Mi chiamo Isabella Longo e ho chiamato il mio podcast: “La musica del piffero”, un nome dispregiativo per indicare il flauto dolce, il protagonista del primo episodio. Con questo prodotto vorrei sfatare la falsa idea legata a questo strumento – e ai suoi colleghi considerati più “classici” – che suonare sia cosa riservata a pochi ragazzi di talento e non sia un’attività importante nella vita di qualsiasi persona. Voglio conoscere io stessa e far conoscere agli ascoltatori che non praticano musica, il repertorio e le curiosità di questi strumenti, eliminando soggezione, se non il disinteresse dei profani, nei confronti della pratica musicale.
Come tanti da bambina anch’io ho suonato il maledetto “piffero”, entrato nella scuola italiana non a indirizzo musicale come unico strumento con cui insegnare la musica attiva ai bambini e ai preadolescenti. Quasi tutti gli adulti ricordano questo strumento con poco piacere. Perché tanta antipatia? Il fastidioso suono acuto, le note che nell’esecuzione risultano poco legate, il repertorio poco accattivante. Tutti abbiamo in mente qualcosa di simile al fischietto del vigile urbano, soprattutto pensando ad alcune classi di ragazzini che intonano l’Inno alla gioia musicato da Beethoven.
I brani suonati con questo piccolo strumento di legno – in realtà spesso sostituito dalla versione di plastica disponibile a pochi euro – non riscuotono grande successo tra gli esecutori e tanto meno tra gli ascoltatori.
“Maledetto piffero! Mi ha fatto odiare la musica!”, ecco il commento più frequente tra i mancati musicisti. L’idea che studiare uno strumento sia inutile, una perdita di tempo o addirittura odioso può nascere in noi proprio quando siamo bambini se il primo impatto con la musica non è quello giusto. Quanti di voi hanno desiderato di lanciare il flauto di plastica fuori dalla finestra?
Eppure il flauto dolce può essere davvero bellissimo da ascoltare. C’è anche chi lo ha amato e religiosamente coccolato fin da piccolo, in particolare il flauto di legno, che richiede una manutenzione particolare.
Io possedevo un flautino tedesco di marca Moeck, con tanto di scovolino per pulirlo all’interno e di grasso di balena per ungere il sughero che funge da guarnizione tra la testa e il corpo dello strumento. Ricordo ancora il profumo del legno e l’unguento con cui già che c’ero mi curavo le mani. Anche questo fa parte del fare musica: l’atmosfera e il rituale che nasce attorno allo strumento.
Sì, lo confesso! Io l’ho amato, proprio come l’ha amato la mia compagna delle elementari Cristina! Suonavamo le melodie di allegre canzoni prevalentemente popolari, alternate a canti di chiesa. Poi, tornando a casa e avendo l’orecchio ormai ben allenato, facevamo a gara con le amiche nell’improvvisare i successi di Sanremo. E quando ho deciso di suonare il pianoforte la musica era già parte di me e la sapevo già leggere, grazie al “piffero”.
Ecco perché il primo episodio l’ho dedicato proprio al famigerato flauto dolce, partendo dal trauma subito da Leonardo che a scuola suonava solo canzoni di chiesa, per proseguire con il racconto di Fabio Vetro, un “pifferaio magico” in versione youtuber. Il professor Vetro è un insegnante di educazione musicale che ha ottenuto più di cinque milioni di visualizzazioni sul suo canale YouTube, creando dei tutorial trascinanti e trasformando bambini e adulti in flautisti provetti. Conoscerete anche l’affascinante talento di Anna Fusek, che suona Vivaldi con il flauto dolce da vera virtuosa dello strumento.
Non perdete la possibilità di (ri)avvicinarvi alla musica, grazie alla scoperta del flauto dolce e di tanti suoi colleghi. Abbandonare i pregiudizi sui repertori, scoprire curiosità sugli strumenti, imparando a riconoscerne meglio i suoni e le potenzialità, apre una finestra sul mondo della musica praticata attivamente. Magari in qualcuno nasce inaspettatamente uno strano pensiero: “Quasi quasi suonerei…”
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