a chi come me lo segue fin dal suo primo libro – davvero un Giovanni Lucchese da piccolino con molte caratteristiche simili all’adulto e in più lo sguardo inedito dell’infanzia. A questo punto afferro il telefono e lo chiamo, l’adulto, non il bambino (con tutto che anche lui sarebbe interessante da ascoltare anche oltre questo libro).

 

Sei contento di questo romanzo? Era quello che volevi fare fin dall’inizio oppure è cambiato nella scrittura?

Sono felicissimo, per me è una vera e propria rinascita. Sono sincero, esco da un periodo difficile in cui mi sono sentito come se la mia voce si fosse spenta e io non fossi più in grado di trovare le parole giuste per farmi ascoltare. Una sorta di afasia artistica, che per fortuna sembra essere passata. C’è stato un momento in cui ho pensato che questo libro non avrebbe mai visto la luce del sole. Del resto, mi sono detto, a chi dovrebbero interessare i fatti miei di quando ero bambino? Alla fine ce l’ho fatta, ed è il romanzo che mi inorgoglisce più di tutti, lo considero un inno alla vita, un omaggio a coloro che, volenti o nolenti, hanno contribuito a farmi diventare quello che sono oggi. Il romanzo, come ogni mio testo, è stato lavorato diverse volte, ma in questo caso lo spirito è rimasto lo stesso fino alla fine. La voce del bambino è rimasta squillante nella mia testa durante ognuna delle circa diciotto stesure a cui ho lavorato.

 

Che vuol dire “sbagliato” per un bambino?

Non essere compreso, non sentirsi in linea col mondo che lo circonda, non essere ancora venuto a patti con la sua diversità, non avere i mezzi per comprendere che è sempre meglio distinguersi, in qualsiasi modo, invece di amalgamarsi. Il non capire il perché di tutte queste cose, e il continuare a lottare per cercare di far quadrare dei conti che non saranno mai in pari. Desiderare cose che non si possono avere, cercare la compagnia di chi vorrebbe tenerci alla larga. Entusiasmarsi per cose semplicissime e alzare vere e proprie guerre contro mostri imbattibili. Un senso di inadeguatezza perenne e costante, un disagio moderato che non smette mai di parlarci all’orecchio.

 

In copertina c’è una tua fotografia da imbronciato?

Scherzi, quella è la foto più allegra e solare di tutta la mia infanzia!

 

Quanto sei stato sincero nella scrittura di questo romanzo?

Di solito lo sono sempre, in questo caso di più. È stato un continuo calarmi le braghe in pubblico, non avevo altra scelta. Si può mentire quando si parla di personaggi inventati, ma in questo caso ogni bugia, ogni verità edulcorata o romanzata sarebbe balzata agli occhi del lettore vanificando il senso intero dell’opera. La scrittura autobiografica è molto difficile per questo motivo. Non si deve mai uscire dai binari, non bisogna farsi prendere la mano ma, soprattutto, non si può pensare di farla franca omettendo qualcosa o censurando qualche particolare. Per citare Alanis Morissette, questa è una pillolina spigolosa che va mandata giù senza acqua e che deve nuotare libera nel nostro stomaco.

 

Qualcuno che l’ha letto si è offeso? Oppure solo complimenti? Magari invece serena indifferenza?

Ancora no, ma è presto per dirlo. Per il momento ho ricevuto i complimenti di amici e parenti stretti, che probabilmente hanno comprato il libro senza avere alcuna intenzione di leggerlo, o magari si sono entusiasmati solo a vedere il loro nome citato in alcuni capitoli. Negli anni, ho imparato a fidarmi solo di chi non conosco. La sincerità non deve conoscere affetto, legami di sangue o senso del dovere.

 

Quanto c’è della tua vita di oggi nella narrazione?

In generale moltissimo, quasi tutto direi. Parto sempre da qualcosa che conosco, da qualcuno che mi è vicino o che osservo a lungo. Uso la fantasia per costruire storie attorno a situazioni reali. Non so se si può parlare di autofiction, ma mi piace pensare che tutte le mie storie siano qualcosa che sarebbe potuto accadere solo cambiando qualche piccolo particolare nel mio quotidiano.

 

Eravamo più felici da bambini, o perlomeno tu lo eri?

Difficile dirlo. Altri tempi, una mente meno esigente, rapporti più immediati. Forse però a quei tempi ero molto meno in grado di controllare i miei impulsi, avevo zero senso della diplomazia, non mi accontentavo mai di niente, combattevo senza sosta contro ogni cosa che ai miei occhi appariva ingiusta, e vivevo molto più alla giornata. Più felice non saprei, ma più libero di sicuro.

 

Inizi e finisci con un momento fantastico visionario quasi da film, perché?

Per dare un senso a qualcosa di estremamente reale. La storia si svolge durante una notte in cui il tempo si deforma e ogni cosa sembra possibile, una componente fantastica ci voleva. Per fare un salto nel tempo bisogna compiere un’azione apparentemente priva di senso, o vivere un’esperienza fuori dal comune.

 

Sei al quinto libro pubblicato, cosa pensi della tua “carriera” da scrittore?

Guarda, le cose sarebbero potute andare meglio, ma anche molto, molto peggio. Se ripenso ai tempi in cui ero uno studente che sognava di vedere un suo racconto pubblicato su una rivista online, mi rendo conto di aver percorso così tanta strada da potermi ritenere più che soddisfatto, e al tempo stesso mi sembra che tutto sia accaduto nel giro di due giorni.  Le persone che ho conosciuto, le esperienze che ho fatto, i luoghi che ho visitato e che mi hanno accolto a braccia aperte, questi sono i veri traguardi della mia “carriera”.

In attesa dello Strega, ovviamente.

 

Dovendo scegliere una gran fortuna, preferiresti il premio Nobel o Madonna che canta un tuo testo in una canzone?

Voglio stupirti, caro maestro. Vincerei il Nobel, e chi se ne frega di Madonna. Anche perché, a quel punto, sarebbe facilissimo farmi invitare a cena a casa sua per parlare di cose molto più interessanti del testo di una canzone. Tipo, che ne so, qual è stata la migliore coreografia di Vogue mai realizzata o in quale Met Gala lei abbia indossato il look più iconico.

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Paolo Restuccia

Scrittore e regista. Cura la regia della trasmissione Il Ruggito del Coniglio su Rai Radio2. Ha pubblicato i romanzi La strategia del tango (Gaffi), Io sono Kurt (Fazi), Il colore del tuo sangue (Arkadia) e Il sorriso di chi ha vinto (Arkadia). Ha insegnato nel corso di Scrittura Generale dell’università La Sapienza Università di Roma e insegna Scrittura e Radio all’Università Pontificia Salesiana. È stato co-fondatore e direttore della rivista Omero. Ha tradotto i manuali Story e Dialoghi di Robert McKee e Guida di Snoopy alla vita dello scrittore di C. Barnaby, M. Schulz.

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