Le regole, si sa, sono fatte per essere infrante. E questo vale anche e soprattutto per la scrittura. Anzi, spesso quello che è considerato un errore si rivela una grande risorsa. Pensiamo alle ripetizioni.
C’è solo un’eccezione: la messa in scena.
Se diremo invece di mostrare, infatti, perderemo il nostro lettore dopo una manciata di righe appena.
Lo sanno bene A. M. Homes, Aimee Bender, Judy Budniz, Amanda Davis, Mattew Klam, David Foster Wallace, giusto per citare alcuni degli autori della raccolta Burned Children of America, pubblicata da Minimum Fax nel 2001 e diventata ormai un cult. Sono passati ventidue anni da allora, quelle giovani promesse della narrativa americana adesso sono dei maestri. Leggere anche solo uno di quei racconti può cambiare il nostro modo di scrivere. Sì, perché in quelle storie tutto è messo in scena, a cominciare dal titolo. Proprio come accade in ‘Dovrebbero dargli un nome’, di Mattew Klam, in cui preparare un pollo arrosto in un pomeriggio di inizio estate, svuotarlo con cura e farcirlo fino a farlo scoppiare altro non è che la metafora di una perdita. Un titolo in cui si grida a gran voce che si dovrebbe dare un nome non a quel figlio che abbiamo deciso di non far nascere mai, ma a quel dolore senza pace, impossibile da dimenticare, da scontare, con cui dovremo fare i conti per tutta la vita.
Buona Lettura!