Un giorno Elisabetta Innocenti mi ha scritto un whatsapp. Sono diversi anni che la seguo mentre scrive le sue storie, i suoi romanzi, i suoi racconti, le sue poesie, e se c’è una cosa che ho capito di lei è che non lascia niente di intentato per dare valore a ciò che fa. Tanto che ha preso a partecipare ai premi, ai concorsi, agli incontri che possano darle visibilità e mettere alla prova dei lettori i suoi testi, cosa che consiglio a tutti. Per qualcuno sarà anche un bagno di umiltà, magari. Insomma il suo whatsapp suonava più o meno così: “Riassuntino dei premi: domani uscirà la longlist dei 12 finalisti del Premio Neri Pozza a cui ho inviato il romanzo Indiani, l’8 giugno alle 20.00 saranno proclamati i vincitori assoluti delle varie sezioni del Premio Le Colline di Torino (dove sono in finale con la raccolta di racconti. Il 12 giugno vado alla premiazione all’Elba per il romanzo Il fiore dell’assassino che credo sarà pubblicato da Setteponti edizioni della zona di Arezzo, poi aspetterò per un altro premio per delle poesie e per la raccolta per bambini”. Adesso il romanzo Il fiore dell’assassino è stato pubblicato come anticipato dalle edizioni Setteponti, ed è un giallo con protagonista una giovane criminologa, Sara Giannini. Quindi è arrivato il momento di rivolgerle qualche domanda per la nostra tradizionale, ormai, conversazione domenicale. Mi accorgo che detto così suona un po’ clericale, ma si tratta in effetti di un piccolo rito del tutto laico al quale sarebbe brutto rinunciare. E quindi ecco a voi Elisabetta Innocenti.
Nella prefazione del libro, Lia Bronzi descrive la tua scrittura come «tutta toscana, puramente letteraria, per grammatica, sintassi e forma estetica». È stata una precisa ricerca la tua oppure ti è venuto naturale usare così il linguaggio?
Ho cercato di utilizzare un linguaggio realistico senza pensare troppo alla “toscanità”, altrimenti avrei usato termini come: “’un mi piace!”, “ganzo”, ecc. A dire il vero, ho scritto un po’ di getto attribuendo a Sara Giannini una certa spontaneità dovuta anche alla sua personalità – chiedo scusa per la rima – a volte piuttosto maldestra. Certamente quando la criminologa parla con il padre Antonio, emerito commissario di polizia in pensione, non avrebbe mai potuto dire “Papà” ma solo ed esclusivamente “Babbo”!
Nello stesso tempo il tuo romanzo sembra ispirato al classico giallo anglosassone, alla Agatha Christie, ti sembra un genere che ancora possa reggere nei nostri tempi probabilmente più cinici e noir di quelli del primo Novecento?
Può darsi che, senza rendermene conto, mi sia ispirata al classico giallo anglosassone, forse perché insegno lingua e letteratura inglese al liceo e perciò mi è venuto spontaneo. Inoltre, ho scritto la parte centrale del mio romanzo già qualche anno fa, quando mi dedicavo esclusivamente ai racconti per l’infanzia, per cui scriverlo è stata già una sorta di crescita. Quest’anno l’ho ripreso in mano e ho aggiunto la cornice – i primi capitoli e gli ultimi – dove ho inserito anche aspetti più cupi. Sinceramente non so se questo genere può reggere o meno nei confronti di romanzi più cinici; forse potrebbe essere apprezzato da lettori più giovani – non dico solo anagraficamente ma anche come approccio psicologico alla lettura. Comunque sento che la mia scrittura, come immagino quella di qualsiasi altro scrittore, è in via di evoluzione. Soprattutto i miei nuovi racconti sono molto più noir del romanzo. A volte leggendoli, mi spavento da sola!
La tua Sara Giannini è una criminologa, però va a letto indossando il pigiama con le papere gialle che le ha regalato la madre. Come concili umorismo e thriller?
Una volta, a un corso di scrittura, dopo un esercizio sui diversi punti di vista, il maestro mi ha detto senza mezzi termini: “Lo sai vero che sei un cavallo pazzo della letteratura?” Lì per lì mi sono quasi offesa; poi, però, ho riflettuto e ho capito che cosa intendeva. Quello che scrivo non si può incanalare in un genere ben definito. Infatti, se dovessi definire Il fiore dell’assassino, direi che è un romanzo giallo rosa umoristico. Lo so, la definizione può far girar la testa, ma è così. Forse ho scelto questo tipo di scrittura per sdrammatizzare gli eventi tristi della vita e, al tempo stesso, per divertirmi mentre scrivo. Spero di riuscire a strappare un sorriso anche al lettore, ogni tanto; anche se credo che il mio sia una sorta di umorismo pirandelliano. Nasconde qualcosa di più profondo rispetto al comico.
Quindi è anche una storia in rosa, con innamoramenti e gelosie. Ti piace, direi, la commistione dei generi, no?
Sì, oltre alle scene tipiche del genere giallo, fra i protagonisti c’è del tenero. Tutti noi in fondo cerchiamo il vero amore. In effetti, la commistione dei generi non mi dispiace. Anche quando leggo, dopo una scena cupa o triste, sento il bisogno di riprendermi un po’, magari leggendo un dialogo basato sui sentimenti come l’amore appunto, o la gelosia, ma non deve durare troppo… Ok il rosa, ma non il fucsia!
Come ambientazione hai scelto Londra, la Toscana non è abbastanza “criminale”?
Eccome se la Toscana è criminale! Infatti l’ultima parte del romanzo si svolge all’isola d’Elba. Comunque, ho scelto Londra perché è uno dei miei luoghi del cuore – come del resto l’Elba – meta che conosco e che vorrei conoscere sempre di più. Londra mi è sembrata adatta perché combina aspetti architettonici antichi e moderni, cupi e luminosi, in un contrasto che affascina e che ben rappresenta il Bene e il Male, un po’ come in Dr Jekyll e Mr Hyde.
Il ruolo che ha la simbologia dei fiori nella tua storia possiamo leggerlo, ma tu – ci chiediamo – sei attratta dalle suggestioni del simbolismo?
Ad essere attratto dalle suggestioni del simbolismo è soprattutto il killer che inserisce simboli matematici e fiori nella gola delle povere vittime prima di gettarle nel Tamigi. Ho pensato che la ritualità alla base degli omicidi seriali nasconde sempre una motivazione profonda e, quindi, simbolica. Comunque, se ci penso, sì, a volte mi sento attratta dal simbolismo degli elementi naturali, che apprezzo soprattutto nei testi poetici, oppure da quello storico legato alle civiltà passate. L’ultimo romanzo che ho scritto, Lo Spirito della Pianura e che spero di pubblicare presto parla di Indiani d’America. Tutta la loro vita era ed è legata al simbolismo e credo anche la nostra.
Scrivere un giallo con una scrittura lieve, umoristica, dai contorni rosa, è un modo per nascondere la tua personalità di autrice oppure secondo te c’è qualcosa di intimo e profondo che hai inserito tra le righe della narrazione?
Più la seconda che hai detto. Non voglio nascondere la mia personalità. Credo, anzi, che in Sara Giannini ci sia molto di me, non tanto nell’aspetto sentimentale quanto nell’incertezza che prova e che mostra in certe situazioni. Con l’età, comunque, credo di essere migliorata, nel senso che riesco ad accettare le mie debolezze, con autoironia, cercando di trasformarle in punti di forza. La scrittura in questo aiuta, e anche l’insegnamento. Di intimo, fra le righe, c’è la rabbia per le ingiustizie, la ricerca dell’amore con la A maiuscola, la paura della solitudine, la tristezza per le persone che ci hanno lasciato ma anche la gioia nel ricordarle.
Hai pubblicato Il fiore dell’assassino dopo aver vinto un concorso per romanzi, ci racconti come è andata?
Ho partecipato alla IV edizione del Premio “Ascoltando i Silenzi del Mare” dell’Isola d’Elba organizzato da Giovanni Ronzoni nella sezione Romanzo Inedito. Avevo già partecipato alla prima edizione con la poesia “Helba” ottenendo una menzione speciale. Questa volta non mi aspettavo di ottenere il primo posto! Così, ho avuto l’opportunità di pubblicare il mio romanzo con Edizioni Setteponti di Castelfranco di Sopra in provincia di Arezzo e di conoscere Enrico Taddei e Lia Bronzi che hanno apprezzato il mio romanzo e che ringrazio.
A parte la storia che hai scritto tu, come giudichi la presenza quasi costante di donne investigatrici o poliziotti nelle serie contemporanee. È una moda?
Se è una moda, spero che continui. Mi piace che gli investigatori o i poliziotti, ogni tanto, siano al femminile, così noi donne, che sappiamo leggere e scrivere, possiamo immedesimarsi di più in loro, sia che la protagonista sia una commissaria, una poliziotta oppure una criminologa come nel mio caso; se poi hanno dei problemi ci piace ancora di più! Siamo donne. Siamo complicate. Le cose troppo semplici non ci piacciono.
Credi di continuare con altri gialli di questo tipo oppure è stata solo un’evasione da altre forme di scrittura?
In questo periodo sto scrivendo poesie perché toccano le corde più profonde ma non mi fanno troppo stancare, mentre scrivere racconti e romanzi è più faticoso. Per la narrativa, mi sento un po’ come come il vino: sto decantando. Sto riflettendo su cosa vorrei scrivere. Ultimamente mi piace leggere almeno due romanzi in contemporanea. Allo stesso modo, vorrei iniziare due storie diverse: una saga familiare che potrebbe svolgersi sulle montagne pistoiesi – un altro dei miei luoghi del cuore – e in questo caso il linguaggio sarebbe “molto toscano” e un romanzo con toni più noir e cupi de Il fiore dell’assassino, che sicuramente andrebbe più incontro alle esigenze dei lettori contemporanei; anche se, dopo questa intervista, sto pensando che, forse, potrei scriverne il sequel, con lo stile ibrido, fra il gloomy e l’humorous, che lo caratterizza e che mi tiene sveglia mentre scrivo.