Serena Venditto: “Il gatto Mycroft in queste storie è come una lente d’ingrandimento”

Una serie di gialli dove tra gli investigatori c'è un felino, che si chiama come il fratello di Sherlock Holmes

Quando Serena Venditto mi ha chiesto di presentare il suo romanzo Grand Hotel (Mondadori 2021), la prima cosa che mi ha attratto è stato il sottotitolo Natale con delitto per quattro coinquilini e un gatto, perché io provo un sottile piacere a leggere i libri che contengono delitti ambientati in contesto natalizio. Forse perché il Natale è la festa della bontà, ma anche quella dell’ipocrisia. Forse perché è il trionfo del cibo, ma anche dell’indigestione. Forse perché è l’occasione dei regali più graditi, ma anche di quelli più riciclati. Come sia, sia, sono tanti i romanzi gialli ambientati nel periodo natalizio. C’è un Natale di Poirot, ce n’è uno di Maigret, e ce ne sono tanti raccolti in volumi dai titoli come Un Natale in giallo, Giallo Natale, ecc. In più Serena scrive gialli ambientati a Napoli, ma d’impianto sherlockiano quindi londinese. E quali città sono più natalizie di Napoli e Londra? E così in un pomeriggio romano l’ho incontrata nella libreria San Paolo di San Giovanni ne abbiamo parlato insieme. Ecco, più o meno, quello che ci siamo detti.


Come ti è venuto in mente di uccidere qualcuno a Natale?

In realtà il clima natalizio, secondo me, è molto accogliente per un delitto. Pensiamoci, ci sono le luci, e dove ci sono tante luci ci sono anche tante ombre. Poi ci si riunisce soprattutto in famiglia e quale ambiente può covare più dissapori, più motivi di attrito, più incomprensioni, quindi più motivi per un delitto, della famiglia? Quale iconografia può risultare più – come dire – sconvolgente dell’immagine del sangue sulla neve? E poi i Babbo Natale assassini… Ci sono tutta una serie di cose che rendono il Natale perfetto per un delitto, sempre di carta naturalmente, quindi mi ha sempre affascinato molto.

In realtà io avevo cominciato a scrivere questo romanzo, partendo però dalla trama, e inizialmente non l’avevo ambientato a Natale finché a un certo punto mi è venuta un’idea legata a una zampogna, e mi sono detta che l’unico modo per far entrare una zampogna nella storia era ambientarla a Natale. Ne parlai anche con Marco Malvaldi e lui all’epoca disse: «Bellissimo, Natale a Napoli è fantastico, lo devi fare» e quindi ho creato l’ambientazione natalizia, che è perfetta per il delitto, ma che soprattutto è anche di ostacolo all’indagine, perché loro stanno indagando e intanto hanno anche altri problemi, come trovare i regali, fare l’albero in modo che non collassi sotto gli attacchi del gatto, quindi tutta una serie di problemi – insomma, si fa per dire problemi – che però ovviamente ostacolano le indagini.

Nello scriverlo ho dovuto lavorare molto di fantasia e di ricordi perché io ho terminato la scrittura il 27 dicembre del 2020, quando eravamo chiusi in casa e non si poteva stare a tavola in più di quattro, sei, per fortuna non me lo ricordo già più… e invece io raccontavo di San Gregorio Armeno, delle file davanti ai negozi, tutti l’uno addosso all’altro. E io dovevo raccontare questo, dovevo raccontare questa leggerezza, questa spensieratezza, cosa che ovviamente in quei giorni era impensabile, era impossibile. Quindi è stato un po’ faticoso però contemporaneamente è stato divertente perché era anche un modo per sperare che tornasse quel Natale affollato e confusionario.

Ma tu che rapporto hai con il Natale?

Io adoro il Natale. C’è un pezzo della mia casa dove è Natale tutto l’anno; quindi, c’è la mensola con tutti i libri ambientati a Natale – non solo i gialli – e poi ci sono gli alberelli di Natale, c’è un altro angoletto con il presepe, perché il Natale sostanzialmente è uno stato mentale, è una condizione dello spazio, un sentimento più che un periodo dell’anno. Mi piacciono le luci, mi piace l’atmosfera, mi piace pensare cosa regalare alle persone (e io ci comincio a pensare verso Agosto, Settembre) e credo che chi ha avuto un’infanzia felice ami il Natale. E poi è un momento così quasi di sospensione. E in realtà crescendo si scoprono altri motivi per amare il Natale tipo, per esempio, gli amici che tornano per le vacanze.

Questo mi sembra importante soprattutto oggi, per la tua generazione.

È come per i miei personaggi: Malù è un’archeologa e viene dal Molise, Ariel è una traduttrice Italo americana, quindi, ha parenti tra Bagnoli e il New Jersey, Kobe che è giapponese ha la fidanzata a Cremona, Samuel che è metà sardo e metà nigeriano ha sorella che vive a Londra. Ecco, questi sono in realtà i problemi della mia generazione, cioè noi quarantenni siamo una generazione molto diffusa. A me capita ogni volta di fare questa considerazione quando faccio gli inviti per le presentazioni. Quando faccio l’elenco delle persone da invitare all’evento, dico: no, questo sta Berlino; no, questo non sta più a Milano; no, questo mo’ sta a Bologna, questo sta a New York. Noi millennials, cioè noi che siamo stati giovani negli anni negli anni 2000, siamo una generazione che si è diffusa, che ha allungato le radici – e non so perché sto dicendo ora questa cosa – o forse sì perché in realtà c’entra con il Natale perché il Natale può essere una grande occasione di riallacciare le relazioni anche fisicamente.

In questa serie di romanzi hai scelto una voce narrante, Ariel, che sarebbe il dottor Watson di questa storia e poi c’è lo Sherlock Holmes che è Malù, e poi c’è il gatto, che si chiama come il fratello di Sherlock, Mycroft. Il vero investigatore è lui?

Il gatto non ha nessun potere sovrannaturale, non è un gatto che parla, i suoi poteri non sono altro che quelli che la natura ha conferito ai felini: la capacità di vedere al buio, di percepire odori, rumori strani, in generale le cose che non tornano. Tutte doti che fanno un buon investigatore. E perché poi, come tutti i proprietari di gatti sanno, fanno delle cose che se le racconti a chi non ha un gatto pensa che sei pazzo. Gli ho dato questo nome perché in realtà Mycroft Holmes, appunto il fratello di Sherlock Holmes, è un po’ felino nei suoi atteggiamenti, passa i suoi pomeriggi al Diogenes Club, dove vige la regola del silenzio, che è un’altra cosa molto apprezzata dai gatti, e anche da me personalmente. Il gatto Mycroft in queste storie è come una lente d’ingrandimento, è come se amplificasse i dettagli, gli dà un “suono” più ampio, sottolinea, amplifica e dà valore a certe cose che passano un po’ inosservate.

E quindi rivela quell’atteggiamento, quell’evento o quel rumore strani, quelle cose che non tornano esattamente e che fanno parte della sfera dell’irrazionale, non perché è paranormale o spirituale, diciamo irrazionale nel senso che passa sotto le soglie della ragione. Noi in tanti anni di cosiddetta evoluzione abbiamo perduto questa capacità, invece i felini ce l’hanno ancora, si chiama fiuto, normalmente. Le capacità investigative sono molto sviluppate in Malù, che ha questa mentalità razionale e analitica però poi c’è quel quid, quel dettaglio che è appunto Mycroft a mettere in luce. Io cerco sempre di non farlo diventare paradossale, estremo, però il suo aiuto è veramente fondamentale nella risoluzione.

Nelle tue storie c’è comunque questa coppia femminile, Watson e Sherlock entrambe donne, non mi pare di ricordarne altre nella letteratura gialla.

Ora che mi ci fai pensare non lo so, chiedo l’aiuto del pubblico perché ci sono lettori anche più solidi di me da questo punto di vista. In realtà loro sono molto unite, non esisterebbe Watson senza Holmes perché il giallo nasce quando nasce la spalla, perché c’è bisogno del confronto costante. Lo dice proprio chiaramente a un certo punto Conan Doyle in un racconto, l’unico racconto narrato in prima persona da Sherlock Holmes, in cui dice: Io ho bisogno della spalla, una spalla che possibilmente non riesca a prevedere i miei passi, perché devo sempre essere un passo avanti a lui per confermare che la direzione sia quella giusta.

Ariel potrebbe essere invidiosa di Malù, delle sue capacità investigative?

Non credo perché è molto bello essere presi in giro, cioè Ariel è quella che racconta e che dice di farsi trascinare anche un po’ controvoglia nelle indagini. Il leitmotiv del romanzo è che lei sta provando a lavorare, dovrebbe fare una traduzione, dovrebbe consegnare entro una certa data e non la fanno lavorare. Non può essere invidiosa perché Ariel in fondo è anche come se fosse una lettrice, poiché è la voce narrante: lei legge e condivide con il lettore quindi anche un po’ il punto di vista, ed è molto bello, almeno per me. Questa è la mia prospettiva di lettrice di gialli: ovviamente sono una lettrice di gialli molto prima di essere un’autrice. Ed essere fregati alla fine del libro è bellissimo, quando dici: no, no, ma me l’aveva detto bene, ma era così chiaro. Ma come ho fatto a non arrivarci?

Volevo chiederti una cosa che è legata alla letteratura contemporanea. Tu sei una scrittrice di gialli classici, godibili, divertenti. Non ti è mai venuta voglia di scrivere una di quelle storie tipo Gomorra, di violenza pura ed estrema, che adesso vanno tanto di moda? Che poi ci fanno una bella serie su Netflix o su Amazon?

No, mi fa impressione. Quando vedo queste serie, tipo anche quelle di spionaggio, penso sempre che io morirei dopo 30 secondi perché, per esempio, se mi dicono: ci vediamo fra tre giorni sul ponte, io penso: fra tre giorni è mercoledì o giovedì? Cioè, da quando devo contare? Io sarei già morta, capito? Quindi, io queste cose ho difficoltà già a seguirle, immaginiamoci a realizzarle. Poi a me quello che piace del giallo non è la violenza insita all’atto criminale, ma è il ragionamento che ne segue.

Hai paura del sangue?

Cioè, per dire, una volta in una presentazione a Salerno dell’ultimo romanzo, L’ultima mano di burraco, la presentatrice mi ha detto: Per la prima volta ho letto un giallo in cui non si vede neanche un cadavere. In effetti in quel caso, quando i protagonisti entrano in questa casa dove è stato commesso il delitto, il corpo se lo sono già portato via, non si vede una goccia di sangue. Non è quello che serve, che mi interessa. A me piace indagare proprio la meccanica del delitto, cioè lo stimolo a ragionare, il rompicapo, il pensare come è avvenuto prima ancora di perché è avvenuto. È questo che mi piace del giallo, tra l’altro se andiamo poi a vedere il punto di vista del riscontro del pubblico i gialli che hanno avuto più successo negli ultimi anni sono quelli di Andrea Camilleri, Marco Malvaldi, Antonio Manzini, parlo degli italiani ovviamente, sono quegli scrittori che hanno come dire presentato il giallo ma con molta ironia, che secondo me tra l’altro è imprescindibile dal giallo. Sono molto ironici autori come la stessa Agatha Christie, è molto ironico Poirot, è molto tagliente la stessa Miss Marple perché dove c’è un’indagine c’è ovviamente l’applicazione di una grande intelligenza e l’ironia è una naturale conseguenza dell’intelligenza.

Quando scrivi un giallo cominci dal delitto? Pensi per prima cosa al delitto e come poi potrà essere risolto, cioè l’enigma, oppure il resto?

La prima cosa che mi viene in mente è come lui viene scoperto. Lui, lei, l’assassino insomma, come viene scoperto, il modo in cui lo beccano, l’errore che fa. Io parto da questo e lo costruisco andando all’indietro, quindi aggiungendo tasselli. Mi metterebbe un’angoscia addosso il fatto di non sapere che succede! Ovviamente questo è il mio modo di procedere, conosco tanti autori che lo scoprono insieme all’investigatore come va a finire, ma io non ci dormirei la notte, io lo devo sapere. Io ho sempre la prima e l’ultima pagina, poi in mezzo costruisco la storia.

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Paolo Restuccia

Scrittore e regista. Cura la regia della trasmissione Il Ruggito del Coniglio su Rai Radio2. Ha pubblicato i romanzi La strategia del tango (Gaffi), Io sono Kurt (Fazi), Il colore del tuo sangue (Arkadia) e Il sorriso di chi ha vinto (Arkadia). Ha insegnato nel corso di Scrittura Generale dell’università La Sapienza Università di Roma e insegna Scrittura e Radio all’Università Pontificia Salesiana. È stato co-fondatore e direttore della rivista Omero. Ha tradotto i manuali Story e Dialoghi di Robert McKee e Guida di Snoopy alla vita dello scrittore di C. Barnaby, M. Schulz.

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