“Il collettivo del Sole” di Charles Baxter (Mattioli 1885)

Un romanzo con un attore che è stato colpito da una maledizione e si accorge di saper parlare solo con il linguaggio dei personaggi che interpreta e un'impiegata che non riesce a comunicare molto bene

Cosa conta davvero nella vita di una persona, aver seguito le regole e aver vissuto tiepidamente, con qualche sprazzo di passione, subito irreggimentato nella costruzione di una perfetta vita familiare americana, oppure, alla fine, forse, non è più giusto prendersi cura di tutti quelli che non ce la fanno, di quelli che sono a pezzi, che non riescono a incardinarsi nel sistema? A questo interrogativo tentano di rispondere gli ambivalenti personaggi di questo romanzo. Tim  Brettigan è un attore che è stato colpito da una maledizione e si accorge di non saper parlare altro che con il linguaggio dei personaggi che interpreta, perché forse, non ha mai davvero avuto una lingua personale che parlasse delle sue emozioni, e ha deciso di fare l’attore perché aveva bisogno di molte facce, adatte a nascondere la sua. Per questo dopo una crisi emotiva decide di tagliare i ponti con i suoi genitori, e di unirsi al collettivo del Sole, un gruppo anarchico formato da persone che hanno a cuore l’ecologia, e la gentilezza empatica, e il recupero dei rapporti umani in un mondo dove i social sono l’equivalente delle droghe per sfuggire al senso di vuoto. Il padre di Tim, Harold detto Harry, ingegnere in pensione, ha la costante sensazione di essere scollato rispetto alla realtà, e sogna visioni di sfolgoranti azioni omicide che hanno il merito di liberarlo delle pulsioni aggressive. Alma, sua moglie e madre di Tim, lo cerca ovunque, nei ricoveri di senzatetto e nelle sale religiose di qualsiasi confessione, cercando, insieme al figlio, di trovare un suo personale conforto al logorio di una vita priva di eccitazione.

Christina lavora in banca, ed è una persona empatica che però non riesce a comunicare molto bene e, dopo una serie di disastri amorosi, si imbatte in un senzatetto intelligente e acuto, che dice di chiamarsi Ludlow e di essere un custode di case, all’insaputa dei proprietari. Sullo sfondo di una Minneapolis stretta in una morsa di gelo dove si fanno strada estremismi politici nascosti ma non troppo, e un consumismo strisciante, i cinque sono destinati a incrociarsi e a trovare, ognuno per suo conto, e in maniera a volte bizzarra e incongrua, le risposte che stanno cercando. In mezzo c’è un’America governata da un presidente nemico del welfare state e convinto di essere un poeta, un gruppo di assassini che si firmano Sandmen, nati per risolvere il problema della povertà alla radice uccidendo i poveri, che rappresentano un peso e un’incoerenza insopportabile in una società il cui benessere non dev’essere turbato dall’imperfezione. A morti di persone invisibili, come una sorta di rappresaglia, fa da contraltare una serie di incidenti mortali di persone appartenenti all’establishment cittadino. Chi sono i membri del collettivo del Sole? Oltre la gentilezza e il recupero dell’autenticità nascondono intenti oscuri? Il loro misterioso portavoce, Wye, senza passato e che si trova a suo agio al buio e sembra capire il linguaggio degli animali, chi è davvero? Sarebbe banale se tutte queste domande trovassero una risposta. Perché alla fine il messaggio evidente del libro è che ognuno trova sé stesso come può o come sa, magari desiderando un nipote, o donando soldi a un veterano, o trovando un nuovo lavoro più simile all’idea che ha di sé stesso. È possibile che tutti gli oggetti di cui ci circondiamo abbiano una forma di luce oscura, destinata a mettere a tacere i nostri veri, reali desideri. E in ogni caso, la vita e il tempo fluiscono e noi tutti siamo estremamente transitori. Credo che Charles Baxter, come già in Festa d’Amore, voglia dirci che gli esseri umani non sono granitici, ma mutevoli e suggestionabili, pieni di oscurità ignote e che forse hanno bisogno di perdono e di tenerezza.

 

In quel momento Brettigan ebbe l’impressione di essere diventato invisibile come lo erano i morti, mentre osservava sua moglie camminare per strada senza di lui, senza prestare attenzione alla sua risposta. Si sentì in colpa e sfuggente perché tentava di proteggere Alma dalla verità, quella storia che si stava sedimentando dentro di lui e che lì teneva rinchiusa. Perché non sono me stesso, – disse ad alta voce, – Perché non sono più me stesso. Sopra di sé vide un cielo senza stelle ma anche senza nuvole. Dov’erano finite le stelle, tutti quei piccoli soli puntiformi? Non riusciva a ricordare l’ultima volta che le aveva viste.

Dall’alto la città sembra bellissima, un posto con i laghi e un fiume, il Mississippi, che scorre fino al Golfo del Messico, tagliando il paese a metà, come un’incisione sul cuore.

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Marilena Votta

Marilena Votta nasce a Napoli e trascorre la sua infanzia e adolescenza in un luogo fatto di sole accecante e ombre altrettanto tenaci. Ha pubblicato le raccolte di racconti Equilibri sospesi, La ragazza di miele e altre storie (Progetto Cultura, 2016) e Diastema (Ensemble, 2020), e la raccolta di poesie Estate (Progetto Cultura, 2019). Il suo racconto “Fratello maggiore fratello minore” è stato pubblicato nell’antologia “Roma-Tuscolana”. Alcuni suoi racconti sono disponibili su varie riviste on line e cartacee. Nell’ottobre 2021 pubblica il suo primo romanzo, Stati di desiderio, con D editore. Del suo rapporto con la scrittura asserisce, convinta, che è il suo posto nel mondo. Scrive recensioni di libri che ama per "Dentro la lampada", la rivista della scuola Genius.

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