L’uva di Vamba

L'autore di Gian Burrasca, il ragazzino pestifero del famoso giornalino, anche allettato non rinunciava alla sua vena ironica e stralunata

Nell’autunno del 1908, i collaboratori del “Giornalino della Domenica” fanno visita al loro direttore Luigi Bertelli, noto come Vamba, allettato da parecchi giorni per delle forti coliche, nella sua casa di Firenze. Il medico gli ha diagnosticato una tiflite. Beppino, il figlioletto di Vamba è più agitato che mai, urla tanto che si sente quasi in piazza del Duomo, sveglia la sorellina più piccola, l’Idina, scalmanato fruga nei cassetti per trovare caramelle e cioccolatini. Salta sul letto, Vamba ride e Beppino si scatena peggio di prima. Vamba è in vena di scherzare, non fa altro che dire che tiflite in greco significa: la malattia del cieco, mentre lui ci vede benissimo. In qualche lettera che scrive dal letto, per data mette “quarto giorno della tiflite”, “quinto giorno della tiflite” ecc. Il dottore gli ha prescritto una dieta molto rigida: latte e brodo e minestrine lunghe a cui Vamba aggiunge abbondante formaggio per dare un po’ di sapore. Confessa agli amici con l’abituale verve comica quante ne inventa per mandar via presto i visitatori indesiderati. Appena ne compare uno, diventa subito serio, parla con un filo di voce, sta tutto imbacuccato nelle lenzuola, si tasta la pancia alzando gli occhi al cielo, cosicché la persona in visita decide di scapparsene via subito levando il disturbo.
Un giorno Omero Redi, pseudonimo di Ermenegildo Pistelli, vede dal fruttivendolo di faccia al Battistero di San Giovanni certi grappoli biondi d’uva grossa, invitanti e profumati. Spende molto di più di quanto ha preventivato e gliela porta in dono. Vamba chiede subito al dottor Martucci il permesso di mangiarne qualche chicco dopo la minestrina; il dottore glielo accorda a patto che li sbucci e levi i semi. Il giorno dopo Vamba manda questa poesia a Omero Redi.

VIII giorno di tiflite

Caro Omero,
Dopo la consueta minestrina,
così poca e brodosa e così fina,
anche oggi ho mangiato
(ma prima li ho sbucciati uno per uno
ed ho levato gli acini a ciascuno
come il dottor Martucci mi ha ordinato)
Cinque chicconi d’uva salamanna.
Omero mio, che cosa 
Squisita e deliziosa!
Che giulebbe, che zucchero, che manna!
Che nettare da re!
Ah! proprio per aver l’idea gentile
d’un regalo simile
bisogna essere ghiottoni come te!
  – Vamba

_____________

Luigi Bertelli, detto Vamba (Firenze, 19 marzo 1858 – Firenze, 27 novembre 1920), è l’autore di uno dei più popolari testi per ragazzi del secolo scorso: Il giornalino di Gian Burrasca.

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