Daniela Tani è un’autrice che cerca la verità senza enfasi, quasi senza sottolineare le caratteristiche esistenziali ed emotive dei personaggi. Lascia che siano la storia, le parole che si scambiano, le relazioni che illustra con tratti precisi e rapidi, a mostrarci uno spaccato di vita. Per lei il realismo della vita quotidiana, con le sue inevitabili piccole azioni e le altrettanto inevitabili ma sorprendenti scoperte sul mondo, rappresenta un ambito privilegiato da mettere in scena. Così, dai racconti di D’amore e d’altro (Augh 2017) ai romanzi, L’ospite cinese (Del Bucchia, 2013), Kebab per due (Autodafé 2015), L’amico di lei (Smith 2020), fino all’ultimo – appena pubblicato – Buona condotta (Felici 2023), ha finito per costruire un universo che parla della realtà contemporanea, protagonisti donne e uomini, italiani e immigrati, del tutto realistici, con una scrittura che non mi sembra mai semplice cronaca giornalistica, ma sempre narrativa. La realtà raccontata, insomma. La intervisto in occasione di questo ultimo libro, che ho potuto seguire mentre l’autrice lo elaborava, anche durante le nostre settimane di laboratorio estivo, che si svolgono non troppo lontane dalla vallata del Casentino dove Daniela Tani risiede.
Innanzitutto, come nasce l’idea per questo nuovo romanzo, parli di qualcuno che conosci o che hai incrociato nella tua vita?
L’idea è nata dal luogo, Torre del Lago, un luogo dove io passavo tante giornate al mare, su quella spiaggia lunga e assolata piena di capanne fatte con i tronchi, con i pezzi di legno che il mare rilascia e con il tetto colorato sventolante di grandi asciugamani venduti dagli ambulanti. E poi le dune solcate dal passeggio continuo di uomini in cerca di qualcosa. E la grande pineta, la macchia mediterranea profumata da attraversare per arrivare alla spiaggia. Lungo la strada, arrivando con la macchina, c’erano diversi locali costruiti in muro ma anche in legno e lì la vita notturna gay impazzava. Il giorno in spiaggia e la sera a ballare o semplicemente a bere o a chiacchierare. Era il mondo soprattutto degli uomini ma anche di donne, di trans con bei vestiti, trucchi, scarpe con il tacco alto. Arrivavano cantanti e attori, la Loredana, le due Paola e Chiara, nel finesettimana il turismo gay riempiva i residence e gli alberghi. Io ero mischiata a quel mondo perché molti dei miei amici erano gay e la musica era la migliore. Per quanto riguarda la spiaggia, quella tipologia, che sapeva di libertà, senza mamme urlanti e bambini piangenti, era la mia preferita. Parlo al passato perché adesso tutto è cambiato, i due locali Mama mia e Boca chica sono miseramente abbandonati ai loro scheletri, forse ci sono stati incendi. Il mondo degli anni ’80 e ’90 è finito da tempo anche se la spiaggia funziona ancora come luogo di richiamo per il popolo gay. Torre del Lago, divisa in due dalla strada statale, da una parte il mare, dall’altra il lago, rimane per me il luogo delle acque differenti, della nostalgia. La nostalgia mi ha ispirato questa storia slegata da fatti e persone precise, la voglia di rendere omaggio anche a una discoteca, già aperta alla fine degli anni ’70, e poi chiusa e poi riaperta, forse ancora adesso aperta: il Frau Marlene, dove il proibito, il perverso, il trasgressivo ci faceva sgranare gli occhi in un tempo in cui tutto era ancora meraviglia.
Il protagonista è un uomo che fa i conti con la propria famiglia, il padre infedele, la madre appena morta. Riesce a trovare una via d’uscita da questa raccolta di ricordi e rivelazioni?
Luigi è un uomo “scappato” dalla propria famiglia quando era molto giovane, poi ritornato, in cuore ha un risentimento che forse, lui attraversato da tante vicende, riesce a rendere tutto più accettabile.
Nella relazione tra padre anziano e figlio giovane arriva una figura nuova, Alina, lei chi è, una tipica straniera che punta a un matrimonio italiano per l’eredità?
Alina rappresenta la tipica donna dell’Est pratica che sa come far girare il mondo intorno a un uomo benestante e bisognoso di attenzioni.
E suo padre cosa cerca? Solo una badante, anzi come scrivi tu, una “badamante”?
Il padre sempre in giro, abituato ad avere donne intorno e la moglie a casa ad aspettarlo, adesso vecchio, non vuole stare da solo e vuole una donna che sia qualcosa di più di una badante.
Descrivi il mondo della provincia, Torre del Lago, la pineta, il lungomare, sono tuoi luoghi d’elezione?
Come ho già detto, avevo bisogno, attraverso dei personaggi, di far rivivere il tempo perduto di un luogo. Forse perduto per me, forse con una propria forza anche adesso, quella che per me ormai è lontana, io che adesso vivo quasi sempre in montagna.
Il protagonista, Luigi, è un omosessuale che ha stretto un rapporto di lavoro molto particolare con Ada, una ricca ed eccentrica proprietaria della zona. Cosa li unisce?
Ada è un personaggio ispiratomi da diverse “signorine” ricche, eccentriche, abitanti sulla costa, con il vezzo di frequentare artisti e amiche intime di uomini gay. La loro è una relazione infarcita di molti sentimenti, probabilmente di seduzione all’inizio, almeno da parte di lei, o forse questo credeva lui, molto distante da questo punto di vista. Lei è ricca, ha circa l’età della madre, per lui è una amicizia da tenere di conto, gli stimola l’immaginazione, pensa che lei stia molto tempo a Londra per affari danarosi, si diverte in giro con lei, forse c’è anche una piccola dose di opportunismo. Dopo, come proprietaria dell’albergo in cui lui lavorerà, lei è un punto solido di riferimento, c’è fiducia reciproca, ma rimane sempre di lei qualcosa di misterioso che verrà svelato strada facendo. Fra i due non c’è svelamento del proprio intimo, il sottaciuto di lui diventa il dato per scontato da parte di lei, l’omosessualità di lui non viene mai nominata.
Luigi si ritrova a frequentare vecchi amici, a scoprire possibili nuove amicizie, a cercare forse l’amore, quasi a sfiorarlo. Come lo definiresti dal punto di vista emotivo?
Luigi è un uomo con la testa sempre piena di pensieri, con una tristezza interiore che gli tiene compagnia e difficilmente lo lascia. Ha dentro anche un senso profondo di giustizia per il quale è pronto a buttarsi in imprese poi difficili da portare in fondo. La sua ricerca dell’amore è spesso attraversata da una speranza quasi mai trasportata nel futuro.
Secondo te che rapporto aveva Luigi con la madre prima che lei morisse, lo definiresti morboso?
Aveva il rapporto che molti uomini hanno con la propria madre, di una adorazione che tende spesso a escludere il padre.
Consideri Buona condotta una storia d’amore?
Più che una storia d’amore, l’ho pensata come un luogo di intreccio fra persone dove il non detto, il non esplicitato, la bugia tengono le redini e mantengono gli equilibri precari del vissuto.
Cosa vuol dire, per te, scrivere?
Per me scrivere vuol dire essere ispirata da qualcosa di forte che spesso non arriva e allora mi diletto a scrivere piccoli episodi del quotidiano, quello che vedo, quello che mi passa accanto. Mi sembra di non essere portatrice di cose profonde, leggo gli altri, le altezze infinite del dolore, le tematiche storiche, sociali, e io mi perdo nei capelli cotonati della vicina di casa. Per il progetto vero, quello di un nuovo romanzo per esempio, mi manca spesso la volontà di starci dentro, di soffrire insomma, oppure mi sembra di stare portando alla luce una storia che poi, mio dio, una determinata persona ci si riconoscerà. Ma una volta entrata scrivo e riscrivo cento volte, non sono mai contenta. Per scrivere Buona condotta ci ho messo circa due anni: una prima versione era arrivato finalista al Premio Bukowski, poi ho cambiato, ho rifatto, ecc…