Un rumoroso vicino

Cerco di quantificare il tempo che è rimasto sfitto l’appartamento di fianco al mio. Forse due anni. Un periodo enorme.

Può sembrare strano, eppure il rumore del macchinario mi acquieta, l’unica anomalia è questo pacchetto di fazzoletti che mi è rimasto in mano quando sono uscita dal bagno. So che avrei dovuto riporlo nell’armadietto ma potrei averne bisogno a causa del principio di raffreddore che mi sta tormentando. Elsa l’ha notato ma non ha detto nulla, provvedo a farlo sparire nel modo più semplice, lo lascio cadere sul pavimento. Quando a fine turno vengo avvicinata dal caporeparto lancio un’occhiata in giro per inquadrare la lurida.

“Oggi hai lasciato un oggetto sul ripiano di lavoro.”

Aspetto che finisca la frase ma il rumore metallico prende il suo spazio.

“Scusa Alfredo, so di aver sbagliato, non succederà più”

“Devo lasciare una nota scritta. Stai attenta”

Annuisco.

Il mio pensiero fisso è Elsa, non perde occasione per screditarmi. Malefica. Frugo nella borsa per ripescare le chiavi, le avevo già trovate a fatica per poter aprire il portone ma niente, le ho ributtate in borsa. Deformazione professionale, mai tenere oggetti in mano oppure sul piano di lavoro. Afferro qualcosa di metallo e tiro fuori, la chiave nella toppa gira fluida; eppure, il polso si sblocca. Sento dei rumori provenire dalla porta accanto.

Decido che non sono fatti miei e il polso finisce il giro imposto.

Ho bisogno di una doccia per levarmi i pensieri. Attraverso il fruscio dell’acqua mi giunge il suono del campanello. Mi sbrigo a infilarmi nell’accappatoio e ancora prima di arrivare alla porta chiedo: “Chi è?”

Inquadro lo spioncino. Nessuno sul pianerottolo.

Mi butto sul divano e accento la tv. Cerco di quantificare il tempo che è rimasto sfitto l’appartamento di fianco al mio. Forse due anni. Un periodo enorme. L’ultimo inquilino era stato un tossico che usava casa come centro di spaccio. Qualche volta trovavo conati di vomito sullo zerbino di casa oppure per le scale. Mi rivedo arrotolare i vari zerbini in un sacco per poi buttarli. Avevo optato per zerbini larghi e sottili, di quelli economici, perché era diventata una spesa non indifferente cambiarli.

Sulla parete confinante, una botta secca come un colpo di martello. Decisamente c’è qualcuno, spero solo non abbiano rilasciato il tossico. Resto in ascolto. I rumori si susseguono ma non si accavallano, segno che nell’appartamento c’è una sola persona.

Lo stomaco richiede attenzioni. Mi vesto non prima di aver messaggiato Valentino, questa sera mi va bene pure lui.

Passo a prenderlo, la sua tirchieria rasenta il patologico. Mi accoglie con un sorrisone. Prima di chiudere la portiera si allunga per baciarmi.

“Tesoro ho dieci euro. Fai tu”
“Fammi pensare Valentino… Possiamo provare da Amigo, lì preparano degli apericena abbondanti”

“Andata. Tesoro hai cambiato le lenzuola?”

Il piede mi va in automatico sul freno. Una serie di strombazzate, seguite da maledizioni, sfrecciano oltre.

“Scendi”

“Ma dai, scherzo. Scema”

“Vattene. Ora!”

Valentino mi guarda torvo, apre la portiera, scende e la richiude con forza.

“Dieci euro, sto tirchione” dico ad alta voce mentre avvio e mi porto fuori dal suo sguardo. La serata me la sono fatta rovinare, mi dirigo verso il porto per trovare pace nell’andirivieni delle onde. Siedo su una bitta con un fagotto di cibo d’asporto comprato in un chiosco all’ingresso del porto.

Luci ballano sull’acqua in un andirivieni di colori.

“Non potrei vivere senza il mare”

La voce è avvolgente, tiepida come un’onda. Mi giro appena di lato. Alto all’inverosimile. Deglutisco per non strozzarmi tanto il collo è tirato per individuarlo nel semibuio della banchina. Sorrido, penso che questa potrebbe essere una frase mia.

“Vero. Il mare è una forza”

Si accovaccia e la sua testa ora è all’altezza della mia. Guarda davanti a sé. Il silenzio umano lascia spazio allo sciabordio del mare. Smetto di masticare, mi pare orribile farlo in questo momento.

Sorride prima di prepararsi a parlare.

“Grazie per avermi accolto. Mi sentivo davvero molto solo. Esco da un periodo di cambiamenti. Sono esausto”

“Questa non è una bella serata nemmeno per me. Ho avuto una giornata pesante”

Mi guarda infine. Qualcosa mi scende nello stomaco e non è un boccone.

“Vittorio”

“Fiammetta”

Un guizzo nel suo sguardo.

“Nomi pescati da un lontano passato”
“Sì, per fortuna non se ne sentono più”
“Siamo se non unici, rari”

Scoppiamo a ridere, mi copro la bocca con la mano.

La brezza marina alleggerisce i pensieri e le parole quasi danzano sul ritrovato umore.

La notte estiva dilaga veloce ma prima di accomiatarci ci scambiamo i contatti con la speranza di ritrovarlo la sera seguente.

La giornata lavorativa si apre con un acquazzone estivo.

Elsa è già al suo posto.

“Se mi rifai lo scherzetto di ieri, ti giuro che ti squarcio la fessa da parte a parte”

Elsa sbarra gli occhi, poi china il capo e, per tutto il giorno, non alzerà più lo sguardo.

Vittorio siede sulla bitta. Il mio vestitino, con fiori a tinta, si muove scoordinato ai capricci del vento. Freno più volte l’impeto di ficcarmi i capelli dietro le orecchie ma poi li lascio frustarmi il viso, tacci loro.

Lui si alza e mi prende sottobraccio.

“Ho un posto speciale dove portarti. Ci ho pensato tutto il giorno, ci credi? Ma da quanto tempo ci conosciamo?”
“Secondo me Vittorio, è da una vita”

Sorride. Nei suoi occhi le luci del porto.

“Frena” Mi dico mentalmente “Scema che sei, non vedi che stai andando a manetta? Rallenta, anzi scendi proprio”

La sua mano cerca la mia, la lascio trovare e così siglati ce ne andiamo per la città. Il ristorante ha una sola vetrina, proprio di fianco all’entrata, l’insegna riporta un anonimo Ristorante Lucia. Ci accoglie una ragazza da cui non riesco a distogliere lo sguardo, ha un grembiule nero su una tuta dello stesso colore, è decisamente down. Ci accompagna a un tavolinetto a due, in fondo al locale, illuminato da una lampada che scende a picco pochi centimetri più su delle nostre teste. La ringraziamo mentre ci porge un menù.

“Tu sei Lucia?” le chiedo.

Sorride e mi risponde che si chiamano tutte così e poi aggiunge: “Siamo tutte uguali per voi, ecco perché diciamo di chiamarci tutte Lucia”

Resto un attimo perplessa. La guardo allontanarsi.

Varie Lucie si susseguono al nostro tavolo nel corso della serata, mi complimento con loro per l’ottimo cibo e per il servizio. Prima di uscire infilo in borsa un biglietto da visita del ristorante.

“Che c’è, sei pensierosa”
“Sto calcolando che mi restano quattro ore di sonno. Domani ho il primo turno in fabbrica. Ti spiace se ci salutiamo adesso?”

“Scherzi? Vuoi che ti accompagni a casa?”

“Non è necessario. Buonanotte Vittorio e grazie della bella serata”

Gli sono grata per non aver tentato nessun tipo di approccio. Ancora non me la sento di iniziare una nuova relazione anche se devo ammettere che mi ha già conquistata. Appena a casa mi preparo per la notte. Non riesco a prendere sonno, mi giro e rigiro nel letto. Troppi pensieri si affacciano e stentano ad andare via. I rumori sono ricominciati, guardo l’orologio, sono già le due, ho meno di due ore di sonno. Se non la smette gli piomberò in casa. Maledetto.

Alla fine, esausta, mi alzo decisa a dirgliene quattro. Prendo le chiavi e le infilo nella tasca della vestaglia, appena sul pianerottolo mi attacco al campanello del vicino.

La porta si schiude.

“Vittorio” dico allibita.

“Tu qui? Che sorpresona”

“Sei il mio vicino rumoroso”

“Sto finendo di montare i mobili, mi spiace averti svegliata. Entra” dice mettendosi da parte.

L’appartamento di Vittorio è gemello del mio. Per terra scatoloni, alcuni chiusi e altri aperti.

“Non ci posso credere che abitiamo così vicini”

“Si direbbe che siamo vicini”
Ridiamo. Mi offre da bere. Il tempo di un drink e mi ritrovo sul pianerottolo, pronta a rincasare. Lui mi trattiene per un bacio della buonanotte. Infilo la mano in tasca ma non afferro le chiavi, torno sui miei passi. La porta di Vittorio si chiude dietro di noi. Decisamente non è notte fatta per dormire questa.

 

 

 

 

 

 

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