I personaggi dei racconti, ambientati nel Kentucky, luogo di origine di Chris Offutt, hanno tutti la luce speciale e digradante dei feriti, degli sconfitti che cercano di sopravvivere in un mondo inclemente. Sono tutti antieroi per eccellenza, lontani da ogni possibilità di riscatto che non sia una fuga o un doloroso ripiegamento sulle piccole possibilità di vita che possiedono. Hanno poco, pochissimo.
La protagonista che dà il titolo alla raccolta cerca una bici di seconda mano per la figlia di otto anni del fidanzato. È una relazione sospesa, forse destinata a interrompersi di lì a poco, eppure lei cede i soldi in contanti che possiede, gli stivali di pelle di struzzo e il cric quasi nuovo dell’auto in cambio della bicicletta, in cambio del sorriso di contentezza di quella bambina, che, chissà, in futuro si ricorderà di un gesto gentile di una quasi estranea. Nessuno è stato gentile con la protagonista, le sue mani sono sempre state chiuse strette a pugno per difendersi, deluse dalle promesse non mantenute.
Essere di seconda mano è un modo di stare al mondo, quell’accettare senza riserve le crepe che emergono sulla pelle, le rughe attorno alla piega amara delle labbra, quel sapere che devi arrangiarti con l’ospitalità offerta per qualche giorno e i letti sporchi degli altri, i lavandini incrostati dalle scaglie rosa di sapone economico, i vestiti che puzzano di fumo, l’odore di birra scadente e di sudore stantio che aleggia in stanze mai davvero pulite.
C’è una ragazza in fuga dalle brulle colline degli Appalachi, che si trova coinvolta in una torbida relazione a tre, con l’inconsapevolezza ingenua di chi vede nei ragazzi che la circondano la grinta di chi è deciso a sfuggire alle costrizioni. La droga e il sesso da ubriachi però non fanno per lei, il senso fittizio di calore che lei sa essere destinato a finire la spinge a frugarsi nelle tasche in cerca di soldi e a cercare una nuova via di fuga.
C’è un ragazzo che è in cerca di una stabilità emotiva, che secondo lui, nella sua inesperienza sentimentale e sessuale, troverà in una moglie, e con questo proposito si iscrive al college, curioso di capire il mondo profumato e frusciante delle donne. Quello che troverà sarà una passione per l’assemblamento di oggetti rotti e apparentemente inservibili, e questa passione diventerà il suo progetto e farà di lui, con quella bizzarra capacità che connota gli americani, un artista, uno scultore.
Una donna, annoiata dalla ripetizione vuota e stanca di una routine matrimoniale che non prevede altro che programmi tv per mascherare la mancanza di emozioni, lascia il marito e incontra un uomo in un locale. Si confideranno le loro speranze, i loro desideri, ma non ci sarà tempo per molto altro. La fugacità della situazione viene capovolta da un evento imprevisto che le svelerà le cose che lo sconosciuto non ha voluto dirle, ma lei, rimasta sola, non tornerà indietro, dal brav’uomo che è il marito, perché appena ci pensa sente parti di lei che sbadigliano e che cessano di sentirsi vive, si bloccano in una sorta di paralisi progressiva degli arti.
Una donna anziana torna a casa dopo un passato che emerge dalle impressioni che scambia con il giovane autista noleggiato per portarla sul greto del torrente della sua infanzia. È passato molto tempo da quando lei se ne è andata e non c’è nessuno della sua famiglia che sia sopravvissuto per accoglierla, ma quello che lei cerca sono i luoghi, non le persone. Il suo corpo riconosce i sassi sistemati con perizia dal suo bisnonno nell’acqua gelida per creare un inizio di passaggio a piedi sull’acqua. La sapienza del corpo che torna dove tutto ha avuto inizio è forse per lei, e per il lettore, una nuova forma di nascita.
Il legame intenso dei protagonisti con i luoghi di provenienza, siano le colline o le piccole e asfittiche cittadine o anche la città universitaria di Lexington, è un mondo sottopelle che condiziona le loro azioni e i loro incerti passi verso il futuro, il loro piede reso saldo dall’unico momento di splendore che dona alle loro vita, a tratti rassegnata, una sorta di abbraccio caldo e rassicurante.
Ricordò il rumore di una zanzariera che sbatteva, il tuono lungo la cresta, le cavallette in una tiepida sera d’estate. Le piacevano le intemperie e la dolcezza della rugiada, il silenzio nel bosco la sera, il rumore gentile dell’acqua. Aveva allungato le gambe sul terreno ma non riusciva a muoverle. Una ventata tra i rami alti fece cadere un po’ d’acqua dalle foglie. Le piacevano i fiori di campo e la pioggia. Le piacevano i ghiaccioli lunghi un metro che scintillavano al sole, e come il tordo beffeggiatore riusciva a memorizzare ogni richiamo e a riprodurlo. Lei apparteneva a quelle colline. L’avevano seguita ovunque e adesso l’avevano riportata a casa. Si sentiva calda e fortunata. Con un ultimo, enorme sforzo di volontà, Ruby dischiuse le labbra e disse, alla sagoma che aspettava, nel buio: Io sa sputare i semi di anguria, lontanissimo.