“La gente come noi non ha paura” di Shani Boianjiu (Rizzoli)

All'inizio della loro vita adulta tre ragazze soldato israeliane alle prese con i traumi dell'anima e la paura del pericolo

Un libro uscito nel 2013 e che, ancora oggi, dev’essere letto perché nessuno ha mai scritto come lei di quello che succede alle ragazze in Israele durante il servizio militare. La scrittrice l’ha scritto in inglese, durante un soggiorno americano, per prendere le distanze dagli eventi, e dare maggiore respiro internazionale alla sua storia.

Yael. Avishag. Lea. Tre amiche, compagne di scuola in un avamposto israeliano alla fine della scuola e dell’adolescenza, prima di partire per il servizio militare obbligatorio.

Hanno la mente confusa e lo stupore di chi inizia un percorso potenzialmente pericoloso, le invidie e la solitudine di ragazzine unite dal legame feroce che dà sempre l’essere cresciute insieme e voler essere amate, popolari e belle.

Lea è la bella, la leader del mini gruppo, quella che è mezza tedesca e mezza marocchina, anche se non si vede, quella abituata ad avere attenzione e ammirazione per il suo essere riservata, il seno grande e i capelli ramati.

Yael ha un ragazzo ma lo tradisce mentalmente con Dan, il fratello di Avishag dagli occhi verdi come il colore delle foglie e chiuso nel mutismo da quando ha finito il servizio militare.

Dan poi di lì a poco si suicida lanciandosi dalla torre e innesca un meccanismo di paura nella sorella, Avisghag, che comincia a lasciare bigliettini anonimi ovunque.

Per quanto vicine ognuna di loro ha segreti che non può condividere con le altre, un universo parallelo in cui cercare di conservare abbastanza forza per non crollare sotto il peso dei compiti e degli ordini che gli pioveranno addosso come pioggia, e loro non potranno scegliere.

Verranno disperse, come briciole, vedranno cose crudeli, come l’uccisione di un soldato israeliano al check point, vedranno ufficiali corrotti che chiudono occhi e bocca sul traffico di esseri umani, sogneranno da sveglie le storie di persone vere/non vere, puntini sui monitor, per superare la noia.

Vedranno ragazzini arabi bellissimi e sfiniti con i sassi in mano pronti a colpire, faranno sesso per trovare calore umano o semplicemente per sfuggire alla noia. Sentiranno di essere soldati, prima di essere persone.

Avisghag abortisce e dopo ha un crollo nervoso che la spinge a spogliarsi a una torre di controllo al confine con l’Egitto, Lea firma da ufficiale, Yael, dopo la fine del servizio militare trova un impiego in aeroporto che consiste nel soppesare con lo sguardo chi ha l’aria di essere un possibile attentatore.

All’inizio della loro vita adulta le troviamo alle prese con i traumi dell’anima che hanno intaccato zone tenere e di fiducia tale da danneggiarle in modo irreversibile. Lea si avvia a una deriva paranoica quando fa prigioniero un ragazzo arabo che le ricorda l’attentatore che ha quasi ucciso il soldato che era con lei al check point, e solo un lavoro umile e manuale come fare i panini le dà un ancoraggio alla realtà. Avishag rivede il padre dopo molti anni, spinta dalla madre che cerca di evitare che cada in una spirale depressiva, Yael ritorna in Israele dopo aver passato alcuni anni in cerca di risposte in un vorticoso giro attorno al mondo, in varie località spirituali ed esotiche.

Le loro vite conservano sempre il segno del loro disagio esistenziale, il fondo di solitudine acre e leggermente lacrimoso, di quando ti si forma un groppo in gola per tutta la felicità che non hai saputo apprezzare, e per la mancanza che sai sarà la tua compagna principale.

Non giudicate, dice il marito di Lea quando la incontra, prima di sposarla, convinto che la salvezza umida e piccola cominci dal cibo, preparare panini anche con ingredienti difficili da trovare per dare un attimo di gioia alle persone.

Una cosa piccola ma buona. Non giudicare ma provare a vivere. Con quello che abbiamo.

Ho guardato la paura di Hagar, i suoi occhi chiusi. Ho visto una ragazza che aveva paura per la prima volta in vita sua, e forse solo un po’, e forse per l’ultima volta.

Ho respirato la polvere da sparo che ricopriva le nostre dita e le foglie degli alberi di cedro della base. E ho capito che ci sono persone che vivono per la battaglia; per gli attimi che precedono la vittoria o la sconfitta. Persone a cui questo mondo non basta; vogliono acqua ghiacciata nelle vene, la bellezza a qualunque costo, vogliono uscire dai fossati sotto gli spari, far esplodere collane di granate. Persone affascinanti per cui la tortura non esiste nemmeno nella fantasia. E ho guardato tutti quegli uomini sulla sabbia. Ognuno di loro aveva le spalle molto più larghe delle mie, spalle che non sarebbero servite a niente nel futuro che li aspettava. E poi ho capito: quelle persone affascinanti…non ero mai stata uno di loro.

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Marilena Votta

Marilena Votta nasce a Napoli e trascorre la sua infanzia e adolescenza in un luogo fatto di sole accecante e ombre altrettanto tenaci. Ha pubblicato le raccolte di racconti Equilibri sospesi, La ragazza di miele e altre storie (Progetto Cultura, 2016) e Diastema (Ensemble, 2020), e la raccolta di poesie Estate (Progetto Cultura, 2019). Il suo racconto “Fratello maggiore fratello minore” è stato pubblicato nell’antologia “Roma-Tuscolana”. Alcuni suoi racconti sono disponibili su varie riviste on line e cartacee. Nell’ottobre 2021 pubblica il suo primo romanzo, Stati di desiderio, con D editore. Del suo rapporto con la scrittura asserisce, convinta, che è il suo posto nel mondo. Scrive recensioni di libri che ama per "Dentro la lampada", la rivista della scuola Genius.

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