Melodie, Elisabeth, Muriel e Petrus. Quattro persone, tutte ferite dalla società e disallineate rispetto alla massima del mondo occidentale dello “spendi e consuma”, danno vita a una sorta di comune ristretta, chiamata “Suono e Amore”, dove praticano la consapevolezza e l’astinenza dal cibo come modo per raggiungere l’illuminazione.
La situazione precipita quando Elisabeth, sorella depressa della fondatrice e leader Melodie, muore, o, come osserva la stessa Melodie, aggiunge il naturale stato successivo. La dipartita di Elisabeth attira l’attenzione dei medici, che avvisano le forze dell’ordine. La polizia olandese mette in custodia cautelare i tre superstiti e li sottopone, separatamente, a interrogatori volti a capire la natura del loro legame, e se davvero erano convinti di riuscire a vivere senza mangiare, fino a diventare espressione di pura Luce e Amore.
Chi sono davvero queste tre persone? Dietro i loro nomi ci sono storie di rifiuti e reazione rabbiose, fallimenti accademici e sentimentali, e il loro tentativo, finito, per una di loro, nell’oblio e nella desolata incapacità di comunicare malessere, di costruire un mondo in cui gli esseri umani riescono a fare a meno di tutto o quasi, è una forma di protesta, uno stile di vita che li avvicina a una setta, o solo una maldestra incapacità di districarsi da un tizio truffaldino che sui video si presenta come lo scopritore della capacità di privazione assoluta dal cibo?
Le storie di Petrus, Melodie, e Muriel si interfacciano con quelle dei poliziotti che li interrogano, sbigottiti e sconfortati dalla loro fragilità, dal loro essersi posti fuori da ogni norma di comportamento sociale. Lisbeth, per esempio, ha una figlia adolescente con gravi disturbi del comportamento alimentare e che a un certo punto deve fare i conti con la connessione che il caso su cui investiga ha con la sua vita privata. La rabbia per la morte per denutrizione della vittima si fonde con la frattura del suo rapporto con la figlia, confondendo in un unico bisogno di punizione l’una e gli altri.
Gli accadimenti legati al passato dei tre superstiti vengono narrati dagli oggetti che li accompagnano, come una penna, o l’estrattore di succo che per Muriel ha rappresentato la salvezza dalla morte per denutrizione, o dalle stesse immagini mentali che scaturiscono in tutti e tre durante il forzato periodo di detenzione. A volte l’io narrante è la demenza di cui soffre la madre di Elisabeth e Melodie, o le parole dei tre fratelli superstiti delle due, e perfino le pagine scritte sulla conclusione delle indagini.
Intimo, profondo e scioccante, ispirato a un fatto di cronaca, il romanzo ha il grande merito di farci riflettere su quanto contino i bisogni, prepotenti, dei nostri corpi, di quanto le rinunce agli oggetti possano talvolta essere una forma di crescita, e invece poi diventino una forma di alienazione insormontabile. Il legame sacro tra cibo ed energia è davvero un dogma destinato a non poter essere contraddetto? E se sì, fino a dove abbiamo il diritto di spingerci nel rivendicare la libertà assoluta dalla schiavitù del cibo che il nostro essere vivi e vitali ci impone? Siamo davvero capaci di controllare l’incontrollabile, di piegare con le nostre intelligenze ipersviluppate i nostri istinti e bisogni più elementari?
A ognuna di queste domande esistono risposte diverse, molteplici sfumature di risposte, almeno tante quante sono le evoluzioni umane che percorrono la solida Terra, alla ricerca di un’armonia superiore che non comporti sopraffazione verso gli altri, contenere lo spreco e imparare a conoscere i reali bisogni dei nostri corpi, così ineludibili, così prepotenti.
Noi siamo la luce. Un nostro fascio ondulato illumina d’arancione le coperte di pile dei tre abitanti della casa condivisa Suono e Amore sdraiati sui loro materassini in soggiorno.
Una donna prigioniera nello spazio di mezzo, il purgatorio, né dentro, né fuori; ogni volta che in strada passa una macchina, e nell’ingresso filtra un fascio di luce giallognola alza le spalle e le sopracciglia, e quando il fascio è scivolato via le rilassa di nuovo per tornare al suo dilemma.
Noi non daremo giudizi sulla sua scelta. Scegliere sta a lei, e a voi guardare. L’unica cosa che possiamo fare è rimanere lì con lei, illuminarle il volto, carezzarle le mani. Fare in modo che tutto questo si veda.