Otto giorni fa è venuto a mancare il poeta Carlo Bordini (Roma, 1938 – 2020).
Il testo che segue per la verità è una prosa, una sapida e arresa descrizione di Roma, la sua città.
Una caratteristica di Roma è la sua indecifrabilità. È come se Roma fosse ricoperta da una guaina morbida, elastica, che impedisce di vedere con precisione i lineamenti, nasconde allo sguardo gli angoli scuri, rende tutto uniformemente morbido, rotondo, mucillaginoso. Tutto vi diviene inespressivo, ipnoticamente inespresso, come un corpo ricoperto da uno strato di grasso che celi le sue forme.
Tutte le manifestazioni di una città – la stupidità della gente o la sua intelligenza, la violenza, il pericolo, ecc. ecc. – sono a Roma attutite, quasi cancellate i comunque ricoperte da questa appiccicosa. I romani non sono gentili, ma non sono esenti da una loro cordialità. Non sono brutali. Alcuni di essi – uomini, settori – lo sono, certamente, ma tale brutalità è nascosta dall’indifferenza della città. La città come copertura. Caratteristica precipua e comune del romano è infatti la sua indifferenza, che si sposa a uno scetticismo ormai atavico. Un romano non crede nella realtà, non prova forti sentimenti o forti emozioni op forti desideri; è generalmente simpatico, caratterizzato da uno humor menefreghista che è l’emblema di tutta la città. Diceva una battuta de La Dolce Vita: Roma è un ottimo posto per nascondersi. Questa è una caratteristica di ogni grande città, ma in Roma il nascondersi è particolarmente dolce, tra l’indifferenza della gente, e la vita facile delle sue trattorie. Il pericolo a Roma non viene mai avvertito, così come la morte; a Roma si può essere aggrediti senza accorgersene, perché tutto rimbalza nella consistenza gommosa di questa città. Si muore senza accorgersene, e senza che gli altri ci facciano caso, non per cinismo (il cinismo presuppone delle passioni, odio, ambizione, che a Roma mancano) ma per indifferenza. Il romano non è certo fanaticamente dinamico, ma non ha nemmeno l’indolenza felina dei napoletani. Roma è il posto ideale per vivere soli e per morire soli, senza che questa solitudine acquisti nulla di drammatico; al massimo può essere noiosa (Roma, pur non essendo stimolante, non è neanche una città veramente noiosa, come può esserlo una città di provincia). A Roma, piuttosto, i sensi si ottundono. A Roma manca anche la paura, che dura un secondo, dopo di che si ritorna ad una allegra carnale indifferenza. Lungi dal terrore, Roma può essere la città della depressione – delle croniche, morbide crisi depressive…
Ma nello stesso tempo Roma ha un pregio: essendo una città fantasma, una città immaginaria, sonnambula, può favorire grandi e pacate allucinazioni. Una persona a Roma potrebbe fingersi idiota e vivere una vita na-scosta, marginale, e soccombere sotto il peso di ancestrali e antichissime colpe.
Si tratta di uno dei suoi più recenti interventi pubblici, la sua partecipazione al ROMAN POETRY FESTIVAL tenutosi al WeGil a Trastevere a quarant’anni dal Festival dei Poeti di Castelporziano. La prosa letta da Bordini è tratta da Assenza (2016, Carteggi letterari), e ora è nell’antologia del festival pubblicata a fine 2019 da Edizioni Ponte Sisto (Capocci, Roma) a cura di Igor Patruno, organizzatore della kermesse di poeti del 16 giugno, insieme a Giuseppe Garrera curatore della mostra fotografica Poeti a Roma. Resi superbi dall’amicizia. Nel suo scritto rivolto a Roma come un ritratto in cui ci ha chiamati non solo ad ascoltare ma a condividere la sua analisi spietata e tenera insieme della città, Bordini ci offre un saggio maturo del sale della sua scrittura – quanto a temi, stile, conduzione del discorso insieme graffiante e dolce, schiettezza del dettato. Una prosa decisamente godibile.
A proposito della prosa Roma, mi permetto solo due minuscole osservazioni:
1. un’espressione tipicamente romana, che emerge a un certo punto (riga 26) in un chiaro verbo-spia, permea questo scritto: m’arimbarza, sintesi perfetta dell’umore dei romani e della città in sé, e anche sintomatico dell’umore, anzi dello humour, sapido e franco, quale tratto tipico del suo autore;
2. l’indifferenza, che già aveva trovato voce nel romanzo moraviano del ’29, qui diventa un tratto epicureo-oraziano che denuncia una certa inclinazione (dei romani, ma anche proprio di Roma, come se Roma avesse una sua anima autonoma) all’indipendenza, alla libertà morale, dettate anche da un comodo ottundimento dei sensi.
Mi pare che qui si veda bene la portentosa intuitività rispetto a una materia spinosa e cara come il pensiero di Carlo Bordini esercitato sulla sua spaesante città, che tuttavia, diversamente da ciò che lui credeva, non passerà sotto silenzio la sua morte: Roma se ne è accorta, e come, che lui è morto!
Dopo una raccolta autoprodotta e distribuita in ciclostile nel ’75, Strana categoria, la vera avventura poetica di Carlo Bordini era cominciata con Poesie Leggere, ma soprattutto con Strategia, pubblicato nel 1981 da Giulio Savelli, che nel ’76 aveva pubblicato Porci Con Le Ali, di Lidia Ravera e Marco Lombardo Radice, romanzo dall’incipit prorompente. Il libro è stato ripubblicato lo scorso anno da Nino Aragno per i quarant’anni e più della carriera di poeta di Carlo Bordini, autore anche di due romanzi e di studi su– e antologie di– poeti, nuovi e non solo, spesso “marginali”, come leggiamo in Dal fondo. La poesia dei–, rassegna curata con Antonio Veneziani, pubblicata il 31 dicembre 1977.
Il 1° giugno 2010, Luca Sossella ha pubblicato I costruttori di Vulcani. Tutte le poesie 1975-2010.
Lo stesso editore ci informa che: “L’autore ha montato le raccolte originarie senza conservarne la cronologia d’uscita, nel tentativo di creare una struttura musicale. Questo volume è dunque un libro nuovo, pur essendo costituito dalle poesie scritte da Bordini in oltre trent’anni”.
Se devo dire per cosa più mi ha colpita la poesia di Carlo Bordini, devo per forza cercare di fissare qualcosa che non è solo dei suoi versi ma della sua scrittura: una visione concreta e sconfinata di ciò che emerge di umano ovunque si posi lo sguardo, La formazione politica e storica penso gli desse una inclinazione spontanea a intercettare l’azione dell’uomo in ogni piano della vita e del pensiero. Ma il dettato si faceva umanissimo nei versi dove l’io del poeta si schermiva e si offriva senza difese al braccio di ferro o al tennis con l’amata, e l’acume dedicato al cuore ai sentimenti alla relazione era un ferro indaginoso mentre il destino era invocato come un giudice di sedia che fermasse le schermaglie di un gioco troppo aspro, e l’alternanza di asprezza e dolcezza era una sequela snervante di intervalli crudeli. Carlo Bordini è stato un poeta importante che non si dava (forse abbastanza) importanza.
Della poesia di Carlo Bordini, Paolo Febbraro ha dato la definizione di “razionalismo onirico”, e Filippo La Porta ha formulato la sintesi di “dormiveglia vigile”. Marco Giovenale ha giustamente indicato il crogiuolo che nella poesia di Carlo Bordini fonde insieme etica politica e scrittura di ricerca per una formulazione definita “new sentence”; e per finire si è sempre accennato alla natura narrativa della sua poesia che per molti aspetti tradisce anche una natura filosofica. Carlo Bordini stesso si è espresso così sulla propria poesia: “Versi lunghi, enfatici, a volte prosastici, o molto spesso sonnambuli e dormienti”. Dunque qui ve ne offro una messe com’è giusto: la parola al poeta.
Hai sempre colpito di rimessa,
mentre io mi avvicinavo.
mi invitavi,
con la guardia abbassata,
ora sono stanco di
essere colpito.
Ma perché ti irrigidivi
di fronte a un mio bacio,
a una mia carezza,
e poi mi dicevi:Cercavamo la strategia giusta,
avvolti in mille ghirigori,
piani di battaglie mai attuate
una serie di finte
poi il giudice ha gridato:
“Break!”all’inizio ho tentato il colpo risolutore,
ero un po’ lento
e fuori asse.
Credevo quasi di avercela fatta
poi tu mi hai abbracciato
e hai digrignato: “Ti amo!”.
Ho abbassato le braccia
già mi giravi intorno.
Mi sono rimesso in caccia
avevi già assorbito il colpo.Mi impongo di aspettarti.
Fingo di non attaccare.
La notte,
scrivo poesie.Certo no sarebbe male un viaggetto
abbandonare il match
fare le valigie e partire
ridendosene degli spettatori.
Ma sapremo dimenticare i pugni
che ci siamo dati? O lo ricorderemo
come un gioco? O ci odieremo?
(noi, odiarci… Ah Ah)***
Pernod
In una cupola di Pernod,
che è il colore del tuo cielo,
una città affogata in un grande bicchiere di Pernod,
passi l’inverno.
E forse la tua tranquilla ebbrezza
di paese padano
che nuota in un bicchiere
di acqua minerale
ti cosparge di pesciolini
in un bianco frizzante,
e come è opaco il cielo così è limpido
il colore dei tuoi aperitivi
assonnati
sotto la cupola bianca
del tuo cielo bavoso:
come l’asfalto della tua
autostrada
***
Noi, mentre la casa crolla
Noi, che stiamo vivendo l’inizio del tracollo della civiltà umana,
ci preoccupiamo di cambiare la carta da parati
e di lucidare i mobili
mentre la casa crolla ci dedichiamo a rovinose dispute con il portiere
e facciamo progetti per migliorare (abbellire) le serrature delle nostre case
le nostre case stanno cadendo e noi ci preoccupiamo di abbellirle
perché gli animali domestici hanno bisogno di un ambiente sereno
***
Sasso
Questa indulgenza che gli uomini si concedono col sonno
non assomiglia all’abbandono della morte?
una piccola morte un po’ anticipata, un breve riposo,
Questo goloso anticipo della morte,
così questo rammendare piccole cose porta le cose migliori,
le più femminee,
queste cose femminee
e non ha importanza la reliquia come oscuro residuo
scrivo questo per dire che la morte e il sonno sono simili,
ovviamente, of course,
ma soprattutto che mi sono ugualmente cari,
e in questo atonale abbandono simile a legno di violino,
quando ancora non è stato percosso dall’arco,
e la vita e insieme ancora la non-nascita
e la morte del feto già vecchio
oh come roco il respiro
come torpido scorre il tuo sangue
***
Autunno
Quando la fantasia
scopre l’invenzione di se stessa
si stanca
di inventare la realtà
non esistono le ore, non esistono i giorni, l’esistenza e la vita si
confondono.
E’ questo il paradiso? O l’autunno?
l’inverno precede dunque l’autunno? E’ questa la cabala?
così come la guerra precede la pace.
l’acqua è acqua di pozzo, molli onde, concentriche.
Ciò che richiama il tuo incerto sorriso. Un ricordo oltre i mari, oltre
le colonne di sole. Le foglie girano e riportano indietro.
tu non immagini di vivere in un castello incantato, e
di svegliarti dopo trent’anni, credendo di aver dormito
dieci minuti
forse sono le ragnatele ad aver dormito, o forse abbia-
mo dormito entrambi. abbandonai
nei tuoi terrori i miei. l’autunno
è appena iniziato.
***
Sogno di Elena
Sognavo d’essere morta, eppure camminavo
per la stanza, per la casa
chiedendomi chissà, se la mia decom-
posizione era già cominciata
e se gli altri se ne sarebbero accorti.
Poi
cominciai a preoccuparmi per l’odore,
se si sentiva o no; e temevo, poi,
che avrei attaccato a qualcuno la
mia morte.
***
“Io non scrivo, sono scritto. Ho imparato a diffidare delle ideologie e del senso del dovere, la realtà
è infinitamente più grande, vera e libera del pensiero. Se esaminassimo tutta la letteratura civile degli
ultimi 150 anni, scopriremmo che funziona solo chi, fuori dagli schemi, porta in sé un elemento di eresia”.
io non creo ma sono
creato, non
scrivo ma sono scritto,
e quindi
non sono un
creatore
ma una
creatura
La fotografia in questa pagina è di Dino Ignani https://www.dinoignani.net/