“Pagine bizzarre” di Urmuz (Salerno)

Si vergognava di queste storielle, ironiche, erotiche, crude, dai molteplici piani narrativi, scritte per divertire i suoi fratellini

Conosco un autore italiano che colleziona tutti i suoi articoli, gli articoli che parlano di lui, i suoi quaderni dove annota in continuazione tutto ciò che sente e vede, digitalizza qualsiasi bozza dei suoi scritti. Ho sempre pensato che è sbagliato farlo, non solo perché si pecca di egocentrismo, ma perché così facendo si uccide ogni mistero per i lettori o i biografi del futuro. 

Urmuz, pseudonimo di Dumitru Demetrescu-Buzau, è stato un autore romeno che si è suicidato a 40 anni, in un giardino, di notte, con un colpo di pistola alla tempia. Non si sa il perché. Su di lui sono stati ritrovati, sparsi, dei fogli scritti. Il baule dove teneva i suoi scritti, le sinfonie che componeva, i suoi disegni, è andato perduto. Lo stesso è successo inizialmente al quaderno rosso contenente le mille versioni di Pagine Bizzarre, la sua opera ridotta (pubblicata in italiano nel 1999 da Salerno Editrice): si dice che avesse la stessa ossessione di Flaubert per la giusta parola, lo stesso modo di scrivere e di riscrivere all’infinito, mandava delle lettere (siamo nel 1922) all’editore a notte fonda per chiedere se poteva mettere o meno una virgola  dopo ”che”, corrompeva i tipografi per cambiare frasi e parole. Così come  il quaderno rosso è stato smarrito e poi ritrovato per caso (serendipity) dopo anni negli archivi della Biblioteca dell’Accademia Romena, in una cartella, con un nome sbagliato,  così anche lui viene dimenticato e poi riscoperto da tutte le future generazioni di scrittori. Influenzò Tristan Tzara, il creatore del dadaismo, e soprattutto Eugène Ionescu. Fu influenzato, a sua volta, fra altri, da Tommaso Marinetti. 

Con Pagine Bizzarre è riuscito a plasmare un mondo, futuristico, lo chiamerebbe lui, ma io lo definirei piuttosto interiore, da lettore mi ritrovo sia in una grotta (ma io sono nella grotta e allo stesso tempo la grotta è dentro di me) che in un mondo alieno, astrale. È un mondo popolato da oggetti e animali, una sorta di bazar, è abitato da personaggi strani, sempre in coppia, metà uomini, metà macchine:

Un appartamento ben aerato, composto di tre vani principali, più una terrazza a vetri munita di campanello. Davanti, il salone sontuoso, la cui parete di fondo è interamente occupata da da una biblioteca in quercia massiccia, sempre strettamente avvolta in lenzuola fradice… In mezzo, basato su calcoli e probabilità, un tavolo senza gambe sorregge un vaso che contiene l’essenza eterna della cosa in sé, uno spicchio d’aglio, una statuetta raffigurante un pope (di Transilvania) che tiene in mano una sintassi e… 20 soldi di mancia… Il resto non presenta alcuna importanza.

I suoi personaggi sono allo stesso tempo, i primi uomini di un altro mondo, archetipi di un futuro alternativo,  ma anche caricature di persone realmente esistite:

Fuchs non fu concepito propriamente da sua madre… Al principio, quando prese forma, non fu nemmeno visto, ma soltanto udito, perché Fuchs, nascendo, preferì uscire da un orecchio di sua nonna, poiché la madre non aveva affatto orecchio musicale.

Cotadi è corto e panciuto, ha la muscolatura prominente, le gambe arcuate due volte in fuori e una in dentro ed è perennemente non rasato.

Algazy è un vegliardo simpatico, sdentato e sorridente, ha anche una barba curata e setacea, bellamente disposta su una gratella avvitata sotto il mento e ricinta di filo spinato…

Ismaïl risulta così composto: occhi, fedine e veste… Ismaïl non va mai in giro da solo. Ma lo si può trovare verso le cinque e mezza del mattino, nel suo zigzagante vagabondaggio per via Arionoaia, in compagnia di un tasso, a cui è strettamente legato da un canapo e che egli, durante la notte, si mangia crudo bell’e vivo, non prima però di avergli strappato le orecchie e spremuto sopra un po’ di limone. 

Urmuz era un giudice di provincia, e alla morte del padre autoritario che disprezzava le arti, pur di vivere nella capitale, accettò di fare il Cancelliere presso l’Alta Corte di Cassazione. Si vergognava di queste storielle, ironiche, erotiche, crude, dai molteplici piani narrativi, scritte per divertire i suoi fratellini. Le raccontava oralmente nei circoli letterari di Bucarest, e così, anni dopo la sua morte, un suo amico che ebbe fortuna con due pièces théatrales, fu accusato di avergli rubato le storie. Ma oramai lui non c’era più per confermarlo.

Qualche contestatore ha accusato i suoi racconti di essere illogici. La sua forza narrativa secondo me s’intuisce nell’unico racconto “normale”:

In principio  – dissero tutt’insieme i commensali  – non è vero che :  < Il Verbo era presso Dio e che Dio era il Verbo. > In principio – essi affermarono con forza – molto prima di un verbo qualsiasi, fu < l’alfabeto sordo-muto>, poiché non è probabile che la materia cosmica, gli astri, sin dal principio, fossero capaci di proferir alcunché; anzi, è molto probabile che essi, dall’inizio, non fossero in grado né di esprimersi né tanto meno di dire <papà> o <mamma>(…)

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Ruxandra Dragoescu

Ruxandra Dragoescu è nata in Romania. Si è laureata in scienze politiche a Bucarest e in letterature comparate a Napoli, dove vive da quasi venti anni. Ha lavorato come traduttrice e come interprete e ha fatto la giornalista per un giornale della diaspora romena. Ha partecipato a vari concorsi letterari, è stata pubblicata insieme ad altri. Alcuni esempi: in lingua francese, Premio Universitario di Narrativa in lingua francese dell’Università di Napoli L’Orientale, Napoli racconta, 2014, in lingua romena: Carti, Filme, Muzici si altre distractii in comunism, Ed. Polirom, 2014, Revista de povestiri, 2013, Nr. 13, Povestile de la Bojdeuca, Editura Muzeelor Literare, 2014,  in italiano:  Lingua Madre 2012, Racconti di donne straniere in Italia, Edizioni Seb 27, Frammenti di Filosofia contemporanea vol. V, Lumina Mentis editore, 2015, Ritorno a casa, Ciesse Edizioni, 2013. Dice del suo rapporto con la scrittura: "Scrivo per mia nonna. Faceva la giornalista per il giornale più importante del paese e scriveva sempre e ovunque, nei diari, sui fogli, sul frigorifero. Lei diceva che per me scrivere era predestinato, e dava come prova il tradizionale 'taglio del ciuffo', la festa dei miei 4 anni. Si tratta di una festa durante la quale al bambino si taglia il suo primo ciuffo e gli si mette davanti un vassoio d’argento (o di plastica, piuttosto, durante il periodo comunista), pieno di oggetti luccicanti e scintillanti, di meraviglie e di tesori che lui non ha mai visto o toccato prima: macchinine, giocattoli, oro, soldi, profumi, ecc. e ogni oggetto simboleggia qualcosa. Cosa mi sarà passato per la testa quando mi sono sentita attratta da una penna stilografica nera e semplice, scegliendola per prima?

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