Show cooking – Seconda parte

Il freddo ha il colore del bianco, è tutto chiaro intorno, la luce a neon rimbalza su rosse carcasse appese.

Nelle puntate precedenti:

Show Cooking: prima parte

 

SECONDA PARTE

Ogni cucina ha un bunker sotterraneo per queste eventualità di rivolta. Inizio ad avere freddo, l’accesso alla zona sicura, di solito, è attraverso le celle frigorifere, dietro la carne. Ma siamo fermi.

– Perché siamo ancora qui, muovetevi.

Mi mordo il labbro. Ma perché non mi portano dentro?

È buio. La stoffa del cappuccio che ho in testa mi pizzica la faccia, il che non è che mi spaventi, per sicurezza, per evitare gli chef vedano con precisione l’accesso ai bunker e possano divulgarlo, lo staff in soccorso copre il viso.

Solo che fa freddo e non ci muoviamo. 

Sento togliermi i vestiti, ma non il cappuccio.

– Che succede?

La punta di un ago mi pizzica il braccio.

Fa sempre più freddo. Non parlano, nessuno parla. Provo a divincolarmi dalla presa, la stretta di due mani mi fa male.

– Cosa fate? Liberatemi subito. Subito!

Perché non rispondono? Nessuno risponde.

La pelle si increspa di brividi. Mi strappano la casacca e lacerano la maglietta e mi tolgono il cappuccio.

Il freddo ha il colore del bianco, è tutto chiaro intorno, la luce a neon rimbalza su rosse carcasse appese. Mi chiedo che fine abbia fatto la donna con un kg di grasso, quel tesoro culinario.

Mi sollevano. Hanno tutti la stessa felpa. Loro. Le felpe con scritto “Stop Eating humans” e pezzi vari di arti disegnati, sparsi, esplosi, sono loro. 

Mi tengono otto braccia, ancora più su. 

Grido di fermarsi, non hanno idea di ciò che rischiano. 

E lasciano la presa. Ecco. Questi quattro folgorati, ragazzini viziati mollano la presa. Io sono il più grande chef della terra, io sono più di un presidente. Io sono un esempio. E hanno paura.

Non tocco subito terra, sento invece una grossa punta metallica penetrarmi nella carne, dentro la scapola. Uno strattone mi aggancia e mi blocca appeso per una spalla. È un gancio, mi guardo intorno, vedo appena appannato.

Questi quattro ragazzini vogliono spaventarmi.

– Io sono il più grande. Il più grande. E voi dovete farmi scendere e vi risparmierò, non vi perseguiterò, non vi oscurerò. Mi limiterò a togliervi ogni desiderio.

Vedo le loro ombre rimanere immobili, silenziose.

– Parlate, per Dio.

Intravedo del sangue colarmi su un braccio, l’altro braccio, dove mi è sembrato di sentire l’ago, è intorpidito. Sento in tutto il corpo calore, lieve dolore dalla spalla.

Cos’è che mi sventola sotto al naso, perché mi aprono la bocca? Ironia della sorte, vogliono metterci una bella mela, questi scansafatiche. Per farmi una foto e postarmi sulle loro pagine come trofeo.

Mi tengono la bocca aperta. La spalla mi fa male, ma non come dovrebbe. 

Sento freddo in bocca, freddo e metallo, costa stanno facendo? mi strappano i denti? Sento le radici uscire dalla polpa delle gengive. Uno due tre, sono velocissimi.

Oddio. 

Il sangue è metallo sapido, mi copre tutto il palato, lo sento colare dalla bocca.

Provo a chinare la testa, un bisturi mi incide il torace, disegnano. Cosa disegnate? Ragazzini infami, reietti.

Muovo il corpo ma mi bloccano. La pelle si apre come un fiore.

Perché non svengo? Deve essere quello che mi hanno iniettato. 

– Fermatevi. State fermi. Fermi. La pagherete! 

Non credo mi sentano. Le gengive mi sbattono l’una sull’alta, molli e sottili sento i solchi dei denti strappati. Mi bruciano le cosce e le braccia. Cosa mi stanno facendo oddio.

Riesco a vedere, opaco, il laser di uno dei miei strumenti. Piego il mento sul collo, due gambe a terra, una delle due con un tatuaggio, muscolose. Le mie gambe. Le gambe. Provo a muovere le braccia, sento che rispondono, ma non tocco nulla. Guardo. Una è appena stata recisa, era solo una sensazione, giro la testa e il laser ora trapassa l’altra spalla. Vi ucciderò. Chissà se lo dico o lo sto solo pensando.

Vampate di calore mi assalgono, non perdo conoscenza, mi tengono in vita per assistere. Vogliono tenermi vivo.

– Paghe-re-te.

Il suono di duo schiaffi mi tiene aperti gli occhi. Quattro mani mi tirano su, il ferro del gancio si sfila strusciando sulla carne, lo sento sull’osso poi fuori, qui sento schiudersi la pelle. 

Mi girano, sono solo quattro mani a toccarmi, a mettermi a terra su della pellicola che strofina sul petto, mi girano avvolgendomi in uno strato sottilissimo, mi si appiccica sulla pelle spingendo i sangue non colato a espandersi sul petto, arrivano fino al viso, sento la pellicola appiccicarsi agli occhi e alla bocca, nel naso, impedendomi di respirare. Due buchi all’altezza delle narici. La pellicola si attacca e si stacca, si appanna, posso a malapena sentire il fresco dell’aria. 

Cosa vogliono fare. 

– Uccidetemi vigliacchi.

Ma non esce alcun suono, solo movimenti come di un pesce.

Di nuovo il cappuccio, mi sollevano, le gengive mi pulsano e l’aria entra rarefatta dai due buchi sul naso.

Fine seconda parte.

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Andrea Fassi

Pronipote del fondatore del Palazzo del Freddo, Andrea rappresenta la quinta generazione della famiglia Fassi. Si laurea in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali coltivando l’interesse per la scrittura. Prima di seguire la passione di famiglia, gira il mondo ricoprendo diversi ruoli nel settore della ristorazione ed entrando in contatto con culture lontane. Cresciuto con il gelato nel sangue, ama applicare le sue esperienze di viaggiatore alla produzione di gusti rari e sperimentali che propone durante showcooking e corsi al Palazzo del Freddo. Ritorna al passato dando spazio al valore dell’intuito invece dei rigidi schemi matematici in cui spesso oggi è racchiuso il mondo del gelato. Combina la passione per il laboratorio con il controllo di gestione: è l’unico responsabile del Palazzo del Freddo in qualità di Amministratore Delegato e segue la produzione dei locali esteri in franchising dell’azienda. In costante aggiornamento, ha conseguito il Master del Sole 24 Ore in Food and Beverage Management. La passione per la lettura e la scrittura lo porta alla fondazione della Scuola di scrittura Genius nel 2019 insieme a Paolo Restuccia, Lucia Pappalardo, Luigi Annibaldi e ad altri editor e scrittori. Premiato al concorso “Bukowsky” per il racconto “La macchina del giovane Saleri”, riceve il primo premio al concorso “Esquilino” per il racconto “Osso di Seppia” e due menzioni speciali nei rispettivi concorsi “Premio città di Latina” e “Concorso Mario Berrino”. Il suo racconto “Quando smette di piovere”, dedicato alla compagna, viene scelto tra i migliori racconti al concorso “Michelangelo Buonarroti”. Ogni martedì segue la sua rubrica per la scuola Genius in cui propone racconti brevi, pagine scelte sui sensi e aneddoti dietro le materie prime di tutto il mondo. Per la testata “Il cielo Sopra Esquilino” segue la rubrica “Esquisito” e ha collaborato con il sito web “La cucina italiana” scrivendo di gelato. Docente Genius di scrittura sensoriale, organizza con gli altri insegnanti “Il gusto per le storie”, cena evento di degustazione di gelato in cui le portate si ispirano a libri e film.

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