Quando l’ho conosciuto, Alberto Büchi girava con un cane bellissimo e un romanzo “gotico” che doveva pubblicare ma che nessuno degli editori nazionali sembrava volere. Era troppo poco “italiano” (come se fossimo stati nella serie televisiva Boris) tanto che nemmeno gli rispondevano. Büchi allora lo fece tradurre in inglese e lo mandò agli editori statunitensi (mi pare di ricordare che in questa decisione un po’ folle anch’io ebbi un ruolo di suggeritore: Manda, manda, manda in America e vediamo), gli risposero tutti, uno si scusò per averlo fatto in ritardo e uno lo pubblicò. Da quel momento in poi ha cominciato a entrare in libreria pure in Italia con dei romanzi di genere diverso, sempre però improntati a una visione originale ma potente della realtà. Alberto Büchi ha ormai un seguito affezionato ed è da poco uscito il suo ultimo lavoro, L’Angelo trafitto (Nero Press) così è arrivata per me l’occasione di farci due chiacchiere.
Mi sembra che stavolta hai scritto un puro horror, sei d’accordo?
Sì, L’Angelo Trafitto è un horror, anche se il personaggio dell’ispettore può avere qualcosa del noir. È uno spirito inquieto e incontrollabile, un eroe negativo che sfrutta il momento più cupo e difficile della propria vita per redimersi e affrontare il proprio passato per superarlo. In ogni caso, horror e noir a parte, mi viene in mente che a volte ho la sensazione che la differenza tra horror e thriller risieda fondamentalmente nella descrizione di certe scene. Se c’è un assassino che insegue una ragazza, la cattura e poi la uccide, nel thriller la descrizione dell’omicidio o della violenza non scende troppo nei particolari, mentre nell’horror il sangue scorre abbondante e magari il lettore scopre il colore di qualche organo che non sapeva nemmeno di avere. Per assurdo, nelle mani di un editor qualche horror potrebbe benissimo diventare un thriller o un noir, o un hard-boiled. Il confine tra generi è qualcosa di molto sottile e le tecniche per creare tensione o suspense sono le stesse. Poi ovviamente se nella storia ci sono elementi sovrannaturali la tendenza è quella di considerarlo horror. Ripenso però a Dracula. Non è, in fondo, una storia d’amore? Ghostbusters, non è una commedia?
Una cosa è interessante. Si tratta di un libro che si trovava nel cassetto e che ho tirato fuori tempo fa e riproposto. Il primissimo che ho scritto. Metterci mano per l’editing mi ha dato una sensazione molto strana. È stato come se stessi lavorando sul libro di un altro. Oggi scrivo in modo diverso. Lo stile è davvero qualcosa che cambia con te, che si insegue per tutta la vita.
Sei un autore di storie che fanno paura, cos’è che ti ha spinto nella direzione dei romanzi di questo genere, quando hai cominciato a scrivere?
Non lo so. Me lo chiedo spesso e me lo chiedono spesso. I motivi possono essere tanti. Il divertimento è uno di questi. Scrivere storie paurose è divertente, almeno io lo trovo tale. Poi da ragazzino ero un fanatico di Dylan Dog e quindi credo che questo mi abbia naturalmente indirizzato verso il genere (che in ogni caso non reputo veramente il mio). Da adolescenti, e anche dopo, si ha spesso una rabbia interiore che in un modo o nellìaltro deve trovare uno sfogo. Quindi, lo sfogo potrebbe essere un’altra ragione. Poi, al liceo ho passato un periodo in cui la parapsicologia era diventata un’ossessione. Ho dovuto smettere perché ero arrivato ad auto-suggestionarmi troppo.
Scrivere storie paurose esorcizza la paura?
Direi proprio di sì. Avrei potuto scriverlo nella riposta qui sopra, ma la scrittura è terapeutica. La terapia sta nel concretizzare paure e ansie, e così facendo vederle dall’esterno per ridimensionarle. Pensiamo a un fantasma. Una presenza che percepiamo ma non sempre vediamo. È lì, viene da lontano, dal passato, viene dal buio e ci soffoca. Già con queste poche parole a me viene in mente l’ansia, un attacco di panico. Se poi il fantasma è relegato a una casa, beh può diventare simbolo di molti traumi legati alla famiglia. Ma il concetto stesso di mostro implacabile, che non si ferma mai, che è sempre alle tue spalle (quando non si trova addirittura sopra le spalle, come un bambino che si aggrappa alla tua testa), che ti respira addosso non è altro che la proiezione di una qualunque delle nostre paure interiori.
C’è in alcuni romanzi contemporanei il ritorno dell’Angelo caduto, il demonio. Secondo te c’è un motivo?
Il diavolo è sempre più interessante dell’angelo o addirittura di Dio. Nelle storie meglio riuscite ci sono quasi sempre dei cattivi affascinanti. E il Diavolo, Lucifero, forse, è la somma di tutti i cattivi. L’essere umano riesce a identificarsi o ritrovarsi di più nel male che nel bene.
Per quanto mi riguarda, scrissi L’Angelo Trafitto nel 2005. Ero rimasto molto impressionato da alcuni episodi di inizio anni 2000. Per esempio, le vicende delle Bestie di Satana nel varesotto oppure le due ragazzine che uccisero la suora a Chiavenna. Da lì mi sono inventato un Vangelo apocrifo, mi sono documentato sull’azione delle sette di ogni tipo e tutto il resto.
Chi sono i tuoi autori di riferimento? Sono cambiati dall’adolescenza a oggi?
I miei autori di riferimento, in generale, non sono autori horror. Penso a Cormac McCarthy o Philip Roth. Parlando di questo genere, invece, visto che ho citato Dylan Dog, potrei dire Sclavi. E poi uno dei libri più belli che abbia letto fin qui: L’Esorcista di William Peter Blatty. Non è solo, e ormai, un classico dell’horror, ma è proprio un gran libro. E un gran film. L’Entità di Frank DeFelitta è un altro libro molto interessante.
Tu hai pubblicato prima in America e poi in Italia, il tuo genere è incompreso da noi?
In Italia c’è la tendenza ad apprezzare la letteratura di genere soprattutto quando viene dall’estero. Non dico nulla di nuovo o di originale. Lo stesso per il cinema. Ho fatto l’accademia di cinema all’estero e, in effetti, è proprio una questione legata al tipo di storia, che qui da noi è snobbata. L’epoca di Dario Argento, Lucio Fulci e altri, è passata da un pezzo. Tra l’altro, chi scrive letteratura di genere (vabbè diciamo solo horror) in Italia viene come etichettato.
Non hai mai la voglia di scrivere un romanzo diverso, che ne so?, una serena saga famigliare?
Certo! Come dicevo prima, non mi ritrovo totalmente in questo genere per quanto mi piaccia, mi diverta e mi riesca facile. Ho pubblicato finora questi libri forse perché il primo, quello americano, raccontava una storia piuttosto cupa. E, di conseguenza, la successiva pubblicazione in Italia è avvenuta attraverso quella porta.
Ho già scritto un paio di romanzi di altro genere. Vedremo.
Secondo te, un romanzo come quelli che scrivi tu vincerai mai il premio Strega o farà vincere al suo autore il Nobel?
No, non credo. Ma vuoi davvero che parli male del Premio Strega? Li leggo quasi tutti. Ho amato Le otto montagne di Cognetti. Del Nobel… cosa ti devo dire… magari un giorno sì. Più che un autore horror ci vedrei bene un autore non di genere che ha scritto anche horror. Mi piacerebbe essere smentito in entrambi i casi.
Pensi che altri media, come per esempio il cinema, siano più adatti per le storie horror?
No. Stephen King ne è la dimostrazione. C’è di meglio, comunque. Però dovremmo riprendere il discorso dell’Italia e dell’estero. E dovremmo anche parlare della diversa “fruibilità” del mezzo. È raro trovare libri che si possano leggere in un’ora e mezza, durata di un film medio.
In questo romanzo c’è un vecchio con un cane, che ruolo hanno gli animali nelle tue storie?
Mi fa sorridere la tua domanda perché sai bene quanto ami i cani. E so bene quanto li ami tu. Gli animali tutti sono un dono per l’essere umano. Il cane in particolare è qualcosa che ci completa, ci arricchisce e rende migliori. Ho dedicato un libro a un mio cane (il significato della dedica era più ampio, comunque) e ringrazio sempre tutti i cani che hanno fatto parte della mia vita alla fine di ogni mio libro.
Gli animali sono la parte bella del mondo. I cani sono la parte bella dell’uomo.
Ho fatto in passato degli errori nelle mie storie. Far morire un animale è una cosa molto delicata, va ponderata. Tocca la sensibilità del lettore molto più della morte di un essere umano. Se vuoi proprio far stare male un lettore devi far morire un animale. Se vuoi farlo piangere in senso positivo devi far sì che un animale salvi la vita del protagonista.