Roberta Di Pascasio: “Narro storie e in questo trovo un senso”

Ho voluto capire se ero in grado di raccontare non solo un protagonista maschile, ma il rapporto di due fratelli diversissimi e in conflitto

Roberta Di Pascasio è un’appassionata lettrice e scrittrice. Da lettrice, oltre a curare l’agenzia letteraria “Ponte di carta” ha trovato anche il tempo di realizzare interviste televisive ai suoi scrittori preferiti in una rubrica dal titolo La magia delle storie, che va in onda sulla tv regionale InfoMediaNews di Avezzano, dove vive e lavora. Da scrittrice ha pubblicato diversi romanzi e racconti. Ora torna in libreria con L’equilibrio è un’antica vertigine (Augh! 2021) un romanzo molto intenso sul rapporto tragico tra due fratelli, Filippo e Orlando. Uno si trova in carcere per un omicidio stradale nel quale hanno perso la vita una donna e una bambina, l’altro s’interroga e si macera ripensando a quella notte in cui, ebbri di alcool e droga, i due fratelli hanno rovinato per sempre la loro vita e quella della loro famiglia. Poi sul malinconico panorama dell’esistenza di Orlando compare Sofie, un’anziana ma trascinante vicina di casa. Una donna anticonformista e a suo modo saggia che farà riscoprire a Orlando una parte di vita che pensava sommersa per sempre. Questa mi è parsa una buona occasione per parlare con Roberta, che conosco e seguo da molto tempo.


La domanda più banale per cominciare, perché scegliere un protagonista maschile? Hai avuto qualche difficoltà nell’immedesimazione?

Ho sempre scritto storie con protagoniste donne, una scelta istintiva, non troppo ragionata; donne tormentate, schiacciate da se stesse e dal destino. Stavolta volevo sperimentare una prospettiva diversa scegliendo un uomo, ma dalla penna è venuto fuori comunque tormentato… com’è che si dice “ovunque vai, porti sempre a spasso te stesso”: ecco, credo che, a prescindere dalla differenza di genere e dalla difficoltà di immedesimazione, per me pesi il tipo di storia. Li stanco i miei poveri personaggi, li pungolo, li sfido, cerco di far uscire la loro parte migliore che altrimenti resterebbe celata persino a loro stessi. Forse perché sono convinta che il meglio viene dal peggio, anche nella vita. Penso che possa essere apprezzata di più dopo aver superato l’oscurità. Da questo punto di vista essere uomo o donna cambia poco, contano la caparbietà, i sentimenti, le relazioni umane. Ho voluto mettermi alla prova anche io, capire se ero in grado di raccontare non solo un protagonista maschile, ma il rapporto di due fratelli diversissimi e in conflitto: uno che cerca di far pace con i ricordi e le colpe rimettendo insieme i suoi pezzi per rinascere, e l’altro che rifiuta qualsiasi connessione, sprezzante com’è, prepotente e cinico. Una vera sfida per me che nella realtà ho due fratelli a cui sono legata da un’armonia e un affetto infiniti.

Il protagonista ha deluso le aspettative che c’erano sul suo futuro, questa sembrerebbe una condizione abbastanza comune nel passare all’età adulta. È la condizione di tutti?

Di molti forse, in ogni caso dipende dalle aspettative che si hanno, è un discorso soggettivo. È anche vero che la giovinezza è per antonomasia un’età luminosa piena di speranze, sogni, progetti, di promesse che spesso non mantiene. Credo che il punto sia il modo in cui ognuno di noi affronta la sfasatura tra ciò che ha sognato e ciò che ha ottenuto, e quanto riesce a rimodulare, riassestare, rimpastarsi. Le delusioni e le sconfitte sono un motore potente, dovrebbero spingere a combattere per ciò in cui si crede e che si vuole conquistare, per mettere alla prova la propria forza e i propri ideali. Orlando, il protagonista, è arguto introspettivo appassionato, ma si punisce svilendo la sua parte migliore e riducendo la sua vita a una sequela di atti e propositi inconsistenti. Pensa di proteggersi. Finché capirà che difendersi significa lottare, che la salvezza deriva dall’affrontare il nemico che è dentro di lui.

Il tuo romanzo ha al suo centro, comunque, una grande figura femminile, una donna anziana che affronta la vita in modo del tutto peculiare. È ispirata a qualcuno?

A nessuno in particolare e al tempo stesso a tutte le donne che ho conosciuto, ognuna portatrice di una sua verità e bellezza. Lei rappresenta la libertà e la consapevolezza, l’accoglienza e la comprensione; del passato e delle sue vertigini ne ha fatto un’opportunità per cambiare e costruire una vita a sua immagine e somiglianza che prevedesse soprattutto il rispetto di sé, si è ribellata a un destino che pareva segnato e si è rimpastata come fosse un mosaico che alla fine ha svelato un disegno diverso dall’originale. Ci insegna che non è mai tardi, che è sempre il tempo giusto per evolvere, che il passato è una scelta.  Rappresenta una battaglia briosa e fiera contro i pregiudizi, i luoghi comuni, le caselle sociali in cui il mondo vuole inseriti a ogni costo in modo da renderti riconoscibile e gestibile. Per Orlando può essere una madre una zia una sorella un’amica, può rappresentare tutto ciò che non ha avuto o che non è stato in linea con i suoi bisogni, perché è una donna ribelle e libera che dona e accoglie. Per come vive e per le passioni che la animano, è anche un inno alle storie, un omaggio al potere salvifico dell’immaginazione.

Come spesso succede nelle tue storie, il punto di partenza è un evento drammatico che segna la vita dei personaggi, pensi di avere una visione tragica dell’esistenza?

Tragica direi di no, disincantata forse ma non rassegnata, a volte malinconica eppure ottimista, difficile scegliere una definizione unica. Sicuramente mi piace raccontare il buio, mi sento a mio agio, non sono per le storie edulcorate, sentimentali, comiche, mi stimolano di più le ombre. La luce è già luce, luminosa nitida ottimista, la luce ha già detto tutto, le ombre hanno più sfumature, sono più narrative, lasciano libertà, sono fertili di possibilità e di scelte. Mi piace raccontare quelle vite che a un certo punto si inceppano, proprio come un meccanismo che smette di funzionare. Per poter andare avanti bisogna tornare indietro, affrontare gli ostacoli, abitare i guasti, assimilare le sconfitte. Perdonare se stessi è la parte più difficile. Ma solo così possiamo rinascere. Mi affascina il modo in cui un personaggio prova a deviare il corso della sua vita, tenta di rimettersi in cammino dopo un “incidente”, cambiando direzione e tirando fuori un insospettabile e sorprendente spirito guerriero.

Ogni capitolo è anticipato da un titolo che lo contraddistingue, uno mi ha colpito particolarmente: “La vita è una maestra cinica”.

È una frase un po’ tranciante, ma i titoli per loro natura lo sono spesso, brevi e categorici. Ho sempre pensato alla vita come a una maestra che impartisce lezioni, a volte severa, altre benevola, spesso cinica: insegna e fa capire quando ormai è troppo tardi, quando non si può più tornare indietro e riscriverla come si vorrebbe. Impari a tue spese insomma, non c’è un libretto d’istruzioni che ti protegga dagli errori. Però il suo cinismo non è fine a se stesso, non è crudeltà tout court, è piuttosto un pungolo a migliorare, hai presente le maestre di un tempo che davano bacchettate sulle mani all’alunno per dire “hai sbagliato, prova a rimediare se ci riesci”.

Mentre scrivevi il romanzo, pensavi di raccontare semplicemente una storia o di avere qualcosa da dire al mondo?

Dire qualcosa al mondo è un proposito troppo ambizioso per me che sono sempre piena di dubbi, in tensione costante, non sento mai la pace di un approdo definitivo ma è come se fossi in costante viaggio di ricerca. A un certo punto mi viene voglia di raccontare una storia, la sento dentro, chiede di uscire, però sono lenta e indisciplinata nella scrittura, ci impiego anni per portare a termine un romanzo e quindi, se anche inconsciamente ci fosse un messaggio, forse nel tempo cambierebbe come cambiamo noi e la nostra scrittura. Lo spunto in questo caso è stato assistere a un incidente d’auto, una disattenzione di qualche secondo che distrugge più esistenze, quella delle vittime e quella dei colpevoli, a volte colpevoli per caso, carnefici involontari; volevo capire cosa si prova a macchiarsi di una colpa tanto dolorosa e irrimediabile e da lì partire per una rielaborazione della propria vita. Tornare indietro per ricominciare di nuovo. Perdonare e perdonarsi, quanto è difficile? Ma non credo di avere la superbia e la compiutezza di poter dire qualcosa al mondo, di poter insegnare o comunicare verità. Narro storie e in questo trovo un senso, se fine a se stesso o utile a qualcuno non saprei dire. Però se un lettore si emoziona o trova qualcosa di sé tra le pagine o riflette grazie alle mie parole, be’, questo diventa motivo di grande felicità!

Hai ormai scritto quattro romanzi, scrivere l’ultimo è stato più facile?

Magari! L’ultimo è sempre il più difficile, forse perché le aspettative crescono di libro in libro, così come le speranze di scrivere meglio; ogni volta pensi che forse sarai più bravo, più consapevole, più illuminato e così l’autocritica è più feroce. Soddisfare se stessi è un’impresa complicata. Raccontare per me non è mai stato semplice, è un impegno gravoso, un bisogno con cui fare i conti, anche se mi colma e illumina. Anche questa volta, quando ho dato l’ok per la stampa all’editore, sono stata assalita da mille dubbi: potevo scriverlo meglio? Potevo cambiare scene, modificare i personaggi, montare la storia in modo differente? Non ne esco mai da questo logorio. Ma credo sia salutare, protegge da una sicurezza statica, da un compiacimento privo di tensione a crescere.

Scrivere è un modo per aiutarsi a vivere oppure ti complica l’esistenza?

Mi aiuta a capire meglio me stessa e gli altri, è come se solo scrivendo riuscissi a definire pensieri ed emozioni, parlo dello scrivere in generale, non solo del narrare. Ho foglietti, quaderni, agendine sparse ovunque, appunto tutto quello che mi viene in mente, anche quando vado in giro mi concentro su dettagli, scene, dialoghi, ne traggo sempre uno spunto, rifletto usando la penna. Brevi racconti oppure appunti solo per me, non importa, mi piace fissare su carta le impressioni fugaci, le idee improvvise, le sensazioni del momento, lo faccio per non dimenticare e non dimenticarmi, per coltivare la memoria come fosse una pianta.

Al tempo stesso scrivere mi aiuta a difendermi da un “eccesso di realtà”, è una sorta di oasi protetta, di mondo parallelo in cui essere libera. Ogni tanto sento il bisogno di una pausa da tutto e allora mi chiudo nel mio studio e scrivo storie. Dimentico ogni cosa. Una sorta di antidolorifico naturale.

Conduci laboratori di scrittura, come vedi gli aspiranti autori di oggi?

In generale, al di là dei nostri laboratori, trovo che siano poco inclini all’autocritica, ad accettare consigli o correzioni, la voglia di farsi leggere e conoscere porta a ignorare il dovere di una “gavetta” necessaria e costruttiva, lo studio, l’esercizio. Un po’ in tutti i campi noto una smania, un bisogno ossessivo di essere al centro dell’attenzione, notati e ammirati. La fretta è nemica dell’arte, ed è pericoloso affidare tutto al riconoscimento degli altri. Se non si ottiene o se a un certo punto viene a mancare, ci si sente perduti, inconsistenti. Nei miei laboratori sono stata fortunata, ho conosciuto ragazzi appassionati, con tanta voglia di imparare e condividere, mi hanno regalato molto in termini di calore, entusiasmo, autenticità. I nostri laboratori di scrittura o di teatro o gli incontri sulla letteratura sono spazi liberi in cui esprimersi e creare, una vera officina letteraria, una sorta di comune in cui si sta insieme e in cui ognuno racconta ciò che vuole senza necessariamente finalità o ambizioni, solo passione e curiosità. In quest’anno sospeso è ciò che mi è mancato più di tutto.

Ti conosco anche come un’impegnata organizzatrice culturale, come stanno andando le cose in questo periodo terribile?

È vero, è un periodo terribile in cui la cultura paga un prezzo altissimo. Tutte le nostre attività, presentazioni eventi laboratori, sono stati sospesi, così come la rubrica letteraria che conduco in tv. In fondo chi ama l’arte e si occupa di cultura è abituato a non dare niente per scontato, a faticare, a lavorare il doppio per difendere ciò in cui crede e che lo appassiona. Ma riprenderemo presto, tutti. E apprezzeremo ogni cosa di più. Sedendoci in una poltrona a teatro o al cinema, ascoltando un concerto, seguendo la presentazione di un libro, ci sentiremo ancora più felici, più umani e più vivi di prima.

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Paolo Restuccia

Scrittore e regista. Cura la regia della trasmissione Il Ruggito del Coniglio su Rai Radio2. Ha pubblicato i romanzi La strategia del tango (Gaffi), Io sono Kurt (Fazi), Il colore del tuo sangue (Arkadia) e Il sorriso di chi ha vinto (Arkadia). Ha insegnato nel corso di Scrittura Generale dell’università La Sapienza Università di Roma e insegna Scrittura e Radio all’Università Pontificia Salesiana. È stato co-fondatore e direttore della rivista Omero. Ha tradotto i manuali Story e Dialoghi di Robert McKee e Guida di Snoopy alla vita dello scrittore di C. Barnaby, M. Schulz.

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