Una spessa liana scendeva dal castagno e finiva proprio in mezzo al sentiero. L’avevo vista da lontano, mentre scendevo rapidamente in bici, ma non le avevo dato particolare importanza perché ero impegnata a tenermi in equilibrio. Stavo su uno dei due estremi di terra battuta del sentiero, al centro c’era un profondo canale scavato dall’acqua ed era meglio non caderci dentro. Pensavo che la liana fosse un semplice ramo da spostare, invece quando la raggiunsi essa rimase al suo posto, mentre io caddi di lato fuori dal sentiero in una zona scoscesa. Istintivamente abbandonai la bici e rotolai per terra. Quando mi fermai neanche mi resi conto di cosa fosse successo, poiché la bici rotolò subito sopra di me. L’impatto fu più doloroso della caduta e persi conoscenza.
Mi destai improvvisamente all’interno di una grande stanza. Stavo incredibilmente bene, mi alzai senza alcun dolore o graffio. La bici era scomparsa e anche il bosco. Intorno a me c’erano invece quattro mura, un soffitto e un pavimento completamente bianchi. Ero sola, non c’erano neanche dei mobili. Pur non essendoci finestre o lampadine, la stanza era illuminata da una luce fredda che raggiungeva ogni angolo.
Sul muro di fronte a me comparve una porta di legno, anch’essa dipinta di bianco. Venne aperta ed entrò un uomo con una carnagione leggermente scura, molto più alto e grande di me, con una folta barba e dei lunghi capelli grigi. Era evidentemente anziano, eppure sembrava muoversi come se fosse ancora forte e giovane. Indossava una tunica bianca che arrivava fino a terra che copriva i piedi.
«Benvenuta!» disse avvicinandosi.
«Dove mi trovo?» domandai.
«Nel mondo oltre la vita. Sei in bilico tra la vita e la morte» si fermò a poca distanza e porse una mano.
Ero totalmente confusa, non sapevo cosa fare e neanche a cosa pensare. Non immaginavo che il trapasso dalla vita alla morte fosse così rapido.
«Stringi la mia mano» suggerì l’uomo osservandomi «Puoi chiamarmi Pippo se vuoi, ho tanti nomi e va bene uno qualsiasi.»
Strinsi allora la sua mano. L’uomo aveva catturato completamente la mia attenzione, con uno sguardo penetrante che non incuteva timore, bensì rilassava e calmava il mio animo. La sua mano non era troppo calda, fredda, asciutta o bagnata, sembrava qualcosa di artificiale senza vita e completamente innaturale.
Tenendo stretta la mia mano, tornò verso la porta che aveva lasciato aperta e io dietro lo seguivo. Oltre c’era un corridoio completamente nero e per niente illuminato. Non sapevo dove mi stesse portando, ma l’unica cosa che potevo fare era fidarmi di Pippo. Non vedevo assolutamente nulla, non sentivo i miei passi e respiri, ma neanche i suoi. A un certo punto si fermò e domandò: «Cosa vedi o senti?»
«Nulla» risposi immediatamente.
«Con calma, non c’è fretta di rispondere» ammonì lui, con un tono dolce che mi calmò ulteriormente.
Giravo la testa ovunque, ma non c’era nulla da vedere od osservare. Percepivo una totale mancanza di stimoli che la mia mente bramava, tuttavia in quel momento anch’essa era stata in qualche modo inibita da Pippo.
«Non c’è nulla…» ripetei, «C’è solo il vuoto.»
«Esatto!» disse subito lui con tono confermativo, poi riprese a camminare.
Non sentendo fatica o avendo un punto di riferimento potevo aver percorso poche centinaia di metri come chilometri interi. Vidi in lontananza un punto bianco, che si rivelò essere la stanza bianca iniziale, con la porta aperta che lasciava fuoriuscire la luce.
Entrammo e Pippo chiuse la porta, poi si girò per guardarmi e affermò: «Non c’è nulla oltre la vita, ma solo il vuoto profondo e silenzioso, ecco cosa hai visto.»
Prima di rispondere rimasi un attimo in silenzio per riflettere: «Ma c’è questa stanza e ci sei tu a quanto pare.»
«Sì è vero» ammise Pippo «Ma io sono qui solo per mostrare la verità, non ho poteri. Appena morirai definitivamente scomparirò anch’io insieme a questo posto, non ci sarà più nulla.»
«Bella notizia allora!» esclamai sarcasticamente «E io che pensavo che ci fosse una sorta di Paradiso con una divinità onnipotente.»
«Non c’è nulla di tutto ciò, è solo un’invenzione per far tirare avanti l’umanità e non disperarsi» cominciò Pippo come se volesse iniziare un discorso, ma qualcosa lo disturbò «È ora che tu torni. A quanto pare sei stata fortunata, la vita non ti ha lasciato del tutto.»
«Cosa intendi?» chiesi, ma di colpo lasciò la mia mano e tornò una forte confusione nella mia mente.
«Goditi la vita, perché non c’è altro oltre!» sorrise Pippo e salutò con la mano.
Avvertii la mente diventare così pesante che caddi per terra e svenni di nuovo.
Al risveglio ero di nuovo sotto la bici nel bosco. Spostai la bici e alzandomi sentivo dolore ovunque, in particolare alla testa e alla caviglia. Guardai quest’ultima: c’erano dei fori quadrati da cui uscivano rivoli di sangue, i denti della corona della bici avevano infilzato la carne, ma fortunatamente non era una ferita profonda. Il manubrio invece aveva dato una bella botta alla testa, che sentivo pesante e scombussolata pur se indossavo il casco.
Non sapevo se l’incontro era stato semplicemente un sogno o qualcosa di più. Le parole dell’uomo si erano stampate nella mia mente ed erano fastidiose, mentre tornavo sui miei passi cominciavo a percepire che qualcosa di profondo in me era cambiato, tuttavia era troppo presto per dire che cosa, ma ero sicura che un cambiamento era in atto.
“Caledonian Road” di Andrew O’Hagan – traduzione di Marco Drago (Bompiani)
Una storia senza innocenti o vincitori, ma solo persone ferite che riescono a farcela con quello che resta dopo un evento drammatico destinato a essere uno spartiacque nelle loro vite.