I dialoghi sono l’incubo, la bestia nera di tanti scrittori. Anche di scrittori famosi, che vendono milioni di copie l’anno, persino di grandi scrittori del passato.
Mettere in piedi un dialogo che funziona non è per niente facile. Basti pensare che in televisione ci sono sceneggiatori che si occupano di fare solo questo, i dialoghisti appunto.
Non che scrivere un monologo sia più semplice, tutt’altro. Basti solo a pensare al monologo di Molly Bloom o al monologo di Cacciatori di frodo, di Cinquegrani.
Quando si scrive, niente è facile. Persino trovare il tempo per farlo, non è facile.
Ma cos’è che rende così complicato scrivere un dialogo credibile, realistico?
In fondo, si pensa, che semplicemente basti salire su un autobus o sedersi a un tavolino di un bar, registrare tutto e poi trascrivere ciò che le persone, quelle vere, si sono dette. Più realistico di questo, che c’è?
Se si facesse così, però, quando uno torna a casa e mette tutto nero su bianco, si accorgerebbe che la realtà ha una sua temperatura, difficile da ritrovare a comando. Sarebbe come cercare di capire perché ci innamoriamo di qualcuno oppure no, cosa scatta, quanti battiti, che respiro si deve avere per innamorarsi. Sarebbe un po’ come fare l’autopsia di un amore.
E allora quand’è che un dialogo funziona?
Quando si riesce a fare uno sforzo di immedesimazione in più, e cioè quando con fatica si riesce a restituire le ragioni dell’uno e dell’altro personaggio. Quando allo scrittore sembrerà di essere insieme a loro mentre litigano, parlano di lavoro, si confessano, si lasciano, si salvano l’uno con l’altro.
Ci si deve fare da parte e forse è questa la cosa più difficile di tutti, persino più difficile dei dialoghi.
Se le ragioni, hanno il sopravvento, o è frutto di una scelta precisa, proprio come quella di Čechov che dava voce a personaggi che la voce l’avevano persa e i loro dialoghi, in realtà, erano lunghissimi monologhi, oppure, se non ci si fa da parte, sarà un disastro, una conversazione tra sordomuti, qualcosa senza né capo né coda, come un amore amato a forza.
E il dialogo imploderà, morirà di sua stessa consunzione.
Sì, perché, come diceva Márquez: “La narrativa è nata il giorno in cui Giona è tornato a casa e ha raccontato alla moglie che aveva fatto tardi perché era stato inghiottito da una balena”. E se non c’è qualcuno che parla e qualcuno che ascolta, non solo i nostri dialoghi ma noi stessi, come scrittori, non avremo nessuna speranza.