Una madre, Elena, un padre, Gino, un figlio, Maurizio, e la fidanzata del figlio, Daniela, sono persone abbastanza felici e serene, affrontano i contrattempi lavorativi e fanno le cose normali che fanno le persone normali: progettano il futuro. Il futuro immediato, vicino, a portata di mano è per tutti l’agognata laurea in Giurisprudenza di Maurizio, evento che segna il passo di tutti i protagonisti, ansiosi di raggiungere insieme quel traguardo che segna per lui l’ingresso nell’età adulta, per i genitori il coronamento delle aspettative e delle attese, mentre per Daniela semplicemente è un grosso sprone a raggiungere la sua di laurea, in biologia. Così la notte prima dell’esame di laurea ascoltiamo i loro pensieri, ricordi ossessivi, desideri e progetti. Maurizio, però, sa che l’indomani non ci sarà nessuna laurea, perché tutta la sua vita universitaria è una costruzione meticolosa e attenta di una serie di bugie, inanellate una dietro l’altra, a cominciare dal primo disgraziato esame, quando l’incauta suoneria del telefono gli è valso un rinvio a una data successiva per maleducazione da parte di una severa assistente fissata con le regole.
Da allora Maurizio ha passato il suo tempo a elaborare strategie e falsificazioni di certificati, cercando di non farsi mai trovare a casa durante gli orari dei presunti corsi, mentendo a tutti e alienandosi le persone che non rientrano nell’asfittica cerchia della famiglia nucleare e la fidanzata. Nessuno lo conosce davvero, nessuno sa che la sua vita interiore è piena di crepe, segni di fratture interiori. Maurizio si affaccia sul mare di Bari con la consapevolezza di non reggere alla vergogna e alla delusione che infliggerà a quelli che dicono di amarlo, deciso a fare in modo che quella sia l’ultima notte di rimpianti e dolore, l’ultima notte del suo mondo. Ma quello che cerca in quel momento non succede, succede invece che, oltre alla possibilità di morire, inizi a passargli davanti agli occhi le infinite volte in cui avrebbe potuto scegliere altro da quella Facoltà che gli ha mangiato il cuore e fatto arrugginire il sorriso. Quanto c’è di sbagliato nel costruire aspettative addosso a un figlio che non è più un bambino, ma che, in buona fede, i genitori pensano di dover indirizzare, condurre, e quanto invece è responsabilità del figlio, che si limita a incassare la vita che gli altri vogliono per lui, e non urla, non si ribella, non impone, non cerca altre possibilità? Di fronte a certe porte chiuse, che diventano sacchetti adatti a soffocarci, non è possibile articolare le parole giuste, che si disfano e diventano bolo intestinale e saliva asciutta, perse in un luogo imprecisato tra il plesso solare e la lingua. Maurizio elabora parole che sono poesia e meditazione, possibilità di riscatto dal luogo occluso e buio che è il futuro che per lui non esiste. Le parole sono la salvezza che gli consente di non restare laggiù, in un mondo disancorato dalla realtà tangibile, che rischia di lasciarlo tra i resti spiaggiati di rifiuti portati dalle onde e il corpo arreso al declino, all’oblio, come se fosse malato e prossimo alla morte. Nessuno, se non noi che leggiamo, possiamo scrutare dentro la trasparenza fragile di un ragazzo che lavora con tenacia sui suoi alibi, con l’alacrità che certi mettono nel costruire mobili, o progettare viaggi. Attraverso il percorso notturno che svela inganni e responsabilità genitoriali, capiamo anche qualcosa di noi: che essere giovani non è necessariamente un successo, e che arrivare primi non è un traguardo interessante per tutti. Certe volte non serve nemmeno mettersi in gara, perché la competizione è distruttiva, e l’amore non può essere misurato sulla media degli esami universitari. È possibile allora amare un figlio che non è come abbiamo immaginato, o le nostre proiezioni strutturano anche il più semplice dei sentimenti d’amore? L’amore dei genitori per i figli è spesso una gabbia dalla quale scappare o un rifugio sicuro?
La scrittrice non offre risposte facili, ci offre una storia che può essere vera, che in molti casi è vera, e ci spinge a riflettere su quello che davvero ci interessa quando creiamo esseri umani che, sia pure figli, appartengono a sé stessi, alla propria possibilità di scrivere e riscrivere il futuro, che è non necessariamente quello desiderato da chi li ha messi al mondo.
Lasciò la matita e si accese una sigaretta. Ripensò alle mamme dei suoi amici che dicevano con orgoglio: “Io di mio figlio so tutto”, a quelle che tirando su il mento aggiungevano: “Non ho bisogno nemmeno di domandare. Lo conosco come le mie tasche”. Erano tante le madri che non sapevano niente.
Diritto. Uno tutto storto come me che si mette a studiare diritto. Era una scommessa. Perché forse avrei potuto ripararli tutti i danni che avevo accumulato. Era un modo per prendere tempo – con Giurisprudenza puoi fare tante cose, ci sono tante strade – mentre io avevo bisogno di essere e non di fare, di capire chi volevo essere a partire da quello che sapevo fare. Sono rimasto storto. E la Facoltà di Giurisprudenza mi ha portato in tante strade piene di buche e pericoli, o forse ero io a essere la ruota forata, che non sapeva come scansare i fossi. Non ero il solo, questo posso garantirlo. Laggiù andavano a finire centinaia di studenti che nessuno va mai a cercare. Quelli storti come me, quelli spaventati dalla vita, quelli che non sapevano vincere, e forse neppure perdere”.