IL RESTO È RUMORE
Come sei fragile e solo silenzio.
Questa corrispondenza che fa di me
l’immagine di te, solca la guancia
di lacrime mute e abbandonate.
APPELLO
[…]
Della trattativa nascosta
con il silenzio resta,
solamente, l’assenza di parole.
A FIATO SPENTO
Mi sento corpo morto
e non lo sono
ma il desiderio è pari
alla paura.
In forme imbarazzanti
ho chiesto aiuto
per esser foglia morta
alla natura.
[da In risposta al silenzio, sezione Davanti allo specchio –
Transeuropa 2019 / Collana di poesia «nuova poetica 3.0»]
Il discorso sul silenzio ha molto a che fare con la poesia.
Sembra che forgiare versi (il “fare” che sta alla radice della parola “poesia”) sia soprattutto un modo per marcare a zona il flusso ininterrotto della parola, poco importa se detta/scritta o solo pensata, se ordinata sintatticamente, dunque formulata e razionalizzata, o solo lasciata fluire a valanga come un lungo fiume non poi così tranquillo. La verità è che la poesia affiora sulla pagina quasi esaltando i vuoti, posizionandosi sulla tela bianca del quadro come macchie di colore, inchiostro raggrumato. A volte poi esibisce il silenzio per contrasto ragionando sul silenzio. Ponendosi dunque il problema dei problemi, interrogando non tanto o non solo la pagina ma il proprio stesso diritto a sporcarla, la sua stessa intenzione di violarla. Tempo fa ho avuto proprio da StoryGenius, che mi ha offerto questo spazio dedicato alla poesia, un testo edito da Transeuropa nel 2019 che mi ha incuriosita perché ha il seguente titolo, In risposta al silenzio: l’autore, Jacopo Pellegrini, poeta bellunese già con altre prove, in volume e su rivista, alle spalle, interroga la pagina come la vita per porre la questione cruciale: vivere, certo, e scrivere per pensare la vita oltre a viverla. Centrando il tema dei temi: se sia poi necessario rompere il silenzio, se sia sensato non tanto o soltanto per la ragione ordinatrice ma ancor più per saziare una fame di verità, anzi di chiarimento, e di comprensione, che risponde a un bisogno o meglio a un automatismo che, come direbbe Ilaria Palomba a questo punto, risponde all’intuizione – non ad esigenze dettate dalla ragione. E quindi deve saziare un bisogno primario, vegetativo, non di natura volontaria.
AL RIVERBERO DELLE VETRATE CONTROLUCE
Ecco questa preghiera,
Padre, oggi che tra le strade
dei pensieri ricordo
che eri ospite frequente
all’anima assente tra gente
poco accorta di passi
lacrimevoli.
Così il dolore è divenuto
un tormento sordo, uno scherzo stanco
nel brontolio del tempo,
che nasconde la mano
che ci conduce al bordo
della vita, al termine
caro dove mi attendo
una parola tanto piena
da non donare peso.
[…]
CON GARBATA DISCREZIONE
Oggi ho voglia di parole nuove
di una poesia garbata
che abbia qualcosa da raccontare,
priva dell’amata inaccessibile
o di un parlare frastagliato
e incomprensibile.
Oggi è domenica e concedo,
dedico, la vita al silenzio […]
Nemmeno un commento sulla parola
estranea che non avresti aggiunto:
solo un verso discreto di libertà.
Voglio dedicarmi
alla mia serena anonimità.
IN PUNTO DI VITA
[…]
Le azioni e non le emozioni
sono la legge a cui obbedisco,
rimedio tardivo e sicuro
per chi non ama precauzioni.
Tu sei un urlo afono di vita
ma levati dal lenzuolo della coscienza
che non si può uccidere chi non è nato.
LEGGE LA LEGGE (DISCORSO)
Qual è la mia colpa?
Io conosco solo la pena.
La polpa del discorso è digerita
in una ferita che si trascura.
Ho deciso di guardare il sole
e fuggire le ombre seminate,
le sterminate ricerche tra vite
ugualmente diverse nella scena.
Credo in un ordine consegnato
nei silenzi della quotidianità,
perché qualcuno possa proteggere
la serenità, e lei.
Bisogna condannare il principio
e comprendere il singolo;
qual è la tua colpa
se questa è la pena?
Il vizio del giudizio
è la superiorità.
[…]
Di me vedi solo le spalle.
A volte spiamo soltanto.
Perché la giustizia finisce dove comincia la legge?
Perché la giustizia finisce dove comincia la legge.
[da In risposta al silenzio, sezione Davanti allo specchio –
Transeuropa 2019 / Collana di poesia «nuova poetica 3.0»]
La domanda è, sempre: vale la pena spezzare il silenzio?, frangere la sua superficie perfetta, e cedere all’impulso di fare il punto, di precisare, di indagare l’insondabile? Vale la pena solo se la resa della frattura è così strepitosa e profonda che il silenzio si fa imperdonabile, diventa omissione, Solo se il gesto e il suono diventano irrinunciabili – solo se i grafismi assumono un senso talmente ineludibile che il mondo smetterebbe di respirare senza. Il poeta è un eroe che osa prendere la parola. Rompe il silenzio. Se invece lo sceglie (come ha fatto Maurizio Marotta, scomparso recentemente), dobbiamo credergli se ci svela due cose di cui ci informa da facebook Giuseppe Grattacaso, poeta a sua volta, e amico di Marotta: 1. “la poesia mi ha pensionato qualche tempo fa”; 2. “la pigrizia è santità”. Rompere il silenzio è un atto, a vederlo da fuori, scriteriato, eccentrico, ma il poeta, che sa dall’interno quanta forza ha dovuto farsi, sa pure quanto la rottura sia necessaria, non un atto egoistico ma un dono.
SU UN LEMBO DI SPECCHIO STRANIERO
La nostra vita è un breve fortunale,
lungo l’uscita senza funerale.
Un battesimo di grandine
sull’asfalto della stazione,
tra tutte le persone indifferenti
con cellulari accesi e volti spenti.
***
Mi manchi
e già in queste parole
c’è tutto il silenzio che ascolto.
Il giorno mi ha accolto così oggi,
con il tuo amore e la tua assenza.
***
AUTOMAT (Edward Hopper)
(A Rosalina)
Chi lo sa se è più scuro
il buio alle mie spalle
o il fondo della tazza?
Se saprò dare un nome
al silenzio, se attendo
compaia dietro il muro,
o il momento di andare?
Ho tolto solo un guanto
non di sfida al destino,
ma di raccoglimento,
perché non cada il caffè
a chi sfugge la vita.
[da In risposta al silenzio, Transeuropa 2019
/ Collana di poesia «nuova poetica 3.0»]