Qual è il limite al Male? Gli uomini che trasformano i detenuti-prigionieri in gladiatori e ne traggono profitto sono imprenditori di cosa, esattamente? In un futuro lontano ma non troppo, esiste l’industria carceraria privatizzata unita a una enorme potenza mediatica, per non parlare dell’indotto nato attorno allo sport estremo, diventato il reality show più seguito e amato di tutti gli USA. Gli imprenditori, miliardari, del sistema carcerario hanno elaborato l’adesione al Programma IPAC (Programma di Intrattenimento Penale per Atti Criminali) a detenuti e detenute condannati alla pena capitale o una lunghissima pena detentiva che non riescono più a sopportare il regime carcerario. Le persone che aderiscono sono stremate dalle torture e dalle privazioni alle quali sono state sottoposte, e desiderano fuggire dall’isolamento e dall’inflizione del dolore data con uno strumento simile a un ago, chiamato influencer.
Quando decidono di aderire all’IPAC i detenuti vengono informati che verranno sottoposti a lavori di pubblica utilità, a una procedura chiamata Mischia, in cui dovranno scontrarsi con altri detenuti, e soprattutto che non possono recedere dal contratto, pena l’eliminazione immediata. Dovranno sorteggiare la prima arma con cui scenderanno nell’arena, accettando anche un cucchiaio o una padella, la loro scarsa privacy verrà azzerata, e i loro movimenti, permessi dal sistema, verranno monitorati da droni e poi trasmessi in rete. Da persone diventano personaggi e ruoli, devono scegliersi nomi di battaglia che li identifichino in base a caratteristiche fisiche o attitudini, in modo che gli spettatori possano riconoscerli e amarli. C’è una forma di contatto potente tra i lettori e la narrazione, una modalità di disgregarsi e di ricompattarsi, quasi fossimo anche noi spettatori paganti in quell’arena disumana, travolti dall’ansia di vedere come finiscono i combattimenti.
Loretta Thurwar, con la sua ‘O’ tatuata sulla schiena, che sta per omicidio, sta scontando una pena per aver ucciso la sua compagna, quando decide di firmare il contratto con il sistema carcerario per poter passare a una forma di prigionia diversa. La sua ostinazione la tiene in vita durante il suo primo combattimento, nonostante abbia sorteggiato come arma un cavatappi, e la sua avversaria abbia un martello enorme, ed è decisa a non morire sotto gli sguardi rumorosi di spettatori che fanno il tifo e mangiano zucchero filato. Il programma, basato su un serie di vantaggi chiamati Punti Sangue, si alimenta con il numero di avversari uccisi, ed è interamente basato sulle capacità di sopravvivenza (anche legate alla fortuna) di ogni combattente. A distanza di 3 anni, Loretta ormai è una star, acclamata con il suo nome da battaglia di “Madre di Sangue”, ed è a un passo all’accedere allo stato di Libero. Accanto a lei, nella sua Catena (le Catene sono le squadre che fanno parte dello stesso penitenziario) c’è Hamara, nota come Hurricane Staxxx, con la sua falce Inganno d’amore, che è la donna che ama, e che le ha reso sopportabile l’orrore inscenato e vissuto. La percezione, scioccante, è che questa violenza sia approvata, persino incoraggiata dal mondo libero. Loretta, come molti combattenti-forzati, ha un seguito, una vita di pasti preparati da chef stellati (man mano che uccidono i forzati migliorano le loro condizioni, partendo da panini al burro di arachidi per arrivare a pranzi gourmet), ma è consapevole, a un certo punto, di essere ancora umana, nonostante il primo omicidio che l’ha portata al carcere, e gli altri, non stigmatizzati dal sistema, addirittura incoraggiati e osannati. La Catena di Loretta, leader indiscusso, si impone di somigliare a una famiglia, contrariamente alle altre Catene, perché non si può vivere senza una qualche forma di amore e di fiducia in chi ci sta vicino. E questa è già una risposta al sistema penitenziario organizzato che conduce all’isolamento, al sospetto e talvolta alla follia.
Esiste una forma di protesta capillare e diffusa contro i giochi, e gli attivisti, con a capo Marissa, la figlia di un forzato, vogliono dimostrare al mondo e ai combattenti che vengono visti come persone, i loro veri nomi scanditi a voce alta. Ma i combattimenti hanno creato un sistema alimentato dalla paura (l’obiezione che viene fatta a chi si oppone ai giochi è che si tratta pur sempre di criminali che hanno meritato una pena) e da una forma pervasiva di piacere che non si arresta, vuole sempre uno spettacolo più estremo e crudele. Le carceri servono a proteggere chi sta fuori dalla lama di un coltello, e la segregazione è sufficiente, oppure, visto che la detenzione non frena i crimini, anzi li aumenta, dovremmo ripensare alle possibili alternative di scelte educative? Gli spettatori, entusiasti per la vittoria del loro idolo, che comporta la morte di un altro essere umano, sono dei mostri? Cosa li spinge a gioire, non diversamente dai Romani in estasi al Colosseo, quando a una persona viene tagliata la gola? Cosa si può scegliere in un mondo che è disposto a cancellare il tuo crimine in cambio di tre anni di altri crimini, che vengono percepiti come sport estremo e intrattenimento? Sono domande che indagano nel nostro tempo e nella nostra percezione di crimine, segregazione, perdono, espiazione, sopravvivenza e amore.
Quello che succede è che questo libro ti spalanca un abisso e tu ci guardi dentro e vedi altri esseri come te, che vogliono solo sopravvivere. E poi, inaspettatamente, trovi una storia d’amore. Non solo l’amore, sfolgorante, accecante tra Loretta e Hamara (Hurricane), ma l’amore potente per ogni vita che non vale abbastanza, per ogni momento di grazia e di liberazione dalla prigionia dell’anima e del corpo. Anche con le ‘O’ (Omicidio) e ‘S’ (Stupro) tatuate sulla schiena, siamo esseri umani. Come gli spettatori in estasi nell’arena. Come gli attivisti che sono disposti a farsi massacrare pur di gridare il no alla crudeltà istituzionalizzata. Tutti Esseri Umani.
“Puoi essere schiavo di un uomo, come sono stato io. Puoi essere schiavo dello stato, come ero io prima. Forse a tenerti prigioniero è la voce che ti hanno preso e strappato. È il tuo corpo che vive sotto l’occhio della scossa elettrica. Forse è di questo che sei schiavo. Del desiderio di non essere più schiavo.
Quando sono entrato, sui giochi di morte c’era un dibattito, non si dovevano più fare. Troppo crudeli, troppo malvagi, troppo il peggio del peggio. Così dicevano. Poi hanno cominciato a dirlo di meno. Adesso i giochi di morte sono il nuovo football”.
“È questo che faccio quando non uso le gambe e le braccia per spingere il mio corpo su e giù. Traccio lettere sulle pareti, e mi immagino che brillino al buio sullo sfondo che ho da vedere. Traccio una lettera con il dito. Con il dito sento i grumi della vernice da due soldi sul duro del cemento. Una vernice che non serve a niente. È tutto buio nel mio isolamento. Il buco è senza luce. Per ventitré ore al giorno non ho gli occhi. L’altra ora è qualcosa che non capisco e non conosco e non posso raccontarvi. Fuori mangio un pasto e il mio corpo trema. Ma traccio le linee sulla parete e il mio dito le fa brillare”.