Oggi parleremo di caratterizzazione di un personaggio.
Il personaggio prima di tutto va definito fisicamente: biondo o bruno, grasso, magro, ecc.
Poi si definisce per il carattere – buono/cattivo, aggressivo mite…
Per come parla, la parlata ti suggerisce senza equivoci la sua provenienza sociale, culturale… il modo di parlare può incidere molto nella percezione del personaggio presso il lettore, cioè nella sua caratterizzazione.
Per come agisce, e a questo proposito ricordiamo sempre la regola: show, don’t tell!
Ma l’imperativo di mostrare e non spiegare non va preso alla lettera e applicato sempre. Un romanzo che si reggesse solo sul mostrare si rivelerebbe molto più lungo perché per rappresentare servono più parole che per dire. Quindi, come sempre, dobbiamo mediare, addivenire a un compromesso fra l’esigenza del mostrare e quella del raccontare, e il dosaggio lo decide sempre l’autore, attraverso la sua sensibilità, il suo stile, il suo gusto.
Il personaggio si definisce dalla sua storia. Dove, quando è nato? Che traumi ha vissuto? Come passava le giornate quando era piccolo? È sposato, ha figli? Ogni dettaglio può servire a creare spessore, a creargli un background. Anche se grandi personaggi devono la loro riuscita proprio a un’aura di mistero – di non detto, di omesso. Tuttavia, è necessario che l’autore abbia ben presente la storia pregressa del suo personaggio e riesca a condensarla anche solo in un tic o in qualcosa che si ricorda.
Alcuni generi non disdegnano personaggi stereotipati, convenzionali. Basti pensare ad alcune forme teatrali (teatro dell’assurdo, Beckett) o alla narrativa di genere. Ma bisogna comunque dare sempre un qualcosa di univoco che identifichi il personaggio, che non lo renda confondibile con altri personaggi della storia. Buona regola della drammaturgia è che di due personaggi simili, uno vada eliminato.
Ogni buon carattere deve avere uno scopo, un obbiettivo. Deve esserci qualcosa che lo muove, lo fa agire, scegliere…
Il personaggio si definisce nelle interazioni. Noi, come individui, ci definiamo psicologicamente, moralmente tramite continue interazioni con i nostri simili (parenti, amici, conoscenti). Lo stesso avviene per un personaggio. Facciamolo interagire con gli altri. Lo scrittore deve conoscere bene la rete di interazione fra i vari personaggi nel corso della storia, e certe volte gli si chiarisce poco alla volta, per successive approssimazioni.
Le contraddizioni possono arricchire un personaggio altrimenti statico e piatto, ma attenzione alla verosimiglianza (psicologica) e alla coerenza narrativa.
Dai un punto debole – un tallone d’Achille, – al tuo personaggio. Serve a far scattare l’identificazione del lettore, a renderlo più sensibile al suo destino, a tifare per lui… e quindi a prestare attenzione a lui.
Ispirati a qualcuno reale che conosci… Molti autori hanno inventato grandi personaggi partendo da persone realmente esistite. Lavorando poi per aggiunta o sottrazione avendo già un riferimento di partenza. Può avere la sua comodità, e una certa efficacia, anche unire in un unico personaggio caratteristiche di più persone reali e perfino ispirarsi in qualche carattere ai personaggi romanzeschi, cambiandoli di contesto e magari epoca. Non voglio incoraggiarvi al plagio, ma solo farvi riflettere sul fatto che in arte in un certo senso nulla si crea e nulla si distrugge, nel senso che tutti i romanzieri (tutti gli artisti) attingono da un serbatoio comune – di miti, di caratteri, di archetipi, psicologie universali.
Inventare un conflitto interiore è un elemento che ci spinge molto nell’immedesimazione.
Come esercizio vi propongo di rappresentare una scena conviviale in cui si finisce per litigare, ispirandosi a persone reali.
Alla prossima.