Oggi ho avuto improvvisamente la percezione di quanto tempo sia passato ormai dall’epoca di alcuni miei romanzi che vorrei ristampare. Vent’anni! Una vita!
“Perché uno dovrebbe farlo”, mi diceva un amico al telefono, “perché un editore dovrebbe ristamparli, i tuoi romanzi di 20 anni fa, un editore che sia un minimo interessato al mercato voglio dire…”
“Beh, come perché, insomma…” in effetti il mio amico aveva ragione e io ho balbettato qualcosa senza rispondere.
Già, ho continuato a ragionare, quei romanzi parlano di un’Italia che non esiste più, capite, di un mondo diverso… la caduta del Muro, la guerra in Bosnia, Mani pulite, il bunga bunga… Io stesso, sono un sopravvissuto, diversi scrittori della mia generazione sono già morti. Qualche nome? Beh, adesso non mi va, ma fidatevi ci sono… “Insomma, ho avuto la raggelante percezione di essere un residuato bellico, per farla breve, uno scrittore vecchio e fuori del suo tempo. Ecco tutto. E tu mi chiedi come ti senti!”
“Non gliel’ho chiesto, e la prego di non usare il tu. Io non la conosco.”
“Va bene, glielo dico lo stesso! è una sensazione che, come posso dirle…”
“Si sente vecchio!, non la faccia tanto lunga, una sensazione che proviamo tutti prima o poi! Dio come le gonfiate, voi artisti, queste cose normalissime…”
“Dunque, lei mi conosce, mi ha riconosciuto! Sa che sono un artista quanto meno, uno scrittore…”
“Ma no, non lo so, non si illuda, non si gasi, lo immagino, la sentivo farfugliare dei suoi romanzi a una signora grassa… prima, alla fermata del bus, non sono stato lì a sentire, intendiamoci…”
“Sì, una cafona ignorante! che mi parlava di Coelho… Comunque, caro signore, mi sento come uno scrittore di 62 anni, per farla breve, che non produce niente di nuovo da diverso tempo, capisce?”
“Capisco”.
“E forse ha esaurito gli argomenti, la vena sua, ammesso che ne abbia mai avuta una”.
“Vuole sentirsi dire, ma no, ma scherza, dice così lei con la sua poetica, la sua storia… gli editori sono dei criminali, che non si fiondano a ristampare i suoi titoli epocali! Ma non glielo dico, anzi le dico un’altra cosa: che dei titoli che sono usciti negli ultimi 30 anni credo sia un bene che il 90 per cento, sì, più o meno, posso immaginare, non siano ristampati! E si dimentichino… è un ricambio fisiologico…”
“Ma lei fa l’editore? O lo psicanalista? O il sondaggista?”
“Ma no! Sono uno che legge e si informa, neanche tanto poi. Guardi, io nella vita ho altro da fare che interessarmi a lei e alle sue faccende personali… mi creda! Io le ho risposto, se lo vuol sapere, solo per cortesia, e lei adesso ne sta facendo un castello. Se lei solo immaginasse quello che pensavo un momento prima di incontrarla?”
“Che devo immaginare?”
“Ma lasci fare. Insomma ero in tutt’altri pensieri affaccendato, prima di incontrarla, si dice così?”
“Di che si tratta?”
“Ma niente, era solo per farle notare come lei non alzi mai lo sguardo al disopra del suo ombelico. Mi passi la metafora anatomica”.
“Lei ha ragione, sa, è proprio così, noi narcisisti ombelicali, le piace la definizione, ma sì, e fra gli scrittori ce ne sono tanti, noi siamo talmente presi da noi stessi dai nostri problemi dalle nostre beghe, che magari abbiamo sotto gli occhi un caso umano interessante e lo ignoriamo di sana pianta…”
“Ecco, il caso umano… lei è, guardi, lei è…”
“Lasci stare le definizioni… e racconti, racconti il suo caso… di cosa parlava, cosa stava per fare”.
“Ma niente. Niente che possa accendere i suoi interessi romanzeschi.”
“Cosa stava per fare prima incontrarmi, signore, non eluda la questione. Dove era diretto? Quali pensieri ho interrotto?”
“Io?”
“Sì, lei…”
“Io se ci tiene a saperlo, ero diretto all’obitorio, come ogni giorno dell’anno, a quest’ora. Io ogni giorno a quest’ora in questo punto preciso della nostra città, a fianco della Metro, a pochi metri dall’ingresso della biblioteca, sono diretto all’obitorio, perché io ci lavoro all’obitorio”.
“Ah che bel lavoro!”
“Non prenda per il culo, davvero le farebbe bene a lei, che presume di fare lo scrittore… un’immersione nel mio habitat quotidiano, di operatore necroforo o becchino o vespillone che dir si voglia, fra medici legali, odore di formaldeide, di putredine… Stavo andando all’obitorio comunale, appunto, al mio luogo di lavoro, a svolgere le mie quotidiane funzioni, quando ho incontrato lei che farfugliava dei suoi romanzi… e nella fattispecie stavo pensando a un certo cadavere, che hanno depositato ieri, restituito dal fiume, che mancava di una gamba e di un braccio e di buona parte della faccia, cui oggi verrà fatta l’autopsia…”
“Un uomo o una donna?”
“ll processo di putrefazione era troppo avanzato e non si capiva… ma forse una donna… una suicida morta affogata da un po’…! Succede spesso… Pensavo che sarebbe stato inquietante rivedere anche oggi quel cadavere e magari doverlo trasportare, o preparare per l’autopsia, coi medici legali, quei vampiri, alle calcagna… a questo pensavo. La saluto adesso che faccio tardi.”
“Vorrei rivederla.”
“Passi a trovarmi all’obitorio! Fra i vivi. Ma di cosa parlano i suoi romanzi?”
“Oh di tante cose, di piccoli uomini che deragliano, si fanno del male, si umiliano! Ma nessun operatore necroforo finora. Devo rimediare.”
Scrivete un racconto autobiografico che descriva un vostro immaginario incontro con un operatore ecologico, cioè uno spazzino dell’Ama. O un barbone.
Alla prossima.