Essere uno scrittore

Ma secondo voi come si fa a dire di essere uno scrittore, uno scrittore di professione? Bisogna aver almeno pubblicato un libro, o due? Bisogna avere successo?

Ma secondo voi come si fa a dire di essere uno scrittore, uno scrittore di professione? Bisogna aver almeno pubblicato un libro, o due? Bisogna avere successo? Allora, chiariamoci un po’ le idee, so per esperienza che questo è un “tema caldo” per chi fa, o prova a fare questo mestiere. Beh, se si prendesse alla lettera tale domanda, bisognerebbe rispondere che sei legittimato a definirti “scrittore” solo quando riesci a mantenerti con i proventi derivanti dalla vendita dei tuoi libri e non hai bisogno di fare altro. Ma sappiamo tutti che tale condizione è molto difficile da ottenere – oggi come ieri – e in pochi la raggiungono. Ma l’aspetto economico-finanziario, cioè l’aspetto “professionale” non è l’unico elemento in gioco nell’attività della scrittura, e nel “mestiere dello scrittore, e non è nemmeno il più importante. Tanti scrittori, anche fra i grandi, furono costretti, quasi sempre malvolentieri, a fare altro per mantenersi: pensiamo a Kafka che per vivere faceva l’impiegato, prima in una compagnia di assicurazioni, e poi nello Stato, e scriveva i suoi libri di notte, dei quali ne pubblicò pochi e senza alcun successo. Oppure pensiamo a Melville che non ebbe mai un reddito sicuro, e si barcamenò per tutta la vita fra diversi mestieri (mozzo, doganiere e quant’altro: mestieri che lo ispirarono per i suoi capolavori) – e per il sostentamento suo e della sua famiglia fu costretto per alcuni periodi a dipendere dal suocero o dagli amici (fra cui Hawthorne, l’altro grande dell’Ottocento americano). Sono solo due esempi, ma potremmo farne tanti, anche al giorno d’oggi. Io stesso ho fatto il bancario per 17 anni per mantenermi. Ma mi sono sempre sentito dentro uno scrittore, un artista, anche quando ero costretto per ragioni di sopravvivenza alla vita del travet. E quell’esperienza della banca per quanto frustrante e faticosa, mi diede spunti preziosi per i miei romanzi e racconti. Ecco il punto. Io credo che scrittori lo si diventa davvero quando sentiamo di aver oltrepassato la fase dilettantesca della scrittura, quando prendiamo consapevolezza completa del nostro essere artisti nel mondo, quando la letteratura è diventata ormai una parte di noi di cui non possiamo e non vogliamo fare a meno; quindi, molto di più di una semplice professione esercitata a scopo di guadagno. Siamo noi e soltanto noi che lo decidiamo quel momento nel quale sentirsi e dichiararsi scrittori! E non permettiamo mai a nessuno di deciderlo per noi!

Per esercizio vi propongo di scrivere un racconto in cui venga fuori una discussione vivace, polemica – fra due o più persone – sul tema che abbiamo affrontato. Immaginate se volete un giovane scrittore cui viene messo in discussione – da qualche amico, o da un parente – il suo essere (e dichiararsi) scrittore, a fronte del suo scarso successo commerciale o editoriale.

Buon lavoro, e alla prossima.

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Andrea Carraro

Andrea Carraro, scrittore, nasce a Roma. Se avesse ricevuto un euro ogni volta che sui media hanno usato il termine “il branco” per parlare di uno stupro di gruppo, citando il titolo del suo romanzo più noto, oggi sarebbe ricco. Invece è “solo” uno scrittore tra i più bravi. Romanziere, autore di racconti e di poesie, nasce a Roma nel 1959. Ha pubblicato i romanzi: A denti stretti (Gremese, 1990), Il branco (Theoria, 1994), diventato un film di Marco Risi, L’erba cattiva (Giunti, 1996), La ragione del più forte (Feltrinelli, 1999), Non c’è più tempo (Rizzoli, 2002) (Premio Mondello), Il sorcio (Gaffi, 2007), Come fratelli (Melville, 2013), Sacrificio (Castelvecchi, 2017) e le poesie narrative Questioni private (Marco Saya, 2013). Ha pubblicato anche due raccolte di racconti, confluite nel volume Tutti i racconti (Melville, 2017). I suoi giudizi critici, sensibili ma affilati quando serve, lo rendono un lettore del cui parere fidarsi con tranquillità.

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