Antonio Fiore: “All’inizio di tutto ciò che scrivo c’è sempre l’idea di narrare una storia in cui ci siano tante immagini”

Scopriamo l'autore di una storia in cui l'immaginazione fantastica si mescola con l'accurato realismo

Non capita spesso ai lettori contemporanei di narrativa italiana di trovarsi immersi in un’avventura che coinvolge i personaggi di un romanzo in misteri del passato che risalgono alla Seconda Guerra Mondiale, sullo sfondo di ricerche scientifiche che operano per raggiungere risultati oltre le capacità umane, lungo sotterranei ancora misteriosi e inesplorati di Roma, alla scoperta di ipotesi fantascientifiche che si basano però su serie basi cliniche, insomma ritrovarsi a leggere una storia in cui l’immaginazione fantastica si mescola con l’accurato realismo come in un libro di Giulio Verne o di Clive Cussler. Antonio Fiore ha appena pubblicato un romanzo che s’intitola La porta di Esculapio (Bertoni 2021) nel quale racconta la storia di Leo, un anziano dall’energia insolita per la sua età, che compare apparentemente senza un motivo all’interno di un parco che circonda una prestigiosa e antica clinica privata romana, la Esculapio. Da qui prende il via l’azione, con risvolti e sviluppi sorprendenti, da leggere fino all’ultima pagina. E se pensate che Antonio Fiore è non solo uno scrittore al suo primo romanzo, ma una persona celebre nell’ambiente sportivo e in quello medico, perché si occupa delle abitudini e dei metodi per rendere meno debilitante l’invecchiamento e perché è il medico della nazionale italiana di scherma (che miete allori nelle maggiori competizioni internazionali), oltre a conoscere le più avanzate ricerche scientifiche nel campo della medicina sportiva e della lotta al doping, capite pure perché le sue pagine sulla sorprendente capacità atletica di Leo e sulle ricerche scientifiche che si svolgono intorno (anzi direi sotto, come scoprirete leggendo) la clinica Esculapio, non sono di certo campate per aria, come capita a quelle di alcuni autori che si occupano di questi argomenti. Ma è un libro scientifico? No, certamente. È un libro che narra con una scrittura solida e coinvolgente un’avventura quasi da super eroi, per quanto fuori dal comune. E non vi pare un buon motivo per fare all’autore una delle mie interviste? Visto che oltretutto lo conosco da diversi anni e ho seguito buona parte del suo iter da scrittore? Eccola, quindi.


Leo, il protagonista della tua storia, è un uomo anziano però ancora molto forte e agile, qual è il suo segreto?

Leo è un vecchio supereroe: o meglio, un supereroe vecchio. È stato sottoposto per alcuni anni a dei trattamenti farmacologici molto speciali e del tutto sperimentali che hanno modificato e potenziato tutti i suoi organi e apparati, compreso il sistema nervoso, quello cardiovascolare e perfino quello immunitario. Non solo possiede qualità neuromuscolari straordinarie, ma le cellule del suo organismo non invecchiano come quelle di un essere umano normale e addirittura sembrano avere delle potenzialità rigenerative. Nel corso della sua vita, però, si è sottoposto per decenni anche a un addestramento durissimo, che ha ulteriormente incrementato le sue capacità.

Il suo contraltare, invece, è il dottor Edoardo Castelli, un uomo comune che si ritrova inserito in una vicenda al limite dell’impossibile, che persona è?

Castelli è un brillante, ambizioso scienziato, ma anche un uomo dalla personalità complessa e contraddittoria: ipersensibile, talora iracondo e, soprattutto, con una certa tendenza alla misantropia, che gli deriva dall’incapacità di rapportarsi in modo soddisfacente con esseri umani che troppo spesso lo annoiano, lo infastidiscono o addirittura lo mettono a disagio con la loro pochezza morale e intellettuale. Però è anche un uomo integro, onesto e fondamentalmente animato da valori positivi. In altri termini, non è attratto dalla ricchezza, dal potere o dai beni materiali in senso lato, ma da un sincero bisogno di aiutare il prossimo, nonostante spesso del suo prossimo non abbia una grande stima.

Nel tuo romanzo ci sono diverse donne, Greta, Sara, Silvia, la signorina Moretti: che ruolo svolgono?

Le donne di oggi sono cambiate. Sono diverse rispetto a quelle con cui sono cresciuto e con cui mi sono relazionato, soprattutto in gioventù. Negli ultimi anni, forse soprattutto per il grande sviluppo dei social, sto scoprendo la progressiva evoluzione di un mondo femminile che talora mi appare un po’ incomprensibile, e non solo per una questione di età: credo che anche molti giovani maschi siano decisamente in difficoltà.

Nel mio romanzo ci sono quattro donne, due giovani e due anziane. Mi sono sforzato di uscire da una serie di stereotipi e ho cercato di descrivere in chiave moderna delle donne che non fossero condizionate dalla propria sfera emozionale e che non subissero il mondo maschile ma che, anzi, fossero in grado di competere con gli uomini anche fisicamente. Ho delineato, poi, tre personaggi femminili che hanno in comune, seppur con diverse sfumature, svariate caratteristiche negative: avidità, opportunismo, e perfino vera e propria crudeltà. Si salva solo la più vecchia delle quattro, Silvia, che a suo modo è protagonista dell’unica storia d’amore del romanzo, a dire il vero molto particolare.

Hai scritto un romanzo d’avventura, denso di azione e misteri, l’hai scelto a tavolino oppure ti è venuto così?

All’inizio di tutto ciò che scrivo c’è sempre l’idea di narrare una storia, in cui ci siano tante immagini, un buon ritmo ma, soprattutto, personaggi che si muovano, dialoghino tra loro, compiano azioni. Ritengo che anche ricorrendo a questa chiave narrativa uno scrittore possa descrivere emozioni, introspezioni, relazioni complesse tra esseri umani, sentimenti profondi. In linea di massima, non amo pianificare nei dettagli la trama, i contenuti e l’andamento di un romanzo, ma lascio scorrere la scrittura sforzandomi di immergermi totalmente nella dimensione creativa e senza preoccuparmi troppo dello stile.

Alcune scene molto suggestive si svolgono nei sotterranei di Roma, secondo te nascondono davvero certi segreti?

Non c’è dubbio che Roma presenti un vasto e stratificato mondo sotterraneo per larga parte inesplorato, in cui convivono gli innumerevoli elementi geologici, archeologici e storici che caratterizzano questa città. È possibile visitare almeno alcuni di questi luoghi che, ne sono certo, trasudano storie ammantate di mistero. Del resto, basta scendere pochi metri sotto il livello stradale e già si ha la sensazione di entrare in un mondo dai contorni irreali che, per chiunque sia dotato di un po’ di fantasia, offre lo spunto per storie di ogni tipo. Per quanto riguarda in particolare il mio romanzo, poi, la consapevolezza che proprio sotto alcuni dei luoghi che ho frequentato e in cui ho vissuto esista una rete intricata di corsi d’acqua, passaggi e vie di comunicazione di ogni tipo, ha esercitato su di me un fascino irresistibile.

Secondo la tradizione, Esculapio è il dio che venne fulminato da Giove perché voleva donare all’uomo una vita straordinariamente lunga. Anche nel tuo romanzo c’è la ricerca della lunga vita?

La consapevolezza dell’ineluttabilità della morte è uno dei problemi più radicati nella natura stessa dell’essere umano e uno dei temi letterari più classici. Da un certo punto di vista, se consideriamo che solo fino alla prima metà del secolo scorso l’aspettativa di vita degli individui era di parecchi decenni minore rispetto a quella attuale, potremmo affermare che lo spettro dell’invecchiamento sia già stato in parte esorcizzato, grazie soprattutto ai progressi della medicina. Seppur in virtù di un sistema moralmente ignobile, nel mio romanzo proprio la medicina svolge un ruolo fondamentale nella ricerca di strumenti per allungare la vita e debellare alcune malattie legate all’invecchiamento. Va specificato, tuttavia, che nella realtà attuale questi strumenti non sono tanto farmacologici quanto connessi allo stile di vita degli individui. In altri termini, non esiste un elisir di lunga vita, cioè la pozione miracolosa che ci fa rimanere perennemente giovani, ma sono ben più importanti fattori come l’alimentazione, il movimento, il benessere mentale.

E secondo te, questa ricerca di una vita tanto lunga, andrebbe “fulminata” ancora oggi da qualche dio, oppure è una tendenza positiva della medicina.

Secondo me quello che conta non è tanto allungare la vita, quanto tenerne alta la qualità il più a lungo possibile. Al di là della ricerca di farmaci e di trattamenti sempre più efficaci contro le malattie, la medicina dovrebbe concentrarsi di più sui sistemi da adottare, fin dall’età giovanile, per prevenire una serie di disturbi che caratterizzano l’invecchiamento. In parole povere, la vecchiaia si rallenta iniziando a darsi da fare da giovani, ma un concetto all’apparenza così semplice non è stato ancora afferrato del tutto nella nostra società.

C’è qualche autore che ti ha ispirato durante la scrittura?

Ce ne sono diversi, per le più svariate ragioni. Da Jules Verne, autore di cui mi sono cibato nell’infanzia e nell’adolescenza, ho preso il gusto per le storie d’avventura. Mark Twain mi ha dato lo spunto per alcune scene ambientate nei sotterranei, perché anche  il suo protagonista Tom Sawyer rischia di perdersi in una rete labirintica di grotte. Melville mi è venuto in mente quando ho utilizzato alcuni aspetti dello schema narrativo di Moby Dick: quelli in cui, fin dall’inizio del romanzo, l’unico superstite di una serie di eventi tragici racconta al lettore la propria storia. Di Tolkien e del suo Signore degli Anelli, mi ha sempre affascinato l’idea della spedizione impossibile o comunque zeppa di ostacoli minacciosi, per raggiungere una meta. Ma potrei citare anche Murakami, scrittore di cui adoro la capacità di raccontare storie surreali, passando dal reale al fantastico senza soluzione di continuità: in qualche modo, anche il mio Leo fa cose fantastiche in modo del tutto naturale, in alcuni passaggi del romanzo.

Sei il medico della nazionale italiana di scherma, hai conosciuto e curato tanti campioni, hai assistito a diverse olimpiadi da protagonista, cosa è finito di tutto questo dentro La Porta di Esculapio?

Il mondo dello sport di alto livello è il regno della competitività più esasperata, in cui contano solo il risultato, la vittoria, il successo, cui sono collegati anche i benefici economici e, spesso, la ricchezza. Rispetto alla società reale, però, nello sport tutto avviene in fretta. Tutto è accelerato perché, nonostante si cerchino costantemente sistemi per allungarla, la vita sportiva è relativamente breve e gli atleti hanno poco tempo per realizzare i propri obiettivi, che peraltro desiderano raggiungere a qualsiasi costo. Insomma, malgrado spesso venga descritto come un ambiente in cui regnano essenzialmente nobili valori, quello sportivo è un territorio abbastanza pericoloso e zeppo di trappole, nelle quali è relativamente facile cadere. La scherma, poi, è uno sport in cui i tranelli regnano sovrani, perché bisogna colpire un avversario traendolo in inganno, effettuando false provocazioni, simulando intenzioni, fingendo di avere un bersaglio mentre si punta a un altro, ostentando una sicurezza in sé che sottometta mentalmente chi hai di fronte: tutti elementi in cui la pura forza fisica non conta. In questa giungla in cui vige la legge della sopravvivenza, sul piano emozionale e comportamentale non ci sono differenze tra uomini e donne: tutti mirano a vincere, senza scrupoli né problemi di coscienza, distruggendo l’avversario e, talora, nemmeno troppo metaforicamente. E in questo contesto così duro e bellicoso, è inevitabile che possa inserirsi l’azione moralmente più spregevole, cioè il doping: la ricerca di un vantaggio farmacologico in modo disonesto e al di fuori di ogni regola.

Ovviamente, come medico, dal punto di vista di un osservatore privilegiato e non certo di un protagonista, ho assistito per buona parte della mia vita allo spettacolo che ho appena sintetizzato.

Credo che possa bastare, che ne pensi?

Stai già scrivendo il seguito di questo romanzo, oppure pensi di dedicarti a qualcosa di nuovo, magari più introspettivo?

Sì, ci sto pensando e ho già iniziato a buttare giù qualche idea, ma non ho ancora definito il modello narrativo, che scoprirò nel corso della scrittura. Di sicuro, vorrei puntare l’attenzione maggiormente su un paio di personaggi che già orbitano nella mia mente, cercando di evidenziare una serie di aspetti emozionali e psicologici che dovrebbero caratterizzarli. L’ambientazione sarà di sicuro metropolitana e svolgeranno un ruolo importante nella trama anche i social, che ormai condizionano in tutto e per tutto le nostre vite.

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Paolo Restuccia

Scrittore e regista. Cura la regia della trasmissione Il Ruggito del Coniglio su Rai Radio2. Ha pubblicato i romanzi La strategia del tango (Gaffi), Io sono Kurt (Fazi), Il colore del tuo sangue (Arkadia) e Il sorriso di chi ha vinto (Arkadia). Ha insegnato nel corso di Scrittura Generale dell’università La Sapienza Università di Roma e insegna Scrittura e Radio all’Università Pontificia Salesiana. È stato co-fondatore e direttore della rivista Omero. Ha tradotto i manuali Story e Dialoghi di Robert McKee e Guida di Snoopy alla vita dello scrittore di C. Barnaby, M. Schulz.

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