“Amici e ombre” di Kavita Bedford (E/O)

Come capita spesso negli appartamenti condivisi si finisce per creare un equilibrio familiare di reciproca assistenza

Un appartamento condiviso a Sydney, due ragazzi e due ragazze per garantire la parità di genere, nell’età risolutoria tra i 25 e i 30, quando la prima giovinezza è finita e incombe il bisogno di trovarti un lavoro, o almeno fare finta di cercarlo. Questo è l’inizio. Come capita spesso negli appartamenti condivisi, si finisce per creare un equilibrio familiare di reciproca assistenza, una modalità di passare del tempo insieme dettato dal bisogno che non nasconde partecipazione e affetto. L’io narrante, una ragazza anglo-indiana, ha appena subito la perdita del padre, e il suo è un lutto feroce, spesso incomunicabile, una sorta di carapace lucido e respingente, che finisce per farle chiudere una relazione. La madre è tornata in India, dicendo che ha bisogno di casa, della famiglia allegra e chiassosa, lontana dall’inquieta bellezza della terra australiana, che, dietro un’apparente gentilezza, si rivela chiusa, poco ospitale e intollerante verso i migranti di etnia non bianca, e in generale verso chi non sia anglofono.

In cerca di motivi e stimoli per andare avanti, la protagonista lavora come giornalista freelance alla ricerca delle persone nascoste nelle periferie, i luoghi di abbandono e degrado urbano, il modo che hanno di sopravvivere senza assistenza sanitaria e senza contratti di lavoro. Alla consapevolezza lucida di essere una donna, giovane ed estremamente istruita, ma non bianca, e perciò esotica, interessante, ma forse straniera, fa da contraltare una forma di spensieratezza noncurante, tipica di chi viva immerso nel presente, le cui uniche preoccupazioni, a parte pagare le bollette, sono quelle di trovare da bere gratis nelle serate di apertura delle mostre. Le contraddizioni del suo apparente privilegio le appaiono chiare: Sydney è la città delle bollicine, sempre con qualcosa di divertente da fare, con piscine oceaniche di una bellezza sconcertante, eppure è anche una città fatta di strati che mostrano crepe e fratture. Lei si osserva cambiare nel corso di un intero anno, un anno in cui la disperazione per la disgregazione del suo felice nucleo familiare di origine raggiunge l’apice, alternato a momenti di gioie piccole ma necessarie. Lo stare insieme di questa minuscola comunità di coinquilini è una terra di approdo per poco tempo, una comfort zone, in attesa di imparare di nuovo a creare e sciogliere legami, fluidi e saldi al tempo stesso, nel tempo che passa scendendo a compromessi con le nostre aspettative e speranze.

Ma in quel momento, prima che le cose per tutti noi cambiassero, Tessa, Andy e io restammo stesi sull’erba, tenendoci per mano e fissando i fili della luce che solcavano la città e tagliavano l’orizzonte in due. Sopra di noi un pipistrello della frutta era attaccato ai fili della luce, il corpo peloso che penzolava inerte, a ricordare l’invisibile corrente elettrica che incessantemente si accumula per la città, mentre la maggior parte di noi sta dormendo.

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Marilena Votta

Marilena Votta nasce a Napoli e trascorre la sua infanzia e adolescenza in un luogo fatto di sole accecante e ombre altrettanto tenaci. Ha pubblicato le raccolte di racconti Equilibri sospesi, La ragazza di miele e altre storie (Progetto Cultura, 2016) e Diastema (Ensemble, 2020), e la raccolta di poesie Estate (Progetto Cultura, 2019). Il suo racconto “Fratello maggiore fratello minore” è stato pubblicato nell’antologia “Roma-Tuscolana”. Alcuni suoi racconti sono disponibili su varie riviste on line e cartacee. Nell’ottobre 2021 pubblica il suo primo romanzo, Stati di desiderio, con D editore. Del suo rapporto con la scrittura asserisce, convinta, che è il suo posto nel mondo. Scrive recensioni di libri che ama per "Dentro la lampada", la rivista della scuola Genius.

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