Far ridere con le parole

Le battute ironiche, comiche non vanno mai spiegate, perché a spiegarle perderebbero la loro efficacia e perderebbero il loro senso

Oggi si ride amici, o meglio si ragiona su come far ridere con le parole. Possiamo usare l’ironia, oppure l’umorismo, o la comicità. Ma vediamo di intenderci sul loro significato. Allora, semplificando molto, l’ironia si rivolge a qualcuno o a qualcosa che si vuole attaccare/colpire (una persona, un’istituzione, una convinzione ecc.) Mentre l’umorismo è più “neutro” nelle intenzioni di chi ne fa uso, chi usa l’umorismo vuole divertire senza attaccare nessuno, divertire a prescindere. Entrambi hanno a che fare con il sorriso, mentre la comicità serve a suscitare propriamente il riso. Esiste poi una “comicità involontaria”, quando suscitiamo ilarità senza volerlo perché facciamo qualche svarione, diciamo qualche bestialità, usiamo le parole a sproposito. La comicità di Totò è piena di comicità (apparentemente) involontaria.      

Le battute ironiche, comiche non vanno mai spiegate, perché a spiegarle perderebbero la loro efficacia e perderebbero il loro senso: non prendete mai le distanze dalle vostre battute, magari avvertendo che stavate scherzando. Se non siete sicuri della vostra ironia, fate a meno di usarla. Le battute vanno accompagnate fino in fondo, non vanno mai minimizzate.

C’è poi l’autoironia, che significa fare dell’ironia – diretta o implicita, – su noi stessi: sui nostri difetti, sul nostro aspetto fisico, la nostra pronuncia ecc. È utile per abbassare il livello delle proprie parole, per minimizzare la propria importanza, il proprio ruolo: in inglese esiste una parola precisa: l’understatement. L’autoironia è un efficace strumento di autodifesa, serve a prevenire le critiche altrui e a conquistare la simpatia degli interlocutori. Ma attenzione a non esagerare perché sminuire se stessi può diventare una civetteria.

Facciamo un esempio di umorismo, con una celebre battuta di Woody Allen:

“Quando fui rapito, i miei genitori si diedero subito da fare. Affittarono la mia stanza.”

Esercizio. Scrivete tre battute umoristiche sulla scrittura.

Alla prossima.

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Andrea Carraro

Andrea Carraro, scrittore, nasce a Roma. Se avesse ricevuto un euro ogni volta che sui media hanno usato il termine “il branco” per parlare di uno stupro di gruppo, citando il titolo del suo romanzo più noto, oggi sarebbe ricco. Invece è “solo” uno scrittore tra i più bravi. Romanziere, autore di racconti e di poesie, nasce a Roma nel 1959. Ha pubblicato i romanzi: A denti stretti (Gremese, 1990), Il branco (Theoria, 1994), diventato un film di Marco Risi, L’erba cattiva (Giunti, 1996), La ragione del più forte (Feltrinelli, 1999), Non c’è più tempo (Rizzoli, 2002) (Premio Mondello), Il sorcio (Gaffi, 2007), Come fratelli (Melville, 2013), Sacrificio (Castelvecchi, 2017) e le poesie narrative Questioni private (Marco Saya, 2013). Ha pubblicato anche due raccolte di racconti, confluite nel volume Tutti i racconti (Melville, 2017). I suoi giudizi critici, sensibili ma affilati quando serve, lo rendono un lettore del cui parere fidarsi con tranquillità.

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