“Nato solo” con Lié Larousse

Parliamo con l'autrice di un romanzo che è una storia di sopraffazione e riscatto ambientata nella Roma dell'Ottocento

Qualche tempo fa mi è capitato tra le mani un singolare romanzo inedito, a metà strada tra una favola noir e un racconto di formazione con venature drammatiche e grottesche. L’autrice, Lié Larousse, scriveva poesie e cercava di utilizzare anche nella narrativa una prosa che potremmo definire lirica, ma senza cedere a un lirismo d’occasione, come spesso mi capita di leggere. Parlava di una sorta di giovane pugile a Roma nell’Ottocento, Lupo, che veniva praticamente schiavizzato da certi ricchi signori, e legato da un rapporto quasi paterno a un bambino senza nome, chiamato semplicemente Ragazzino. Lié mi fece leggere anche un’altra storia, ambientata più o meno nello stesso periodo ma stavolta in un sanatorio, dove si utilizzava una tremenda terapia per i disagi psichici, il Rid Dementia. Due storie che avevano i piedi ben saldi nella realtà, ma trasfigurata dall’invenzione. Ci abbiamo lavorato un poco, perché mi sembravano opere originali, sicuramente al di fuori di quelle scritte nella tradizionale lingua semplice e con le storie spesso simili l’una all’altra della letteratura italiana di oggi, due romanzi che anche solo per questo risultavano senza dubbio interessanti, ma che proprio per questo erano destinati ad avere vita difficile nel mercato editoriale. Perciò vederli pubblicati mi fa un certo piacere. Dopo Rid Dementia del 2020, è infatti appena uscito per i tipi della Affiori anche Nato solo, il romanzo di Lupo e Ragazzino. Quindi sono proprio contento di fare con Lié Larousse una conversazione sul libro e sulla sua scrittura.

Chi è Lupo?

Lupo è un ragazzo di venticinque anni che vive in una Roma cattiva, sporca e miserabile di fine Ottocento. Ha fame e deve combattere ogni giorno per mettere qualcosa nello stomaco. È solo, non ha nessuno tranne il ricordo della madre, che rivede e rivive nei sogni, proprio attraverso questo incontrarla capiamo chi gli ha insegnato a stare al mondo, in questo marcio mondo, e la presenza di Ragazzino, bambino che lo ammira e lo emula. Lupo è cresciuto in una società che lo emargina, di pochissime parole e scontroso, va per la sua strada purché nessuno lo infastidisca. Eppure ha un cuore buono nonostante tutto, comunica con le stelle e la terra su cui cammina a piedi nudi.

 

Pensi che questo personaggio ti somigli? Oppure somiglia a qualcuno che conosci?

Delle somiglianze ci sono così come ci sono anche tra tutti i personaggi che fanno da specchio al protagonista, perché questo è un romanzo simbolico, gli sciamani chiamano queste storie “Favole di Potere”. Le maldicenze sul proprio conto, il non sentirsi mai all’altezza, non piacere per ciò che siamo ma essere nonostante questo sfruttati, essere imprigionati e fare qualcosa contro la propria volontà, ecco queste sono solo alcune delle somiglianze che ho con il protagonista di questo romanzo e questa Favola di potere mi ha aiutato a manifestare le mie mancanze attraverso questa storia, vederle, viverle e a lasciarle andare una volta per tutte.
Il mio augurio ai lettori è che riescano attraverso queste pagine a fare lo stesso.

 

C’è una profonda amicizia tra Lupo e Ragazzino, che arriva fino alla conclusione della storia. Cos’è che li unisce?

Lupo in Ragazzino rivede il suo essere bambino, l’innocenza e la purezza che non trova in nessun’altra persona e lo rispetta per questo perché è proprio da bambino che ha imparato le lezioni più importanti che lo hanno formato caratterialmente e fisicamente, dall’altra parte dello specchio c’è Ragazzino che desidera essere come il suo Eroe Lupo, che non perde mai un incontro, lo vede forte, invincibile, lo ammira, gli chiede continue lezioni di lotta a mani nude e fa di tutto per aiutarlo perché, anche se ne conosce le fragilità, non lo giudica. Entrambi sono privi del giudizio morale, questo è ciò che li unisce.

 

Stilisticamente, mi pare interessante anche la scelta della seconda persona, perché hai pensato di rivolgerti a Lupo con il tu?

Scrivo in seconda persona perché sento io stessa di essere guidata da una forza innata che non è esterna a me, ma che mi affianca e mi dice cosa fare, così io guido i personaggi e i personaggi guidano i lettori in questo cammino che ci coinvolge tutti dove non esiste individualismo. Siamo unici, distinti ma non separati l’uno dall’altro, quindi io sono te e tu sei me.

 

Hai scelto un linguaggio che sembra sfiorare il lirismo e però resta realistico, come l’hai realizzato tecnicamente, lo sai?

La poesia è il primo linguaggio con cui ho manifestato il mio amore per la scrittura, è il mio modo di vedere e vivere tutte le cose della mia vita. La scrittura narrativa ne è influenzata, oggi sono felice che con questo nuovo romanzo sono riuscita a trovare un equilibrio, ma non è stato facile. Ci sono voluti tanti anni di studio, tante stesure, nel frattempo si cresce e si percorre la strada che il nostro destino ha disegnato per noi.

 

Nel romanzo ci sono pochi nomi, soprattutto nomignoli, o nomi che sembrano simbolici (Lupo, Ragazzino, America, L’Elegante, ecc.), è stata una scelta ponderata oppure è venuta in modo istintivo?

Lupo, America e Biagio sono gli unici nomi nel libro. Non è studiata la scelta dei nomignoli, è stato l’istinto di Lupo, un ragazzo che della vita conosce solo la miseria e chiama le cose e le persone per ciò che sono. Io a mia volta quando conosco in profondità qualcuno gli cambio il nome, che può sembrare un nomignolo, ma per me è solo ciò che è in quel momento. Ecco, questa è un’altra somiglianza che ho con il protagonista.

 

C’è qualche autore al quale pensi di somigliare con questa storia?

Non saprei, mi sto ponendo solo ora questa domanda, non mi sembra.

 

Lupo è un uomo forte, combatte sul ring, anzi in una sorta di gabbia, però è prigioniero del Gran Signore che lo tiene in pugno. Ma anche altri personaggi lo tengono in pugno, o vorrebbero farlo…

Certo, la supremazia sull’altro, il desiderio di potere, di schiacciare il più debole, siamo a fine Ottocento ma credo sia facile fare un paragone con la nostra epoca e anche con quelle prima ancora. La Storia ci ha sempre raccontato come la smania di potere porti gli uomini a uccidersi, a voler sopraffare l’altro. E nel momento in cui Lupo mette piede nel grande palazzo ed entra a far parte di quel mondo si rende conto che la cattiveria è ancora peggio di come la conosceva fuori di lì, e che non è il solo a vivere prepotenze e prevaricazioni.

 

A un certo punto aleggia nel romanzo una domanda: «Hai deciso chi vuoi essere?». Lupo riesce a scegliere chi vuole essere? E tu? L’hai scelto? Pensi di esserci riuscita?

Questa è una domanda che forse tutti quanti, almeno una volta nella vita, ci siamo posti e in base a come rispondiamo tutto può cambiare o restare lo stesso, ma soprattutto se abbiamo coraggio di non fuggire a questa domanda possiamo capire ciò per cui davvero vale la pena lottare. Io personalmente questa domanda me la sono posta molto spesso e me la continuerò a porre, è uno stimolo continuo, oggi so chi voglio essere e chi sono: presenza e consapevolezza.
Però se Lupo ci riesce non ve lo svelo!

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Paolo Restuccia

Scrittore e regista. Cura la regia della trasmissione Il Ruggito del Coniglio su Rai Radio2. Ha pubblicato i romanzi La strategia del tango (Gaffi), Io sono Kurt (Fazi), Il colore del tuo sangue (Arkadia) e Il sorriso di chi ha vinto (Arkadia). Ha insegnato nel corso di Scrittura Generale dell’università La Sapienza Università di Roma e insegna Scrittura e Radio all’Università Pontificia Salesiana. È stato co-fondatore e direttore della rivista Omero. Ha tradotto i manuali Story e Dialoghi di Robert McKee e Guida di Snoopy alla vita dello scrittore di C. Barnaby, M. Schulz.

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