Raccontare se stessi

... siamo sempre noi che muoviamo i fili...

Raccontare se stessi – se ragioniamo in un contesto realistico – significa raccontare il personaggio di se stesso. Un personaggio lo dobbiamo creare, anche se il personaggio siamo noi, cioè dobbiamo provare a guardarci dall’esterno, come ci vedrebbe un altro, questo significa in definitiva creare un proprio alter-ego.

Ci sono molti modi per raccontarsi. Possiamo scrivere un diario quotidiano, possiamo esplorare il nostro passato attraverso l’autobiografia (ma bisogna avere diversi anni alle spalle, sennò che senso ha, abbiamo poco materiale a disposizione…), possiamo scrivere una lettera a qualcuno in cui parliamo di noi, ecc.

Il diario offre forse l’approccio più semplice, diretto per parlare di sé.

Esistono molti generi di diario: diario di viaggio, diario di bordo, diario di guerra, diario intimo, diario di prigionia ecc.

Concentriamoci sul diario intimo.

Il diario è un genere di scrittura che si presta molto a essere intima e segreta. Nel diario, tipicamente, parliamo di noi stessi senza pudori, senza reticenze.

Il diario intimo è una forma di scrittura che somiglia molto a una analisi di coscienza.

Ma siamo sempre noi che muoviamo i fili, per così dire, siamo noi che decidiamo il livello di “spudoratezza” del nostro diario, cioè siamo noi a decidere quanto “intimo” e “sincero” esso debba essere.

Io ho scritto soltanto una volta in vita mia un diario, ed è stato mentre facevo il militare. Scrivevo tutte le sere prima del contrappello, mi sedevo sul letto a castello, a volte sopra, a volte sotto, a volte in mezzo, era a tre piani, e per una mezz’ora scrivevo quel diario, cercando di isolarmi da tutto quanto succedeva fuori, astraendomi dall’ambiente della camerata. Era un momento prezioso della giornata, quella mezz’ora prima del contrappello, che dedicavo solo a me stesso. Fu uno dei miei primi esperimenti di scrittura. Mi mettevo l’auricolare e ascoltavo musica da un registratore portatile e intanto scrivevo questo diario su una agenda bella grande, ricoperta di pelle morbida, nera, un’agenda elegante di quelle che si regalano negli uffici, me l’aveva regalata mio padre, che lavorava al Ministero degli Esteri e ne riceveva diverse. Non l’ho più riletto, l’ho perduto, quel diario del militare, doveva essere piuttosto acerbo, lamentoso, ingenuo, nella scrittura, in tutto, ma magari era interessante proprio per questo.

Esercizio. Provate a cominciare un vostro diario intimo. Alla prossima!

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Andrea Carraro

Andrea Carraro, scrittore, nasce a Roma. Se avesse ricevuto un euro ogni volta che sui media hanno usato il termine “il branco” per parlare di uno stupro di gruppo, citando il titolo del suo romanzo più noto, oggi sarebbe ricco. Invece è “solo” uno scrittore tra i più bravi. Romanziere, autore di racconti e di poesie, nasce a Roma nel 1959. Ha pubblicato i romanzi: A denti stretti (Gremese, 1990), Il branco (Theoria, 1994), diventato un film di Marco Risi, L’erba cattiva (Giunti, 1996), La ragione del più forte (Feltrinelli, 1999), Non c’è più tempo (Rizzoli, 2002) (Premio Mondello), Il sorcio (Gaffi, 2007), Come fratelli (Melville, 2013), Sacrificio (Castelvecchi, 2017) e le poesie narrative Questioni private (Marco Saya, 2013). Ha pubblicato anche due raccolte di racconti, confluite nel volume Tutti i racconti (Melville, 2017). I suoi giudizi critici, sensibili ma affilati quando serve, lo rendono un lettore del cui parere fidarsi con tranquillità.

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