Il dialogo svolge diverse funzioni all’interno di una narrazione: imprimere un certo ritmo al racconto, aumentare l’effetto di realtà, definire, caratterizzare certi personaggi…
Facciamo un esempio personale per chiarirci le idee. Nel Branco, a parte il protagonista, Raniero, aspirante carabiniere, che viene descritto anche attraverso i pensieri e i sogni e i ricordi (focalizzazione interna), tutti gli altri, sottoproletari, gente del popolo, sono raccontati solo per quello che dicono (focalizzazione esterna), per le parole che pronunciano. Oltre al loro aspetto e alla loro gestualità.
Per impadronirmi del loro gergo, facevo un sacco di sopralluoghi a Marcellina, il paese – che nel romanzo chiamai Castellina per non incorrere in problemi legali (visto che gli stupratori veri del fatto di cronaca avvenuto alcuni anni prima erano tutti in libertà)… – nei pressi del quale era avvenuto il fattaccio. Ci andavo la sera, a Marcellina, uscito dal lavoro, munito di registratore seminascosto nella borsa che mi portavo sempre dietro, mi sedevo in qualche locale del paese, e registravo segretamente tutto e mi annotavo le facce, i gesti… E qualcuno mi guardava strano, in quei baretti fumosi, affollati solo da uomini dai tratti più burini che plebei, che giocavano a carte e bevevano e parlavano quel romanesco borgataro aspro, sgraziato, fatalmente pasoliniano ma più burino, che rimbalzava in esclamazioni roche e bestemmie fra il bancone e i pochi tavoli e i muri bassi affumicati e la porticina sgangherata di un cesso… e poi giravo i dintorni di giorno e di notte – a piedi, in macchina, in vespa, per impadronirmi di quei luoghi accidentati, brulli, né periferia romana, né campagna, dove avrei ambientato il romanzo… E poi a casa mi risentivo quelle registrazioni, quel dialetto romanesco burino che non ci voleva molto a immaginare incarognito dall’alcol e dall’eccitazione collettiva dello stupro collettivo… e così l’immaginazione cominciava a galoppare, sapete, i personaggi si precisavano a poco a poco, e fatalmente si distaccavano dai modelli originari, che potevo trarre dagli scarni atti processuali che avevo letto: la frase di uno, la fisionomia di un altro evocata dall’avvocato, un oggetto usato per la violenza ecc… Pochi dettagli che nella storia che veniva su a poco a poco acquistavano senso, si animavano.