Il tempio di Bajardo

Una macchina fotografica e un paesaggio ligure che sembra uscito da un sogno.

In un recente webinar sulla scrittura e i 5 sensi, abbiamo lanciato una piccola sfida ai partecipanti: per ogni senso abbiamo proposto un esercizio. La partecipazione è stata altissima, tanto che abbiamo deciso di pubblicare i racconti più riusciti.
Cominciamo con la vista, con questo esercizio:
Scrivi una scena in cui il personaggio si trova in un luogo abbandonato, come una vecchia fabbrica o una casa deserta. Rappresenta visivamente il senso di decadenza e abbandono.

 

Camminando adagio tra le fasce liguri, Thomas scrutava tutti i livelli delimitati dai muretti a secco di quel paese Ziggurat, in cerca di un secondo indizio.

Aveva notato un’unica asse di legno, scanalata dal tempo per indovinarne l’età contando i cerchi concentrici. Le intemperie l’avevano abrasa, tanto che le lettere bianche erano un puzzle di scaglie raggrinzite dal sole e i refoli le spargevano come coriandoli fuori stagione. Con un altro nome, la scritta indicava la chiesa distrutta dal terremoto nel mercoledì delle ceneri del 1887.

La parrocchiale in disuso, etichettata dai locali “la vecchia”, era stata l’ultimo luogo che 212 fedeli avevano visto.

A causa delle fondamenta arcaiche di San Nicolò, sulla freccia, Thomas aveva letto “tempio celtico”.

Le rovine erano nel labirinto di Caruggi a gradoni bassi che tagliavano il fiato e proseguiva il percorso inclinato senza sapere se si stava avvicinando. Salita o discesa, l’unico percorso possibile nel borgo montano era inclinato e la macchina fotografica andava in altalena sul suo petto.

La coda di un gatto comparve proprio quando l’uomo tentennava di fronte all’ennesima scalinata. Dopo pochi passi, dietro al genius loci felino, l’edificio apparve sulla sommità nella sua imponenza, resa maggiore grazie al punto di vista dal basso. L’orientamento della costruzione sacra accoglieva l’arrivo del crepuscolo sulla facciata e Thomas si scottò le dita accarezzando a occhi chiusi le pietre paonazze per il bacio del sole. I suoi polpastrelli seguivano la texture regolare, percependo i segni dei colpi che avevano sagomato ogni pezzo di quella maestosa architettura, e riusciva a vedere i lapicini al lavoro anche se erano vissuti in un’altra epoca. Zoomando, colse i dettagli delle incisioni solari sui portali d’ardesia, gli angoli riccioluti dei capitelli e le quattro zampe rampanti di un animale decapitato. Sostò nell’ombra rinfrescante del protiro, composto da una coppia di colonne e due lesene decorative che sporgevano appena dalla parete. Lì, un volto allungato e senza bocca sembrava una sfinge muta. Poteva varcare quella porta aperta solo chi ne era degno? Alzando lo sguardo prima dell’arco a sesto acuto, notò che nessun restauratore si era preso cura di un affresco già indefinibile. L’interno rivelava l’assenza del tetto, evocando il ritornello dalla canzone “Il cielo in una stanza” e, abbagliato dall’irruenza della luce, scorse fra la gabbia delle ciglia il profilo irregolare delle mura. Nessuna ragnatela tesseva gli angoli, anche se lì, l’unica perpetua era il vento. Il prato tosato invitava a stendere la coperta del pic-nic, evitando i pois di escrementi sull’erba. Le galline razzolavano nell’aia sconsacrata e deponevano uova sugli altari laterali delle cappelle nude. Le nicchie ospitavano i gusci abbandonati dai pulcini gialli: parevano un’offerta pagana laddove era impossibile riconoscere a quale santo chiedere un’intercessione, perché le tele destinate ai riquadri di gesso erano svanite.

Non vedeva nessuno, eppure, riconobbe le tonalità di un coro gregoriano.

“Ho le visioni?”

Affrettò il passo verso l’uscita laterale, si voltò verso la torre mozzata, due finestre e l’arco romano delineavano un volto.

“Che illusioni crea la pareidolia!”

Alcuni cantori sussultarono, altri abbassarono i fogli e sbuffarono per l’interruzione delle prove. Con un goffo inchino il fotografo chiese scusa. Voleva scattare ancora qualche panoramica. Negli interstizi del campanile, i ciuffi d’erba erano abbarbicati e ondeggiavano come alghe in primo piano su una skyline ondulata. Fissava le cime azzurre che si facevano tenui, osservava le Alpi Marittime più lontane e poi le inquadrò. Una ventina di persone aspettavano il suo scatto con il sorriso inglese da formaggio.

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