Il grande Olmo

Il vecchio appoggiato ad un bastone, trascinava i piedi senza sollevarli da terra, mentre il cane trascinava le quattro zampe oscillando la testa.

Eccoli arrivare lui e il suo cane. Una vita insieme e tutti e due vecchi e simili come due gocce d’acqua. Avanzavano per il vialetto dei giardini pubblici con un’andatura sbilenca. Il vecchio appoggiato ad un bastone, trascinava i piedi senza sollevarli da terra, mentre il cane trascinava le quattro zampe oscillando la testa. Si arrestarono presso una panchina all’ombra di un grande Olmo, il vecchio spolverò il sedile con un fazzoletto che sfilò dalla tasca della giacca, prima si guardò intorno e poi si mise seduto, il cane lo imitò accucciandosi ai suoi piedi. L’uomo con le spalle curve e due occhi chiari, si alzò il bavero della giacca e con un’espressione assente, si trattenne a fissare il vuoto davanti a sé, e più fissava e più quel vuoto sembrava dilatarsi, crescere, inghiottirlo… Il vecchio con un brivido di vita si ridestò, si chinò, accarezzò il cane sul muso e rialzandosi tirò fuori da una tasca una busta di carta, ci infilò dentro la mano, prese una manciata di semi di grano e li lanciò nell’aria, il tempo di toccare terra che una banda di colombi planò dal cielo. E più semi lanciava e più colombi spuntavano da tutte le parti che, ammassati uno sopra l’altro sbattendo le ali, beccavano il cibo con colpi secchi e voraci, l’aria si riempì di polvere e di un fetore agro di escrementi. Ai piedi del vecchio i colombi zampettavano impazziti sotto quella pioggia di grano, si sfamavano emettendo versi di soddisfazione.

Il vecchio svuotò il contenuto del sacchetto, tentennò solo un momento poi afferrò il bastone e con un luccichio cattivo negli occhi, lo sollevò e iniziò a colpire selvaggiamente nel mucchio, i piccioni spaventati si alzarono in volo con un battere di ali disordinato, lasciando nel suolo, penne, guano e una decina di compagni feriti, tra cui una tortorella dal collarino grigio.

Il cane spuntò da sotto la panchina, afferrò tra i denti la tortorella se la mise tra le zampe e iniziando dalla testa cominciò a masticarla tra spruzzi di sangue e uno sbavare di penne. Una risata gorgogliò dalla gola del vecchio, e mentre se la rideva di gusto, attese che il cane finisse di mangiare, si alzò dalla panchina e tutti e due, trascinando i piedi e le zampe sparirono verso l’uscita.

Il sole stava tramontando, i lampioni si accesero illuminando ogni angolo dei giardini a quell’ora ormai deserti, una combriccola di gatti randagi, attratti dall’odore del sangue, si avvicinarono guardinghi ai cadaveri dei colombi, li annusarono, li afferrarono tra i denti e con la coda dritta sparirono nei cespugli tra le ombre della sera. Nel cielo passò una nuvola e una pioggerella sottile e battente fece il resto, ripulì quell’angolo di giardino dagli escrementi e dal sangue.

Per tutta la notte, dal grande Olmo si sentì un richiamo straziante, roco e ripetuto.

Il giorno dopo, nella tenue luce dell’alba, il giardino si risvegliò con un cinguettio di uccelli e con il tubare roco dei colombi, ma quando videro da lontano, il vecchio e il cane oltrepassare i cancelli, scivolò un silenzio irreale, tutti gli uccelli tacquero e con un fruscio di ali volarono via, rimasero solo i piccioni acquattati tra i rami del grande albero. Il vecchio spolverò il sedile della panchina sotto il grande Olmo e si mise seduto, il cane lo imitò accucciandosi ai suoi piedi. L’uomo si perse, il vuoto davanti a sé lo sorprese e se lo inghiottì, il vecchio si scosse per un soffio di vento che gli gelò le ossa, rabbrividì, si alzò il bavero della giacca, il rombo di un tuono arrivò da lontano e una leggera pioggia cominciò a cadere, il cane si rifugiò sotto la panchina mentre il vecchio incurante dell’acqua, come consuetudine tirò fuori dalla tasca della giacca una busta, ci infilò dentro la mano e ne tirò fuori un pugno di semi di grano che lanciò nell’aria, i semi rimbalzando toccarono terra, ma non accadde nulla, il vecchio ne lanciò un’altro pugno e con un sorriso maligno li vide arrivare, pochi, i più affamati, che sfidando l’acqua si lanciarono sul grano beccando con colpi secchi e voraci, la pioggia gli inzuppò rendendoli goffi e lenti… il vecchio ne approfittò, sollevò il bastone e cominciò a colpirli ad uno ad uno, i colombi stramazzarono al suolo come birilli. Il cane uscì da sotto la panchina afferrò tra i denti un colombo e iniziando dalla testa cominciò a masticarlo tra spruzzi di sangue e uno sbavare di penne. Il vecchio guardò il cielo grigio di nuvole, la pioggia sarebbe peggiorata, si alzò con un balzo, ma le gambe fiacche lo tradirono; scivolò tra le pozzanghere, il fango e gli uccelli morti… fece fatica a rialzarsi, ma una volta in piedi agguantò il bastone e zoppicando si trascinò, con il cane verso l’uscita dei giardini pubblici.

Il sole tramontò che non aveva smesso di piovere, i lampioni si accesero illuminando ogni angolo e in quella notte piovosa neanche un gatto solitario si fece vedere.

Per tutta la notte, dal grande Olmo si sentì un richiamo straziante, roco e ripetuto.

Il giorno dopo, nella tenue luce dell’alba, il giardino si risvegliò con venticello leggero che trasportava via le prime foglie, l’aria profumava d’autunno, di pini e di erba bagnata. Eccoli arrivare lui e il suo cane. Il vecchio indossava un impermeabile e un cappello di feltro in testa, zoppicava appoggiando parte del peso sul bastone, mentre il cane trascinava le zampe dondolando la testa. Il vecchio asciugò il sedile della panchina sotto il grande Olmo e con una smorfia di dolore si mise seduto, il cane lo imitò accucciandosi ai suoi piedi. L’uomo si perse, il vuoto lo aggredì e se lo inghiottì… il vecchio con fatica si scosse, riprese vita, si chinò, accarezzò il cane sul muso e rialzandosi tirò fuori da una tasca una busta, la aprì ci infilò la mano e percepì un fruscio tra i rami del grande Olmo, lanciò nell’aria una manciata di semi di grano, appena toccarono terra i colombi arrivarono da tutte le parti zampettando, beccando con gusto quei semi dorati… al vecchio scappò un urlo malvagio e fu un attimo; il cane allarmato da quel grido reagì veloce, si lanciò rabbioso nel mucchio, ringhiando e mordendo, i colombi prima si alzarono in volo, poi tornarono determinati e feroci scagliandosi sul cane, beccando, strappando, ferendo; il vecchio si alzò barcollando, afferrò il bastone e colpì i colombi che si dispersero da tutte le parti lasciando il cane riverso in una pozza di sangue. Il vecchio si chinò, si sfilò l’impermeabile e avvolse con cura il suo cane, lo prese in braccio e trascinandosi verso l’uscita se lo portò a casa.

Mentre il sole tramontava, all’interno di una stanza debolmente illuminata il vecchio se ne stava seduto sul letto vicino al suo cane, l’aveva pulito, medicato, accarezzato… ma guardandolo negli occhi ne vide la fine.

Arrivò l’alba e scivolò veloce verso il tramonto.

L’ora dell’attesa finì e nella notte si udì l’eco di un urlo doloroso, orribile e ripetuto.

Il giorno dopo, nella pallida luce dell’alba, il giardino si risvegliò un tantino più spoglio, dal grande Olmo già cadevano le prime foglie ricoprendone il terreno e tutto quello che si trovava sotto, da qualche parte nei giardini, arrivava il canto mattutino dell’allodola. Mentre i primi raggi di sole intiepidivano l’aria, ecco arrivare il vecchio, si trascinava appoggiando il peso sul bastone, guardò la panchina ricoperta di foglie, scosse la testa e con fatica si mise seduto.

Con le spalle curve e la testa china, senza un perché, si ritrovò a scrutare il palmo delle sue mani, sorpreso notò una stranezza, le linee della mano erano scomparse e ne restava solo una, la linea della vita esile e spezzata. Alzò lo sguardo alla ricerca disperata del vuoto, e quando lo incontrò… il vuoto lo abbracciò e come un mantello lo avvolse. Il vecchio se ne stava lì abbracciato al vuoto, con gli occhi assenti e con una smorfia che gli tagliava il volto. I colombi zampettavano ai suoi piedi in attesa del cibo, tubavano, volavano, tornavano. Il vecchio si scosse si chinò e accarezzò l’assenza… con la mano sospesa nell’aria un’emozione sconosciuta gli gelò il cuore, si alzò il bavero dell’impermeabile, si frugò nelle tasche e quando sfilò la mano pensò di aver dimenticato qualcosa di importante, ma cosa? Nell’angolo più profondo della tasca incontrò un piccolo seme di granturco e mentre lo guardava, rigirandoselo tra le dita come fosse un tesoro, un colombo planò dal grande Olmo e con un movimento fluido di ali, si arrestò sospeso nell’aria, allungò il collo e con il becco rubò quel seme d’oro, riprese quota e sparì tra i rami del grande albero. Il vecchio fissandosi le dita senza più il suo seme d’oro, balzò in piedi tremante di rabbia, raccolse una pietra e con odio la lanciò verso il grande Olmo, e più pietre lanciava e più l’odio cresceva. Martellante, ossessivo, feroce… l’odio gli era entrato nel sangue, nel cervello, sulla lingua da sentirne il sapore, amaro, freddo, metallico… di colpo il vecchio, con il braccio sospeso a mezz’aria, si bloccò; un dolore fulminante gli sfondò il petto, si accasciò al suolo sopra un tappeto di foglie e mentre il sole tramontava, i lampioni illuminavano le ombre della sera, si percepiva un gorgoglio sommesso, un tubare roco e ripetuto provenire dai rami del grande Olmo.

Il vuoto di soppiatto scivolò verso di lui, lo afferrò e con un ultimo abbraccio se lo trascinò via.

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