Intervista a Margherita Marvasi: “Volevo un’eroina. Liberarmi delle mie debolezze/piccolezze, trasformarmi in una donna drago e, per una volta, volare alto.”

Sentiamo un'autrice dalla vita movimentata non diversa dalle atmosfere che racconta nel suo romanzo

Uscirà in libreria il prossimo 7 settembre, La donna drago (edito da Giunti), il romanzo d’esordio di Margherita Marvasi, capace di unire la vicenda umana di una donna che scopre sé stessa nella vita coniugale da espatriata (una expat, come si suol dire) a contatto con la lotta degli hongkongers, cioè i giovani manifestanti che dalla primavera del 2019 al gennaio 2020 hanno combattuto contro la Cina per le strade di Hong Kong.

Questa in breve la trama: Lavinia, che ha lasciato la sua vita precedente per seguire il marito Marek, si imbatte in un’attivista hongkonger, Limi, leader carismatico della protesta studentesca. Da quel momento la sua vita cambierà direzione, in modo inaspettato.

Marvasi ha avuto finora una vita movimentata, in fondo non diversa dalle atmosfere che racconta nel romanzo, visto che è una giornalista che scrive articoli per “L’Espresso”, ma da Bologna si sposta spesso in giro per il mondo, ha creato un fashion brand a Zanzibar e viaggia spesso in Africa e in Asia, anche se il suo buen retiro è a Pantelleria. Poiché ho letto le prime pagine di questo romanzo, fin da quando era solo un’idea appena abbozzata, ma che mi sembrava già forte, sono davvero lieto di rivolgerle le domande della nostra intervista domenicale.


Cosa ti appassionava di Hong Kong? Perché l’hai scelta come ambientazione?

Mi è sempre parsa come una città del futuro, al suo confronto il resto sembra vecchio. Eppure, per una sublime contraddizione, si respirano tradizioni antiche e la natura si infila dappertutto. Molto affascinante.

Un’amica, che ha vissuto lì per molti anni, mi ha suggerito di raccontare la sua storia. Sarei dovuta partire poco prima del Covid per raggiungerla. Nel frattempo, mi ero appassionata alle proteste che hanno portato due milioni di persone per le strade della città a rivendicare la democrazia che gli era stata promessa e a difendere la loro identità contro l’ingerenza di Pechino. Ho cominciato a leggere articoli, guardare video, tutto quello su cui riuscivo a mettere le mani. Alla fine, non sono riuscita a partire, ma dentro di me ormai avevo deciso di scrivere di quella città, della lotta degli hongkongers.

Definiresti il tuo romanzo una storia politica o una storia sentimentale? O magari una storia di formazione o cos’altro?

Tutte queste cose insieme. Volevo anche scrivere degli espatriati, che considero un po’ la mia tribù. Da Hong Kong a Zanzibar (dove ho vissuto parecchi anni), passando per Rio de Janeiro e Città del Capo – tutte città fuori dall’Europa – viviamo dinamiche simili, che ci accomunano.

Quanto c’è di tuo nella protagonista, l’italiana che segue il marito a Hong Kong?

Come Lavinia, anch’io a trentaquattro anni (la sua stessa età), ho mollato il giornalismo per seguire il mio uomo all’estero.

E come lei, all’inizio della nuova vita, ero una fighetta piuttosto velleitaria. Poi, per fortuna – ma seguendo due percorsi estremamente diversi – ci siamo emancipate diventando entrambe donne drago (sorrido).

Il suo uomo cede alla corruzione morale dei quartieri più degradati della città. Secondo te è lui a essere debole, oppure rappresenta la debolezza dell’Occidente oggi?

Marek per me è la rappresentazione della decadenza etica di certi occidentali. Arrivano a Hong Kong per fare fortuna, lavorano come pazzi, guadagnano tantissimo ma spesso si perdono. Vengono risucchiati dalla parte oscura della città, dove ogni vizio può essere soddisfatto, senza che ci sia un giudizio morale. Lontani da casa tutto è permesso.

Questa decadenza diventa quasi insopportabile e tanto più evidente confrontata all’eroismo di cui hanno dato prova i giovani hongkongers durante la primavera e poi l’autunno del 2019.

Cosa sapevi di questa storia prima di cominciare a scriverla?

Avevo in testa un’immagine piuttosto torbida. Un episodio che avevo sentito raccontare proprio a Hong Kong, e che secondo me rappresentava perfettamente la perdizione di certi expat: una donna svegliata nel cuore della notte dal marito che non è a casa, come lei pensava, ma in ospedale perché ha un dildo infilato nel sedere e deve sottoporsi a un piccolo intervento chirurgico per estrarlo.

“Amore non ti preoccupare, non è niente, torno presto”… LoL

Hai descritto in modo verosimile scene di lotta politica in strada e, all’inizio, perfino la ricostruzione di un caso di cronaca, un omicidio. Come hai lavorato per scriverle?

Ho letto un sacco, tutto quello che sono riuscita a trovare spulciando nella rete. Articoli di giornali, riviste, ma anche libri che approfondivano la questione dal punto di vista storico e politico.

Chi è Limi?

La mia eroina. Volevo un’eroina. Liberarmi delle mie debolezze/piccolezze, trasformarmi in una donna drago e, per una volta, volare alto.

Limi potrebbe essere una/uno qualsiasi dei ragazzi/e che hanno lottato a Hong Kong per il loro futuro. Nel libro li presento così:

Fu un assoluto privilegio incontrare quei ragazzi fieri, indomiti, i loro occhi, gli sguardi determinati e pieni di vita. La loro volontà di non soccombere. E forse, più di ogni altra cosa, sentire la potenza della loro fragilità: armati solo di ideali, e qualche sasso – come Davide contro Golia – sfidarono un nemico troppo potente. Eppure scelsero di lottare, eccome se lo fecero, e diedero tutto.

Tu sei una giornalista e quindi sei abituata a scrivere, è stato facile passare alla narrativa, al romanzo?

No, non lo è stato. Ho dovuto studiare, con grande umiltà.

Il corso della Genius che ho seguito è stato importantissimo per capire certi meccanismi, insieme a diversi manuali (in primis quelli di Robert McKee). E averti avuto come editor, Paolo, tutto il lavoro che abbiamo fatto insieme, le finestre che mi hai spalancato, i tuoi consigli, l’ispirazione e soprattutto il tuo incoraggiamento è stato fondamentale.

Grazie, Margherita, è stato un piacere lavorare insieme, ma andiamo avanti a parlare della situazione di Hong Kong, gli eroi di questa storia hanno ormai perso?

Si, hanno perso. Anche se non sono spariti: all’ultimo Festival di Cannes è stato presentato un documentario che narra delle proteste del 2019, Revolution of our times, arrivato anche nelle sale italiane, ma purtroppo le cose a Hong Kong sono precipitate; prima con l’arrivo del Covid, che ha di fatto bloccato le proteste, poi con la mannaia della legge sulla Sicurezza nazionale del 30 giugno 2020. Una legge emanata dal governo centrale cinese sulla quale nessuno a Hong Kong è stato consultato, né gli organi legislativi, né il governo, né la popolazione. I crimini di sovversione sono descritti in maniera vaga e le pene molto dure, fino all’ergastolo.

Segui ancora la cronaca politica della Cina, con il caso Taiwan, che ricorda la situazione di Hong Kong, oppure è troppo doloroso per te?

Si, sono abbastanza attenta e anche preoccupata. D’altronde gli hongkongers ci avevano avvertiti: se non ci aiutate, dopo di noi toccherà ad altri. La Cina non si fermerà.

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Paolo Restuccia

Scrittore e regista. Cura la regia della trasmissione Il Ruggito del Coniglio su Rai Radio2. Ha pubblicato i romanzi La strategia del tango (Gaffi), Io sono Kurt (Fazi), Il colore del tuo sangue (Arkadia) e Il sorriso di chi ha vinto (Arkadia). Ha insegnato nel corso di Scrittura Generale dell’università La Sapienza Università di Roma e insegna Scrittura e Radio all’Università Pontificia Salesiana. È stato co-fondatore e direttore della rivista Omero. Ha tradotto i manuali Story e Dialoghi di Robert McKee e Guida di Snoopy alla vita dello scrittore di C. Barnaby, M. Schulz.

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